Uno dei "voli" di Kam

Uno dei “voli” di Kam

A sentirlo parlare, innanzitutto, non si direbbe mai che vive in Italia da poco più di una decina d’anni, dopo essere nato e cresciuto ad Abidjan, in Costa d’Avorio. La sua proprietà di linguaggio, e la cura con cui cadenza le parole, farebbero invidia a molti ragazzi nati e cresciuti nello Stivale; ma anche caratterialmente, a chiacchierare del suo passato, presente e futuro, tra sogni nel cassetto e aneddoti curiosi, emerge il profilo di un ragazzo posato e con i piedi per terra. Ovvero l’opposto di ciò che è sul parquet. Eh sì, perché stiamo parlando di Kam Kader, membro di spicco degli ormai famosi Da Move, uno che sul campo da basket passa quasi più tempo in volo che con i piedi ancorati a terra, capace com’è di esaltare le folle con le sue irripetibili acrobazie. 27 anni, 191 cm di altezza e ben 110 di elevazione, negli ultimi quattro anni Kam ha partecipato ad oltre 180 show in tutta Europa e fatto incetta di premi da Milano a Terracina passando per Cesenatico, Modena e Rimini. Non male, per uno che gioca anche nel basket “ordinario”, in C Regionale, con la canotta dell’ambiziosa Nuova Vigentina.

Una vista aerea di Abidjan, la città più popolosa della Costa d'Avorio

Una vista aerea di Abidjan, la città più popolosa della Costa d’Avorio

Ma chi è – innanzituto – Kam Kader, e com’è diventato il re dei dunker?
Sono nato in Costa d’Avorio e nel 2002 ho raggiunto mia madre in Italia. Avevo 15 anni e ovvie difficoltà con la lingua, ma dall’Africa mi sono portato dietro l’amore per la palla a spicchi, scoperto poco prima di emigrare. Nel cambiamento è stata una delle cose a cui mi sono aggrappato, nel periodo in cui ero solo era l’unico sfogo. Le mie maggiori amicizie sono nate da quei momenti: ho conosciuto dei ragazzi che mi hanno portato a giocare a Vigevano e mi hanno permesso di coltivare la mia passione. Da questo è nata la mia storia con i Da Move, iniziata nel 2010: stavano cercando nuovi membri da integrare al gruppo e hanno chiesto un incontro per farmi conoscere la loro realtà, perché le mie doti atletiche mi permettevano di fare cose che per un ragazzo della mia età erano ecccezionali.

Doti totalmente innate o coltivate in tenera età?
A pensarci mi viene da ridere, perché c’è una storia buffa al riguardo: da piccolo ero molto vivace, ma i miei genitori non mi hanno mai messo le mani addosso. Però c’erano delle punizioni. Quella che mi infliggeva mio padre, una specie di squat tenendomi per le orecchie, si è poi rivelata molto utile per le mie doti atletiche. Se le ho raffinate con il tempo? In realtà non ne avevo mai preso consapevolezza. Semplicemente in campo, partendo con limiti tecnici rispetto a ragazzi che avevano iniziato a giocare molto prima di me, compensavo con la corsa, il salto, la difesa. Sono stati i Da Move a farmi prendere consapevolezza delle mie doti. Con qualche miglioramento tecnico, un po’ di immaginazione e soprattutto molto duro lavoro le ho potute affinare.

Qual è il tuo rapporto con i compagni della crew?
Con i Da Move mi trovo fantasticamente, ho trovato una seconda famiglia. Siamo un gruppo molto variegato, nell’attività così come a livello personale, ma ho trovato affinità con ogni membro, probabilmente perché parliamo tutti la lingua del freestyle. Questo ci permette di lavorare e di migliorare nel tempo.

Come concili l’attività dei Da Move con il basket “ordinario”?
Fortunatamente, essendo in C Regionale, gli allenamenti non rappresentano un impegno eccessivo, e con i Da Move ci siamo creati un ufficio/campo di allenamento, che chiamiamo “casa”, dove ci ritroviamo in base ai programmi di chi ancora gioca. La nostra attività si concentra tra primavera ed estate, quindi durante l’anno si riesce a conciliare tutto.

I Da Move sono stati accolti dal Papa in occasione della festa per i 70 anni del CSI

I Da Move sono stati accolti dal Papa in occasione della festa per i 70 anni del CSI

Le più belle esperienze vissute con i Da Move?
La recente esperienza in Vaticano è stata una delle più emozionanti che io abbia vissuto con la crew, ma anche una delle più belle della mia vita, per la manifestazione in sé e per la vicinanza del Papa e la sua semplicità. In questi anni abbiamo avuto modo di partecipare ai maggiori eventi cestistici sia in Italia sia all’estero: ricordo Bucarest, quando ci siamo esibiti in occasione di un prestigioso torneo in diretta nazionale, ma anche una gara delle schiacciate in Lettonia, mentre in Italia abbiamo accompagnato i tour firmati NBA.

Come viene percepito il vostro spettacolo in Italia? Negli altri paesi europei è lo stesso?
Parto da una premessa: il pubblico italiano è difficile da convincere, ma non impossibile. È vero, è un pubblico che si avvicina con scetticismo, ma negli anni abbiamo visto che non è un limite: se uno spettacolo è preparato nel modo giusto, non può stufare la gente. Rimangono differenze con alcune zone d’Europa o degli Stati Uniti, ma anche gli scettici finiscono sempre per farsi trasportare dallo spettacolo.

Le prossime tappe?
Mi sono preso una decina di giorni di riposo, o meglio lavoro fisico, per affrontare l’ultima parte del tour. Saremo a Rimini ad inizio agosto, poi ci sposteremo in Calabria.

Kam Kader

Kam Kader

Torniamo al tuo impegno con il club a Vigevano: affronti il basket giocato con ambizioni o per te rimane un’attività collaterale che porti avanti per passione?
Assolutamente no. È una passione, ma mi alleno ogni giorno per migliorarmi perché ho degli obiettivi. Questo è anche uno dei motivi per cui ho scelto Vigevano, una piazza dove non si gioca per classificarsi: se avessi accantonato i miei sogni avrei scelto una realtà meno impegnativa per potermi dedicare maggiormente ai Da Move. È la competitività che mi porta a rimanere qui e a voler compiere sempre il passo successivo. Finché avrò la possibilità di intravederne uno successivo, proseguirò su questa strada.

Segui il basket africano?
Sì, e seguo il campionato ivoriano. Quando sono tornato in Costa d’Avorio quest’anno ho cercato di avvicinarmi alla realtà cestistica locale, ora ho contatti con membri della federazione. Il livello ovviamente non è paragonabile a quello europeo, ma ci sono dei buoni giocatori. Ho tante idee da sviluppare al riguardo, ma come sempre in questi casi bisogna costruire nel tempo. Vedremo se il tempo e le forze a disposizione ci permetteranno di realizzarle.

Se potessi ricevere una convocazione in Nazionale, vorresti vederla arrivare da Roma o da Yamoussoukro?
Non voglio essere ipocrita: come giocatore, se una cosa del genere fosse possibile, la più allettante sarebbe la Nazionale italiana. Io sono cresciuto in Italia, ci ho passato quasi tanto tempo quanto in Costa d’Avorio, sono arrivato qui che ero bambino e ho un attaccamento particolare nei confronti di questo Paese. Giocare in azzurro potrebbe essere gratificante perché le competizioni che si affrontano sono livello ben diverso ma, se mai una convocazione arriverà, penso che possa arrivare solamente dalla Nazionale ivoriana. E poi, per quanto io possa essere presuntuoso, ci sono ragazzi in categorie superiori alla mia che hanno dato molto di più alla pallacanestro italiana e meriterebbero una convocazione più di me”.

Con un simile spirito e simili doti, certo, risulta difficile mettere limiti alla provvidenza; ma quel che è certo è che, per chi vorrà farsi coinvolgere dallo spettacolo, Kam continuerà a volare sopra il ferro nelle manifestazioni cestistiche di tutta Italia. Guidato, come sempre, dalla passione.


Si ringrazia Daniela Perozzi per la collaborazione