Torna la rubrica mensile che parla di numeri e basket NBA e che ha l’obbiettivo di spiegare, attraverso statistiche avanzante e non, le sensazioni e le impressioni che fornisce il rettangolo di gioco.

Premessa: la stagione in corso non ha ancora compiuto il primo mese di vita, per cui il campione di partite su cui parametrare i primi dati che i potenti mezzi di SportVU e Sinergy Sports mettono a disposizione su stats.nba.com indicano tendenze che nel corso della stagione possono variare in modo anche brusco.

In questo primo capitolo parleremo dei Miami Heat, una delle squadre più lanciate in questo inizio di stagione, che vissuta la prima e frustrante stagione senza LeBron James, sono decisi a ritornare nel basket che conta.

Fare un pronostico sugli Heat non è affatto facile ed è una delle squadre che in sede di preview ha destato più pareri contrastanti. C’è chi la reputa una contender ad est e chi la ritiene nel calderone di squadre che lottano per l’8° seed. I punti critici sono sempre i soliti: vengono da una stagione fallimentare le cui scorie potrebbero non essere del tutto smaltite, è una squadra infarcita di veterani che non offrono garanzie dal punto di vista fisico, sono troppo discontinui e sono pieni di punti interrogativi e scommesse da vincere. Troppe variabili in gioco per capire di che pasta siano fatti adesso.

C’è bisogno di tempo, perchè nonostante il quintetto base (sulla carta) si rimasto invariato rispetto alla stagione 2014-2015, i titolari non hanno mai giocato un minuto assieme prima dell’inizio di questa stagione e sono ancora oggi, dopo 3 settimane di regular season, un cantiere aperte alla ricerca delle sinergie e dei giusti equilibri.

Al momento in cui questo articolo è stato redatto il record degli Heat parla di 7 vittorie e 4 sconfitte, numeri in parte viziati dal calendario favorevole che ha portato gli Heat a giocare 8 delle prime 11 gare tra le mure amiche dell’American Airlines Arena (6-2 il bilancio). Heat che al momento hanno vinto 5 di queste 7 partite con uno scarto di almeno 10 punti.

Comunque in questo lasso di partite sono uscite fuori alcune tendenze che valgono la pena di essere analizzate.

 

DIFESA

In estate coach Erik Spoelstra aveva posto molta enfasi nel tipo di gioco da attuare: gli Heat volevano correre e giocare quanto più possibile in velocità.

Sta di fatto che in queste prime 11 gare il pace, ovvero il ritmo del gioco, sia rimasto pressochè invariato rispetto allo scorso anno (96.89 punti per 100 possessi, appena 3 punti al di sopra del lentissimo 93.26 della scorsa stagione), segnano poco (97,8 punti a partita, 22° in graduatoria) ma soprattutto tirano poco (80 tiri dal campo di media, 3 in più dello scorso anno, 29° in NBA), con percentuali dal campo quasi identiche alla stagione passata.

Ciò che è realmente cambiato è la difesa: gli Heat sono la squadra che ha fatto registrato il maggior differenziale del rating difensivo dalla stagione scorsa con un clamoroso +8,6 (da 103.8 a 95.2) che la rende la 2° difesa più efficiente del panorama NBA, dietro agli Spurs ma davanti i campioni in carica dei Warriors.

Gli Heat sono la squadra che concede agli avversari di tirare con la 2° percentuale più bassa dal campo nei tiri contestati con appena il 41%. In generale, proteggere il canestro è un vanto per la difesa Heat che rientrano nella top 10 di squadra che tengono gli avversari al di sotto del 57% in quell’area critica. Un trend che non si circoscrive sono al pitturato, ma si estende ai closeout sui tiri da tre punti, che vedi gli Heat concedere la 3° peggior percentuale del campionato dietro a Warriors e Knicks con il 30,6% da tre.

La mappa di tiro degli avversari contro gli Heat. Courtesy by Chartside

La short chart degli avversari contro gli Heat realizzata da Chartside (@chart_side su Twitter).

Il merito è da ricercarsi nella presenza in mezzo all’area di Hassan Whiteside, di cui parleremo più avanti, ma soprattutto dei giovani prospetti Justise Winslow e Tyler Johnson, due autentici conigli dal cilindro pescati da coach Spoesltra. Di Winslow – arrivato quest’anno dal draft e subito additato dagli addetti ai lavori come possibile steal – si diceva un gran bene, ma nessuno si aspettava questo impatto dal primo giorno. Johnson è invece tutta farina del sacco del coach di origini filippine.

L’IMPATTO DI WINSLOW E JOHNSON

Quando Winslow è in campo, il rating difensivo degli Heat arriva a toccare gli 89,8 punti per 100 possessi, ben 5 al di sotto della media di squadra, con un differenziale di quasi 14 punti per 100 possessi quando si siede in panchina e considerato che sta in campo per quasi 29 minuti a sera sono numeri che hanno un certo peso.

Johnson, un signor nessuno esploso sul finire della scorsa stagione, è il “game-changer” degli Heat. E’ uno dei migliori difensori sulla palla a roster, è un fascio di nervi dotato di un elevazione straordinaria che gli permette di nascondere gli appena 190 cm e quando entra in campo produce sempre qualcosa di buono, in difesa, ma soprattutto in attacco: con lui in campo gli Heat toccano i 103,7 punti per 100 possessi di OffRtg, il 2° miglior dato di squadra dietro a quello di Wade e dietro a Whiteside (i cui tiri sono quasi tutti nel pitturato) il 2° miglior Heat per eFg% (effective Field Goal %) con un eloquente 60% frutto del 54% dal campo e del 52% da tre (il migliore della squadra) su quasi 2 tentativi a sera.

La Heat Map dei tiri di Tyler Johnson realizzata da Chartside (@chart_side su Twitter)

La Heat Map dei tiri di Tyler Johnson realizzata da Chartside (@chart_side su Twitter)

Lui e Winslow sono i “soldati speciali” nei quintetti preferiti del coach, che storicamente è innamorato di giocatori in grado di portare in campo quella dose di energia e quella carica agonistica per rompere le partite (come soleva fare con Norris Cole e Chris Andersen negli anni del repeat).

Il loro impatto è stato talmente grande che sono tra i giocatori più utilizzati nei quarti periodi – per Johnson 9 con la chicca di essere sceso in campo nei 36 minuti di ultimi periodo nella striscia di 3 vittorie consecutive contro Raptors, Lakers e Jazz in cui sostanzialmente ha squarciato la partita – a discapito dei veterani Deng e Dragic.

PLATOON SYSTEM

La ripartizione dei minutaggi è uno dei fiori all’occhiello di questa partenza lanciata. Lo scorso anno la pessima qualità della second unit ha condizionato oltre modo il campionato degli Heat, per cui in estate Pat Riley si è mosso per allungare quanto più possibile la panchina. Sono arrivati veterani come Gerald Green e Amare Stoudemire, è tornato Josh McRoberts e l’esplosione dei già citati Winslow e Johnson offrono a Spoelstra una faretra piena di frecce da poter scagliare.

Nessun Heat gioca più dei 32,5 minuti di Chris Bosh e Dwyane Wade – che lo scorso anno ha dovuto fare gli straordinari ed è stato costretto a saltare quasi 20 partite – ne gioca appena 29,3, il suo minimo in carriera. Averlo fresco e riposato, ma senza perdere il ritmo partita potrebbe essere molto prezioso nel corso della stagione, perchè il buon vecchio Flash ha ancora “quei 5 minuti” nei quali torna vintage e prende possesso della partita.

In generale la rotazione degli Heat prevede 10 giocatori tra i 32 e i 15 minuti di utilizzo medio, ben 8 oltre i 20 minuti di impiego medio, una delle più ampie in NBA. Poche altre squadre fanno riposare i titolare più degli Heat: considerando che ad eccezione di Bosh e Dragic, nessuno membro dello starting five raggiunge i 30 minuti di media (e Winslow, il 6° uomo, gioca più di Deng…) e non è presente tra i primi cinque nessun finto titolare come in altre squadre (ad esempio a Dallas e Boston).

Il quintetto più efficiente che Spoesltra mette in campo è quello composto da Goran Dragic e Wade in guardia, Whiteside da unico lungo, Winslow che subentra a Bosh dopo pochi minuti di partita e Deng che scala nella posizione di 4. Con questa lineup l’OffRtg degli Heat diventa 116,5, il DefRtg scende a 76,1 e il NetRtg schizza a +40,4, il 4° migliore della lega. Con questi 5 in campo il pace vola a 102,91, il più alto della squadra, e non è un caso che la prima spallata alla partita gli Heat la tirino proprio da metà primo quarto in poi.

IL VALORE DI HASSAN WHITESIDE

L’ex 2° scelta dei Kings nel 201o  sta registrando numeri da capogiro in difesa, come le 4,5 stoppate a partita (7 team NBA hanno stoppato meno di lui da solo) con cui sta dominando la speciale graduatoria e gli oltre 11 rimbalzi agguantati che lo rendono 4° assoluto dietro a mostri sacri come l’inarrivabile Drummond, Jordan e Love..

Gli avversari quando provano a tiragli in faccia calano drasticamente le loro percentuali fino al 41% – 10° in graduatoria tra i giocatori che contestano almeno 4 conclusioni a sera e stanno in campo almeno 20 minuti – frutto  degli schemi difensivi degli Heat che lo portano ad essere un baluardo d’area per sfruttare il suo tempismo, le sue lunghe leve e la sua abbondanza di centimetri. Per la prima volta da quando è Head Coach, Spoesltra è tornato a strutturare la difesa in modo più conservativo attorno al proprio centro stando ai patti di concedere qualcosa di più ai lunghi più perimetrali. Secondo i dati forniti da SportVU Whiteside è presente nei pressi del ferro su 11 tentativi avversari a sera, il dato più grande dell’intera NBA.

E’ una calamita di rimbalzi difensivi. Con lui quest’anno gli Heat sono passati dall’essere lo zimbello della lega (lo scorso anno appena 39 a gara, quest’anno quasi 45) a una squadra di media fascia nella lotta a rimbalzo. Ne recupera ben 8,5 a sera sulle 12,3 chance che gli capitano, pari a una percentuale del 69%, dietro solo a Drummond e Jordan, perchè appunto, come scritto poco sopra, non si allontana mai troppo dal ferro per scelta del coaching staff e per indole personale (gioca per il contratto della vita ed è molto più attento alle sue cifre che al fare la cosa giusta).

In sintesi: è un difensore di istinti e stazza che intelligentemente Spoelstra sfrutta in tutti i suoi pregi. Però quando è in campo il DefRtg degli Heat dice 97,4 punti per 100 possessi, peggiore della media di squadra, invece quando è a sedere il dato migliora, scendendo a 91,9. Questo perchè al suo fianco Chris Bosh – che negli ultimi 5 anni si era specializzato nell’essere un 5 estremamente eclettico e mobile in difesa – fa fatica a riabituarsi a correre dietro ai 4 che girano oggi.

Piuttosto è un rimbalzista d’attacco di eccellenza: ne prende 2,8 a sera (4° in NBA) ma l’83% sono contestati (Drummond che spadroneggia con 6,4 carambole offensive a partita, ne catture nel traffico il 74%) e questo perchè ha tempismo innato, ma soprattutto sa muoversi nei pressi del ferro, spesso a seguito di un pick & roll o riempiendo gli spazi giusti.

A proposito di Pick & Roll, gli 1,29 punti per possesso che segna da rollante sono il dato più alto nella NBA, davanti al compagno di squadra Bosh. Ogni sera sono quasi 3 i tiri (18% del suo fatturato) che avvengono dopo il “roll” che trasforma con un fantastico 78% (di gran lunga il 1° in NBA), frutto delle collaborazioni a due con Dwayne Wade (che assiste il 33% dei suoi canestri totali), che scaturiscono alleyhoop a go-go.

E’ un autentico animale d’area che permette agli Heat di dare una profondità al loro gioco che non avevano dai tempi di Shaquille O’Neal. Dei 115 tiri che si è preso finora dal campo, solo 11 sono avvenuti al di fuori dell’area dei tre secondi.

La shot chart di Whiteside realizzata da Chartside (@chart_side su Twitter)

La shot chart di Whiteside realizzata da Chartside (@chart_side su Twitter)

E’ molto utilizzato anche in post basso, ma non sempre è concreto. Tra i giocatori con almeno 40 possessi in post basso è penultimo per punti per possesso davanti solo a Drummond, e primo per frequenza di palle perse.

MARGINI DI MIGLIORAMENTO

E’ in attacco che gli Heat possono e devono migliorare. Contrariamente allo scorso anno – in cui sembrava di assistere a una squadra uscita dagli anni 90 per quantità di isolamenti o tiri dal midrange tentati – Spoesltra ha istallato un sistema offensivo Princeton-oriented, molto più vario di soluzioni, che prevede più movimento di palla, molti più Hand-off (per sfruttare le doti di passatori di Bosh e McRoberts), tanto pick & roll centrale, penetra e scarica, e triple dagli angoli.

Il fatto è che a roster non sono presenti tiratori affidabili. Gli Heat tirano molto da tre e dagli angoli (sono 4° per quantità di corner 3s ma 30° per percentuale, appena il 29%), si prendono molti tiri aperti (tiri con avversari distanti almeno 1 metro e mezzo) ma li segnano con un insufficiente 28% dal campo e in generale anche dal midrange (il punto di forza di Bosh e Wade) non brillano.

la shot chart dei Miami Heat realizzata da Chartside (@chart_side su Twitter).

la shot chart dei Miami Heat realizzata da Chartside (@chart_side su Twitter).

Ma c’è fiducia, perchè la nuova filosofia offensiva sta creando opportunità per tutti i giocatori – come dimostrano le recenti sfuritate realizzative di Johnson, Bosh e Whiteside – e stanno riducendo il numero di isolamenti (frequenza dell’8% dei possessi totali lo scorso anno, sotto al 5% in questo inizio di stagione) per innalzare quello dei giochi a due (3° per frequenza e 2° NBA per punti per possesso) secondo i dati presi da Sinergy Sports. Fantomatico il dato riguardante Dwyane Wade, che lo scorso anno si isolava su un quarto di campo il 30% dei suoi possessi offensivi e quest’anno ha ridotto la mole fino al 19%.

IL FALSO DUALISMO WADE/DRAGIC

A proposito di Dwyane Wade. Lui e Goran Dragic non stanno segnando molto, anzi, a primo impatto potremmo dire che stanno segnando poco, o erroneamente pensare di che non riescano a convivere. Il primo griffa 17,8 punti a sera con 15,9 tiri dal campo, il secondo appena 10,9 con meno di 10 tiri.

 

Sono due giocatori agli antipodi che amano giocare a velocità diverse, ma sono essenziali nelle proprie aree di competenza.

Wade si sta specializzando nel ritagliarsi i momenti della partita in cui mettersi in proprio, quando la squadra sta faticando a trovare il canestro oppure c’è bisogno della sua leadership e il suo sangue freddo in un momento critico. Con lui in campo si corre meno, ma si attacca meglio, passando al 98,7 di OffRtg senza di lui al 104,5 con lui in campo.

Gli Heat non corrono (ancora) ai ritmi che sono più congeniali a Dragic, ma lo sloveno rimane pur sempre uno dei giocatori di prima fascia NBA per quanto riguarda finire al ferro con il suo 60% di realizzazione in vernice, da cui proviene il 44% totale dei suoi tiri. Questa più di tutte è stata la caratteristica che ha spinto Riley e Spoelstra a premere il bottone lo scorso febbraio e sacrificare una parte del futuro Heat per portarlo in Florida.

All’inizio si pensava a un matrimonio felice con i lunghi Heat, Whiteside e Bosh, che per caratteristiche speculari, nei roll o nei pop potevano fare faville con lo sloveno, ma in realtà è Wade che li rifornisce maggiormente di palloni e quello di Dragic è più un approccio “alla Steve Nash”, tra l’altro suo mentoreIl suo marchio di fabbrica è il penetra (9,6 volte a partita) e scarica (5,7 volte a partite i palloni escono dalla sue mani verso un compagno), non chiude mai il palleggio “alla Steve Nash”, il 59% dei passaggi in uscita sul totale delle penetrazioni lo posizionano al 1° posto assoluto in NBA ma dei 4,6 assist che smazza a incontro solo 1,2 sono destinati ai lunghi. Non c’è da sconvolgersi se passa da partite da 2 a gare da 9/10 assist, visti gli alti e bassi al tiro da fuori degli Heat.

E’ ancora presto per dirlo, ma i nuovi Miami Heat sono decisamente più efficienti rispetto alla passata stagione, e continuando su questa falsa riga potrebbero togliersi diverse soddisfazioni e diventare quella mina vagante che nessuna squadra vorrebbe mai incontrare sul proprio cammino.