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Da aprile 2017 non fa più parte dei Da Move e ha cominciato ad esibirsi da solo. Da inizio anno, poi, il binomio con Salvo Skyone (Salvatore Caruso) è diventato sempre più importante. Se schiacciare è un’arte, Marco Favretto, aka Mr. Jump, è un vero e proprio artista. In quei salti e gesti tecnici e atletici incredibili per arrivare ben oltre il ferro, c’è davvero tutto: gli allenamenti quotidiani sul campo e in palestra, la grinta, una passione smisurata verso questo sport, i suoi sogni, ma anche diverse delusioni, grande fatica e la voglia di non mollare nonostante le difficoltà.

Jeremy Lin ha detto “la mia prima schiacciata è stata alle scuole medie. Stavo giocando con i ragazzi dell’oratorio e ho schiacciato. E giuro, non sono riuscito a dormire quella notte”. Com’è stata la tua “prima volta”? “Per me è stato diverso. Io ho iniziato giocando a basket e da sempre amo questo sport. Ho scoperto le schiacciate per puro caso. Nel campetto vicino casa, oltre a quello regolamentare, c’erano due canestri da minibasket: tutto è iniziato da lì. La prima schiacciata non ha avuto un sapore speciale, forse perché arrivare al ferro è una cosa sostanzialmente normale, che in tantissimi riescono a fare senza problemi”. Due anni dopo, invece, l’emozione è arrivata e anche bella forte. “Sì, quando ho completato il mio primo sottogamba 360. Era tanto tempo che sognavo di fare questa dunk: quel giorno, subito dopo, ho corso per tutto il campo come un matto tanto ero al settimo cielo”.

Un selfie di Favretto con la maglia azzurra al FIBA Dunk Contest del 2016

Lì si è accesa la scintilla. E anche i riferimenti non mancavano, giusto? “Ho cominciato a seguire un gruppo americano, i Team Flight Brothers: erano pazzeschi. Guy Dupuy è stato molto più che una semplice ispirazione: un dunker francese che, ancora oggi a 32 anni, fa delle cose allucinanti. Tra l’altro, ha un tipo di salto molto simile al mio, ovvero con lo stacco ad un piede. Devo dire, però, la verità: preferisco chi schiaccia saltando con un arresto a due piedi”.

A fine anni Novanta, con la diffusione del marchio And1 lo streetball ha conosciuto la svolta: “Già lì si cominciavano ammirare grandi schiacciatori: sono riusciti a diffondere l’arte della schiacciata e a farla diventare quasi una vera e propria disciplina sportiva a sé stante. In Europa un ruolo di primo piano l’ha avuto anche Kadour Ziani: il pioniere delle schiacciate nel Vecchio Continente. Intorno agli anni ’90 ha creato il gruppo Slam Nation con cui ha iniziato a fare i primi spettacoli di schiacciate in giro per l’Europa: una vera e propria leggenda vivente”.

A proposito di personaggi a cui ispirarsi: Vince Carter e il famoso Nba Dunk Contest del 2000, la consideri la migliore esibizione di sempre? “Per alcuni versi sì: è innegabile che, grazie a Vince Carter, dal 2000 il mondo delle schiacciate è stato rivoluzionato. Non solo ha portato schiacciate inedite e assurde davanti al mondo intero, ma ad un livello veramente fuori dal comune. Ha posto le basi per lo sviluppo di tanti tipi di schiacciate: nel 2003, ad esempio, Jason Richardson ha iniziato a fare altre varianti del sottogamba. Il Dunk Contest del 2016, con la sfida tra Gordon e LaVine è ritenuto attualmente la miglior esibizione di tutti i tempi: ha fissato nuovamente i limiti spostandoli verso l’alto, come se fossero dei dunker professionisti”.

Tra le schiacciate con cui Vinsanity ha stupito il mondo intero, qual è la più bella? “Tecnicamente la 360 Windmill è stata inimitabile: ho visto tanti dunker professionisti cercare di riprodurla, ma nessuno è mai riuscito a farla come lui. Senza ombra di dubbio, la schiacciata più bella di sempre”.

Anche te hai voluto lasciare il segno in quanto a schiacciate inedite, vero? “Ho fatto più di una schiacciata che nessuno ha mai realizzato e la lista si sta allungando, per fortuna…” Qual è stata la più difficile? “Underbox sotto due gambe con passaggio dal bordo del tabellone, assolutamente”.

(Ecco l’ultima perla di Mr. Jump: rollarm + 360 sotto gambe!)

Per gli spettatori, sembra un po’ di ammirare un quadro in movimento: in fondo, schiacciare è un gesto artistico purissimo, no? “Per me è assolutamente uno dei modi più belli per potersi esprimere. La pallacanestro, nel mio caso, mi stava un po’ stretta e non riuscivo appieno ad esprimere quello che ero in grado di trasmettere. Cerco di creare anche un mio stile: il bello è che non ci sono vincoli o regole”.

Un gesto artistico che, però, necessita anche di tanto allenamento e meticolosità: “L’attenzione verso i dettagli è fondamentale. Quando ti approcci per la prima volta ad una dunk sai già che dovrai lavorarci tanto: ogni schiacciata è diversa. Anche nelle differenti versioni di una stessa dunk, c’è sempre qualche dettaglio da sistemare. Per chi è neofita, cominciare dai canestri da minibasket è la cosa migliore: il salto passa in secondo piano e ci si può concentrare solo sulla tecnica”.

Va bene tutto, ma saltare diventa prima o poi essenziale. Per gli amanti dei numeri, tu quanto salti? “Il mio salto massimo è 1 metro e 15 centimetri”. Quindi, noi comuni mortali non ci dovremmo stupire più di tanto che tu sia riuscito a schiacciare pure in un canestro alto 3,45 m? “Esatto! (ride, ndr)”.

Chris Paul diceva “I can dunk! I can dunk, and not just in NBA Live”. Per schiacciare conta più “madre natura” o l’allenamento? “Sicuramente la genetica fa il suo lavoro. Una buona base fisica ci deve obbligatoriamente essere: non c’è dubbio che i ragazzi di colore abbiano una maggiore esplosività. Quando ho cominciato a schiacciare io saltavo pochissimo ed ero molto scoordinato. Anni e anni di pratica insieme a cuore e passione: non sono frasi fatte, è davvero questo il segreto. L’allenamento, la perseveranza e le motivazioni, alla lunga, permettono di superare anche i limiti fisici”.

Se si parla di cuore, non si può non menzionare il bronzo che hai vinto con la Nazionale al FIBA Dunk Contest 2016 del Mondiale 3×3: “Ho vinto prima il campionato italiano, con cui mi sono aggiudicato il pass per partecipare alla manifestazione: un’esperienza fuori dal comune”. Che sensazioni hai avuto quando sei arrivato in Cina? “Nonostante la stanchezza per il viaggio e il fuso orario fin da subito mi sono sentito bene. Già nelle qualifiche prima della gara ero andato bene, ma il giorno in cui si decideva tutto ero veramente carico. Il pubblico cinese mi ha dato una grandissima spinta e i risultati hanno sorpreso anche me”.

Una medaglia di bronzo che può far da traino per questo particolare movimento anche per i giovani italiani: “Certo! Uno dei miei obiettivi principali è proprio quello di aprire dei veri e propri corsi di dunk e far appassionare tanti ragazzi a questo che per me è uno sport a tutti gli effetti.

In Italia che situazione c’è al momento? “Il movimento in Italia ha, purtroppo, alti e bassi. Dopo il bronzo nel 2016 e la vittoria nel campionato italiano, nel 2017 non è stato organizzato nulla e per quanto riguarda il 2018, per ora, non mi è stato fatto sapere ancora niente. Andare ai Mondiali quest’anno sarebbe stata una bella vetrina per far conoscere questo movimento, peccato”. E il campionato italiano che fine ha fatto? “Non c’è più. In genere il campionato italiano veniva organizzato con cadenza annuale: si è andati avanti così fino al 2016, con la finale che si teneva a Riccione. Adesso è stata presa una strada differente per il Contest: preferiscono chiamare dunker professionisti dall’estero; indubbiamente sono fortissimi, ma così si toglie solo spazio ai dunker italiani”.

Nonostante la visibilità e il supporto in Italia siano sempre una chimera, così come si tenda a preferire sempre la scorciatoia verso il prodotto estero, senza valorizzare quello italiano, Marco sa già come affrontare la situazione: “Purtroppo, per me è molto più vantaggioso lavorare all’estero piuttosto che in Italia. Io e Salvo, però, non abbiamo assolutamente intenzione di arrenderci: oltre agli eventi in cui saremo presenti in estate, che si avvicinano sempre di più, stiamo cercando di farci conoscere il più possibile (il servizio mandato in onda qualche giorno fa su Italia 1 è un esempio perfetto) per raggiungere il nostro obiettivo. Sono sicuro che prima o poi ce la faremo”.

Un’altra immagine di Marco (foto dal profilo Facebook Marco MrJump Favretto)

Un viaggio e una sfida che, per l’appunto, Marco non sta più affrontando da solo: gran parte degli spettacoli vedranno partecipare anche Salvo Skyone, con cui condivide non solo gli allenamenti quotidiani e le schiacciate sul campo, ma anche e soprattutto una bellissima amicizia: “L’ho conosciuto ai campetti nel 2011: lui non aveva mai toccato una palla da basket e si è appassionato al movimento semplicemente perché gli piacevano le dunk che riuscivo a fare. Poi è entrato a far parte di Dunk Italy, con cui ha fatto spettacoli fino all’anno scorso: da gennaio, finalmente, abbiamo l’esperienza necessaria alle spalle per poterci esibire in due. Era il nostro sogno e gli show di gruppo cominciavano a starci stretti”.

Diverse soddisfazioni nel presente, ma senza dimenticare un attimo gli obiettivi fissati per il futuro: “Prima di tutto continuare a chiudere dunk nuove, perché è la mia passione. Poi far partire il progetto relativo ai corsi di dunk e far appassionare quanti più ragazzi possibile a questa disciplina. Infine un sogno: dato che bisogna sempre puntare in alto, ci piacerebbe aprire una federazione tutta nostra: voltandomi e vedendo da dove sono partito, non voglio più porre limiti ai miei sogni”.

“Ricordate sempre che la nostra unica ricchezza sono i sogni che facciamo da bambini”: se dovessi dare un consiglio ad un ragazzino che vuole seguire la tua carriera, cosa gli diresti? “Innanzitutto, una tale domanda è già una grande emozione per me. Deve allenarsi tanto e seguire la sua passione, senza farsi influenzare da nessuno. Ci saranno sempre persone che tenteranno di sminuire quello che provi a fare. Il segreto è non avere fretta. Si parte dai canestri di minibasket per allenare la tecnica e poi, crescendo, ci sarà tempo e modo anche per lavorare in palestra. L’impegno e i sacrifici vengono sempre premiati”.


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