A Grosseto gioca un highlander che risponde al nome di Francesca Picchi. 55 anni compiuti lo scorso dicembre, Francesca è livornese e ha lo sport nel sangue: suo padre, Leo, è stato uno dei pochi atleti italiani (forse l’unico) ad aver giocato nella massima serie di basket (nel Guf Livorno) e di calcio (nelle fila del Torino post Superga), senza dimenticare suo zio Armando, leggendario libero della grande Inter di Helenio Herrera e della nazionale azzurra. Lei, invece, ha scelto la pallacanestro sin dalla tenerà età, fino a diventare una presenza fissa nelle minors (dalla A2 in giù) toscane. Ora il ritorno, in serie B, con la Gea Basketball Grosseto, alle prese con un basket che non è più quello di una volta. Come Francesca conferma in questa poco diplomatica intervista…

Picchi, lei è tornata a giocare a basket all’età di 55 anni. Ma chi gliel’ha fatto fare?
«Ho accettato perché, per quel che mi riguarda, giocare a basket è la cosa più bella che ci sia, la pallacanestro ha rapito gran parte della mia vita. E poi perché mettere ancora le scarpette è superlativo!».

Qual è stata la dinamica del suo ritorno al basket?
«Un venerdì di ottobre 2019 ho accompagnato la mia amica Camilla Amendola a un allenamento a Grosseto. Avevo con me l’abbigliamento da basket, anche se volevo fare al massimo un paio di corse. Invece l’allenatore, Luca Faragli, e la dirigenza, vedendomi giocare, mi hanno subito fatta prigioniera chiedendomi di unirmi a loro. Io non mi sarei mai proposta, ogni cosa ha il suo tempo nella vita, poi, dopo un mesetto, ho deciso di accettare».

Cosa le ha chiesto coach Faragli?
«Il coach mi ha chiesto di essere carismatica, ma è un compito difficile. Nel senso che sono le ragazze più giovani a sentirsi carismatiche, non emulano e non ascoltano, si riesce a comunicare poco. E questo è un punto a sfavore per chi ha conosciuto le gerarchie e la vera tecnica cestistica. Io ammiravo le giocatrici più grandi di me, le poche partite di basket che guardavo in televisione mi incoraggiavano e mi convincevano a provare certe situazioni da sola, cosa che continuo a fare ancora oggi. Adesso mi sento una mosca bianca, con le ragazze che non passano la palla e non usano la visione periferica o il colpo d’occhio. Generazioni distanti…»

Come giudica il campionato al quale sta partecipando?
«Il campionato, tecnicamente, è scarso, con ragazze notevoli dal punto di vista fisico ma che non sanno tirare o capire i momenti decisivi delle partite».

Le Fuoritempo, squadra con la quale Francesca Picchi partecipa al campionato Amatori

Mi sembra di capire che, dal suo punto di vista, il basket è molto cambiato rispetto a qualche anno fa. E non in meglio…
«Oggi il basket è un’altra cosa rispetto a prima, manca la musica delle retine e la tecnica è ridotta a salti, balzi, spinte e botte da ogni direzione. Non esistono tiratrici, passatrici, cervelli, solo tiro al piattello. Se dovessi dare un giudizio sarei in imbarazzo, perché non riconosco più i ruoli, tutti si improvvisano. Sono felice di aver giocato il basket dei miei tempi: eri premiata per le tue qualità tecniche e non per quanti canestri segnavi. Oggi, sinceramente, non mi trovo, provo emozione solo quando vedo entrare il pallone decisivo della vittoria o il passaggio illuminante in uscita dalle mie mani: mi appaga nel cuore! Quello che si gioca oggi è simile al basket ma non lo è…».

E i club, li trova cambiati?
«Dal punto di vista della gestione, le società sono cambiate inversamente a quello che erano un tempo: prima esistevano certi valori, oggi sono i temperamenti delle giocatrici a gestire l’aspetto organizzativo. Un tempo c’erano solo pane e basket, oggi le società scendono a compromessi per poter avere un certo numero di atlete… ».

Rimpiange qualcosa della sua carriera? Che so, qualche treno perso…
«Non ho mai preso la valigia per andare a giocare lontano, mi hanno cercato spesso ma amavo la mia città, il mio mare, andare a pescare o girare in bicicletta. Avevo tutto sotto casa e i soldi non mi sono mai interessati. A Livorno, i miei allenatori non mi hanno mai apprezzato molto, ma avevo compagne di squadra adorabili e di partite ne ho fatte vincere tante. L’unico rimpianto è quello di non essermi misurata in altri luoghi, forse per insicurezza, o forse perché volevo continuare a giocare per passione qui a Livorno, dove avevo tutto».

Quando ha intenzione di smettere? Se mai smetterà…
«Chi lo sa quando smetterò? Magari quando le mie ginocchia mi chiederanno un po’ più di olio del solito…».

Ha mai pensato di proseguire dalla panchina o da una scrivania?
«Dalla panchina per me sarebbe molto difficile: soffro senza scarpe ai piedi! Dalla scrivania potrebbe essere più facile ma non so, mi dovrei proprio innamorare di quello che vedo. E poi io sono una eterna giocatrice… ».