“Gli anni di Drazen Petrovic. Pallacanestro e vita”, di Stefano Olivari, ed. Indiscreto – 20 euro

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“E’ un uomo in grado di trascinare, è nato capo. Con lui, dieci uomini sono un esercito. Dove si arriva dopo giorni di ragionamento, lui arriva in un attimo. Lo uccidete… e lo rivedete vivo. Riuscite a prenderlo, ma è già scappato. Non combattete solo un uomo, ma una leggenda”

Monsù Oscar Eleni, per controbattere scherzosamente alla geniale invenzione lessicale di Enrico Campana, ribatterebbe chiamando Drazen Petrovic – il Mozart dei Canestri –  il Sandokan di Sebenico. 

Non sarebbe un’iperbole, né un’esagerazione: Drazen Petrovic, non certo e non soltanto per la sua repentina morte che abbiamo appena commemorato, nel giugno del 1993, su una maledetta autostrada tedesca in località Denkendorf, vicino a Ingolstadt, è stato l’epitome di una leggenda. Da quel giorno di giugno, il 7, il sole ha smesso di splendere sulla Croazia e su Zagabria, e soprattutto sul cimitero del Mirogoj, dove Drazen riposa con gli onori riservati a un’icona, poco distante da un’altra figura di folgorante grandezza del basket jugoslavo, quello cantato da Sergio Tavcar (uno dei tanti co-protagonisti di questo bello, bellissimo, intensso libro che Stefano Olivari ha dedicato all’epopea di Draze, dopo anni di lavoro): Kresimir Cosic.

Drazen Petrovic, dunque, ripercorso come un’epifania dello spirito attraverso le sue multiformi esperienze agonistiche: Sebenico (la squadra della sua città, ascesa alla gloria europea grazie a lui), il Cibona (la parentesi emotivamente più forte, per i drazeniani ortodossi), il Real Madrid e la carriera Nba, prima l’incolore parentesi a Portland, quindi la gloria raggiunta coi New Jersey Nets, entrando nel novero dei più grandi nell’epoca dei Jordan, dei Magic, dei Bird.. Una cavalcata trionfale, una sinfonia appunto mozartiana fatta di continui acuti e suonate capace di deliziare.

QUELLA FINALE CON RIETI..TU CHIAMALA, SE VUOI, OSSESSIONE

“Mi sono assunto, com’è mio costume, la causa generale dei disgraziati” Lucio Sergio Catilina

“C’era qualcosa, nel suo gioco e nella sua personalità, che trascendeva la pallacanestro e faceva entrare lo spettatore in un’altra dimensione. Le sue non erano partite, ma sfide continue agli avversari e a sè stesso’, scrive l’autore. Tavcar la chiamerà ‘ossessione per il gioco’. A 16 anni, nel 1980, Drazen (una guardia che non si può neppure definire ‘solo’ tiratrice, dacché il suo è un basket totale) prende per mano il Sibenka sino ai vertici del basket jugoslavo ed europeo: Moka Slavnic, più vecchio di Drazen e già onusto di gloria, fa coppia con lui in un quintetto che passa alla storia del cesto balcanico, Slavnic-Petrovic-Saric-Vucica-Slavica. Ortodossia pura, in piena guerra fredda e autarchia cestistica. Nel 1981 Drazen ha 17 anni, eppure trentella con soave lievità. Nella coppa Korac di quell’anno, Sibenico affronta l’Acqua Fabia Rieti di un giovane Brunamonti, Zeno e del grande Willie Sourjorner. A Rieti si studia per marcare Dranze con Brunamonti e Sanesi; niente da fare, 40 punti di Drazen e vittoria 104-99 al supplementare (lo diciamo nel giorno dopo la morte del grande Renato Milardi, presidente e artefice del miracolo del basket rietino). Drazen perderà solo in finale contro Limoges, nel palazzo di Padova. Dopo la famosa sconfitta ‘politica’ contro il Bosna nella finale scudetto jugoslava del 1982 (Sebenico vince sul campo, il giorno dopo la vittoria viene cancellata giudicando fuori tempo il fallo di un giocatore di Sarajevo: la politica, nel regime di Tito, valeva molto più del campo), nel 1984 Drazen spicca il volo verso il Cibona Zagabria dove trova suo fratello Aco (più vecchio di qualche anno, rispetto al Diavolo di Sebenico) ma dove soprattutto ascenderà alla definitiva. Gloria. Il suo stipendio dell’epoca? Corrisposto in dinari, equiparabile a 1.000 dollari al mese.

LA NOTTE DI SABONIS E JUNGEBRAND

zar sabonis

“Urlava di dolore e di vittoria e non capiva niente e si teneva stretto al ramo, alla spada, nel momento disperato di chi ha vinto la prima volta ed ora sa che strazio è vincere, e sa che è ormai impegnato a continuare la via che ha scelto e non gli sarà dato lo scampo di chi fallisce” Italo Calvino 

Nella stagione 1984-85, Drazen ha 20 anni e con indosso la maglia bianca del Cibona e a fianco comprimari di assoluta grandezza (Cutura, Arapovic padre, Nakic, suo fratello Aco) entra dritto nella storia del basket europeo, incantando nei gironi di coppa dei Campioni: Mirko Novosel in panca, il Cibona perde a Bologna contro la Virtus 81-72 (Drazen 31), vince col Maccabi (31), perde col Bancoroma di Bianchini (28). Con una media stellare di 31 punti per  gara, Drazen è il top scorere e il 3 aprile 1985 sfida il Real Madrid in finale. Dirimpetto, Drazen si trova giocatori del calibro di Iturriaga, Corbalan, il compianto Fernando Martin. Niente da fare: 10 punti nel primo tempo, 26 nel secondo, Drazen dice 36 e il Cibona alza la sua prima Coppa dei Campioni, 87-78. Al suo fianco un altro grande veterano come Andro Knego. Nella stagione successiva, 85-86, l’apogeo: Drazen viaggia a 43 punti di media nel campionato slavo e a 37 in coppa Campioni: 44 rifilati al Maccabi di Berkovitz, 47 l’11 dicembre 1985 alla Simac di D’Antoni, Peterson, Gallo sr. e Russ Schoene, 49 a Madrid contro il Real. Un anno dopo, il 3 aprile 1986, ci sono un sacco di italiani sintonizzati e osannanti davanti al teleschermo, telecronaca di Tavcar: la finale di coppa dei Campioni è Cibona Zagabria-Zalgiris Kaunas. Drazen contro il Principe del Baltico, al secolo Arvidas Sabonis, l’unico la cui grandezza poteva non essere abbacinata dal talento di Mozart. E’ una notte da Titani, allo Sportcsarnok di Budapest, dove al tramonto dell’impero sovietico si scontrano una squadra jugoslava che diverrà croata ed una russa che diverrà lituana, rendendo plasticamente l’idea della dissoluzione post diaspora. Arbitra una leggenda come Carl Jungenbrand, che vede Sabonis sferrare un pugno a Nakic: espulsione per lo Zar, che finisce con 27 punti in 31 minuti. Ne segna 24 il grande Cveticanin, ne mette 22 Drazen, seconda coppa dei Campioni issata al cielo e in fila.

DUE DELUSIONI IN FILA E L’ANNO DI MADRID, PRODROMO DELLO SBARCO NEGLI STATES

Nando Gentile B&W

“Il Furibono Serna, il nostro Fuser Nando Gentile (Ernesto Che Guevara, ndr), che non abbandonava mai il campo, anche alla fine dell’allenamento, un po’ come il fratellastro Vincenzino Esposito, ci  è rimasto nella mente anche quando non era più un giovane principe, ma stava diventando una persona diversa, perché anche i rivoluzionari, se non cadono prima, finiscono per alzare le braccia davanti a chi sostituisce il fucile con il cannone, mentre loro continuano a girare fidandosi soltanto della pistola” Oscar Eleni

Dopo aver perso ancora una volta la finale di Korac contro il Real Madrid, Drazen cede al cospetto dell’ultima Russia schierata alle Olimpiadi del 1988 di Seul: Sabonis detta legge, lo supporta Marciulonis, Jugoslavia battuta in semifinale e oro al colonnello Gomelsky, che batte persino gli Usa di Robinson, Majerle, Jr Reid e Augmon. Seguirà la parentesi (non propriamente dolce) di Madrid: con la camiseta blanca del Real, Drazen- che non viene pienamente colto né amato- mette la sua firma soprattutto sull’epica finale di coppa delle Coppe contro la Snaidero Caserta di Franco Marcelletti. E’ il 14 marzo del 1989, al palazzo della Pace di Atene. Il Real schiera Rogers, Biriukov, Martin, Cargol.. La Snaidero è capitanata da Nandokan Gentile e Oscar, al loro fianco Glouchkov, Dell’Agnello, baby Esposito, il veterano Polesello. Finisce 117 a 113 al supplementare, con Drazen che dice 62, con 12 su 14  da 2, 8 su 16 da tre e 14 su 15 ai liberi. Non sono da meno Mao Santa e Nandokan: 44 e 32 in una partita che scivola dritta nei memorabilia del gioco. In finale di Liga, invece, Drazen subisce l’onta cocente della sconfitta in gara 5 contro il Barca. E’ deciso: si vola in Nba.

IL NONNISMO DELL’NBA E LA SOFFERENZA DELLA CRISALIDE

Il Dražen Petrovič Memorial Center

Il Dražen Petrovič Memorial Center

“Perché, nonostante l’inevitabile disincanto di una vita che è stata in fondo sprecata in un paese come il nostro, dove cinismo, opportunismo e disincanto e mediocrità han sempre la meglio, lui rimane, ostinatamente, disperatamente, un uomo che insegue sogni”

Dopo una serrata corte di agenti e staff di squadre americane, Drazen sbarca il 3 novembre 1989 in un’Nba dove gli europei sono reperti quanto meno rari. Lo firmano i Blazers appena acquisiti da Paul Allen,  co fondatore di Microsoft. Allenatore Rick Adelman, quintetto da brividi old timers: Porter, Drexler, Kersey, Williams e Duckworth. Drazen soffre, al confine delle rotazioni: finisce la stagione con 12 minuti e 7.6 punti per gara. Nell’inframezzo, l’ultima nazionale jugoslava della storia domina come per riscatto divino (prima della sua dissoluzione politica) i Mondiali del 1990 in Argentina, dove una squadra formata da Drazen, Kukoc, Radja, Danilovic, Paspalj e Vrankovic (….) fa uno spezzatino degli avversari, li batte alla slava (irridendoli): 100 a 77 alla Grecia di Galis, 99-91 agli Usa comandanti da coack K e Mourning, Kenny Anderson e Laettner. In finale è un 92-75 contro l’Urss: Drazen mette in mostra tutto il suo campionario di passaggi, canestri, pugni alzati, inconfondibile palleggio. E’ la storia che celebra se stessa.

In Nba anche la seconda stagione a Portland comincia sotto pessimi auspici, fino al 23 gennaio 1990, quando Drazen viene ceduto (in una benedetta trade) ai Nets, a quel tempo a New Jersey. Allenatore Bill Fitch, stipendio da 1.200mila dollari (a salire fino a 1.675mila). La musica cambia, Drazen ne mette 14 in 20 minuti contro i Lakers. Intanto la Jugoslavia diventa una polveriera, i croati rompono coi serbi (e Drazne con l’amico Vlade Divac, arrivato anni prima proprio a LA), all’All Star Game 1992 Drazen disputa la gara da 3 contro Dell Curry, padre di cotanto Steph. ‘Petro’, lo chiamano così, finisce la stagione a 20.6 di media in 37 minuti. Anche tra i pro, insomma, il Diavolo di Sibenico è diventato un crack. Perde la finale olimpica di Barcellona contro il primo Dream team Usa, intanto in Nba trentella contro Houston, infila molte gare in pieno e totale controllo, s’infortuna e finisce la stagione 92-93 a 22.3 punti di media col 45% (!) di media nel tiro da 3. Drazen, ormai, è una stella cui propongo estensioni contrattuali che oggi varrebbero dai 15 ai 20 milioni di dollari annui.

EAST RUTHERFORD, NJ - 1991: Drazen Petrovic #3 of the New Jersey Nets pumps his fist against Bobby Hansen #10 of the Chicago Bulls during a game in 1991 at Brendan Byrne Arena in East Rutherford, New Jersey. NOTE TO USER: User expressly acknowledges that, by downloading and or using this photograph, User is consenting to the terms and conditions of the Getty Images License agreement. Mandatory Copyright Notice: Copyright 1991 NBAE (Photo by Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images)

Ma siccome gli Dei del Basket pensavano di averlo dispensato a sufficienza, al cospetto di noi umani, il 7 giugno 1993 Drazen fa ritorno nell’Olimpo da cui era arrivato, figlio di Jovan e Biserka e fratello di Aco.

LA VERSIONE DI ACO, SPAHIJA, TAVCAR E BOSCIA

Foto Marco Bogoni

Foto Marco Bogoni

La parte più bella del libro di Stefano Olivari, con ogni probabilità, è l’appendice con le interviste a Neven Spahija (amico d’infanzia), Boscia Tanjevic, Sergio Tavcar e Aco. Ma è una parte talmente intensa, che dovete leggerla integralmente. Sussultando emotivamente, com’è occorso a noi. Essenziali, per capire l’uomo (prima del giocatore).

“Ecco, ora scompaiono i volti e i luoghi. Assieme a quella parte di noi che li aveva amati. Per rinnovarsi, trasfigurati, in un’altra trama”. Ts Eliot