Sergio Tavčar

Sergio Tavčar

Le Final Four di Londra ci hanno portato una buonissima ed una pessima notizia. La buonissima notizia è che, come nei film, la virtù è stata premiata, nel senso che a vincere è stata la squadra formata dai giocatori sicuramente sulla carta più scarsi come somma di tasso tecnico, ma chegiocando a basket, giocando di squadra, hanno distrutto più che battere le supposte (nel senso proprio di cialde cilindriche…) corazzate che si sono trovati davanti. La pessima notizia è dall’altra parte la totale insipienza dimostrata dalle altre tre partecipantiche sulla carta apparivano squadroni formati da grandissimi giocatori. Il Barcellona è stato patetico. Contro il Real è stato tenuto in piedi da tiri assurdi di Marcelinho che, infatti, nel finale è ridiventato il Marcelinho solito, cioè una fulgida sciagura, regalando la vittoria al Real portato sulle spalle dall’infallibile fromboliere Reyes (!?). Inciso: non so da dove vengano le voci che vorrebbero che io reputi Reyes un brocco.

Al contrario: Felipe è il classico tipo di giocatore (dico Mason Rocca, Brunner, per capire il tipo) che io vorrei sempre in una mia squadra proprio per quello che sa dare, perchè da sempre quello che sa e non tenta di fare cose di cui non è capace, che fa solo il lavoro giusto, quello sporco, che è dotato di una straordinaria intelligenza ed ora anche esperienza cestistica. Cosa potrei volere di più? Certo, il giocatore è quello che è, dunque da lui mi attendo tutto, ma non certamente che possa essere lui quello che mi segna i canestri decisivi e, se lo fa, si tratta di un’eccezione che suona come una pesante condanna nei confronti dei più rinomati compagni che sono in campo proprio per quello e non certamente per sbucciarsi i gomiti. Dico di più: il minutaggio di Reyes quest’anno al Real mi sembra incomprensibilmente ridicolo. Per me è un giocatore almeno da 25-30 minuti a partita. Tornando al Barcellona ed al suo ineffabile coach l’ultimo attacco contro il CSKA (va bè, era la finalina che non contava un piffero, ma insomma, già che ci sei, prova a vincere…o no?) è stato una cosa che se io sono il datore di lavoro di Pascual lo licenzio in tronco seduta stante non prima però di avergli fatto misurare tutto il perimetro del parquet a suon di calci nel sedere. Metti in campo MarcelinhoNavarro (che aveva da solo tenuto in piedi tutta la squadra dall’alto della sua immensa classe), Jasikievičius (che qualche finale di partita importante l’ha già giocato in vita sua e non difetta certamente nè di capacità, nè di tecnica, nè di passaggio e nè di tiro) più Tomić e Lorbek, i due unici lunghi dotati di cervello. Perfetto. Uno che ha fatto qualche panchina in leghe infime pensa: palleggia Jasikievičius, cerca comeprima opzione Navarro che uscirà a ricciolo da qualche blocco, su Navarro arriverà per forza una chiusura e lascio Jasikievičius leggere la situazione per scaricare eventualmente su Marcelinho, se è solo, oppure a uno dei due lunghi per un gioco alto-basso Lorbek-Tomić (che aveva già fatto polpette dei vari Kaun – brocco – e Krstić – ex giocatore), soluzione fra l’altro che personalmente avrei altamente caldeggiato, soprattutto perchè nel demenziale basket di oggidì un passaggio sotto nell’ultima azione non viene quasimai contemplato, tanto che sarebbe stato una clamorosa sorpresa, garantito.   E invece cosa succede? Palleggia per 20 secondi Marcelinho, nettamente il più decerebrato dei cinque del Barcellona in campo, Jasi e Juan Carlos assistono attoniti, Erazem e Tomić pure, alla fine Marcelinho tira un tiro sbilenco e finisce la partita. Questo, cari amici, è un vero e proprio crimine nei confronti del basket quale nobile arte. E merita il massimo della pena, leggi perpetua interdizione per Pascual dal sedere su una qualsiasi panchina di qualsiasi categoria. Insomma, per me merita la radiazione dal basket. Quando ci vuole, ci vuole.

Sul CSKA c’è probabilmente poco da dire. Messina ha sicuramente preparato in modo eccellente la partita contro l’Olympiacos, in quanto nel primo quarto si vedeva chiaramente la strategia difensiva che mirava a limitare, riuscendovi, gli avversari percepiti quali più pericolosi, Spanoulis, Papanikolaou e Printezis. E infatti la difesa del CSKA, se fate mente locale, alla luce anche del nubifragio di canestri che poi ha subito il Real in finale, ha retto per tutta la partita. Dunque, da questo punto di vista, nulla da dire. Il problema è stato incredibilmente l’attacco. Dopo un buonissimo inizio si è volatilizzato WeemsKrstić e Kaun sotto canestro più che sbagliarenon vedevano neanche il canestro, Kaun addirittura sembrava avere le mani insaponate, Teodosić è sempre più indisponente, in preda ad un’involuzione talmente grossa da lasciare adito a sospetti che possano esserci addirittura cause extrasportive, altrimenti un rimbecillimento del genere è inconcepibileJackson, o come diavolo si chiama, è giocatore da panchina del KrkaHrjapa è unostraordinario giocatore che è però sempre andato a ruota degli altri, nel senso che lui è fenomenale se la squadra gioca bene, ma non ha mai trascinato lui la squadra. E ancora: Erceg e Micov hanno dimostrato, purtroppo, di essere grandissimi giocatori di seconda fascia, capaci cioè di essere giocatori chiave in realtà medie, tipo Cantù o, che ne so, Bilbao, ma che non possono essere giocatori decisivi in squadre di vertice. Insomma, onestamente pensavo che il CSKA fosse molto più forte, ma a Londra la squadra ho paura che abbia gettato la maschera e che le vere capacità dei singoli siano quelle viste e non certamente quelle che si pensava fossero.

Capitolo Real: avevo scritto (verificate) che il giocatore chiave sarebbe stato il Chacho Rodriguez. Non certamente perchè io pensi che lui sia un fenomeno, ma perchè è in realtà l’unico giocatore del Real con la mentalità del play che, se opportunamente diretto, avrebbe potuto tenere la squadra in mano. Si può anche giocare a folate, sull’onda dell’ispirazione momentanea, come fatto nel primo quarto contro l’Olympiacos, ma quando il gioco si fa duro bisogna cominciare a ragionare, scegliere le soluzioni giuste, risicare e rosicare, cercare falletti, calare la saracinesca in difesa, trovare i ritmi giusti e le soluzioni giuste in attacco, bisogna cioè avere un piano di gioco che nei momenti di massimo stress permetta di giocare quasi in automatico. Cosa che il Real non aveva e infatti, come detto nel commento TV, quando l’Olympiacos ha mandato in campo i marines, i vari Katzivelis, Sloukas, Perperoglou e Vattelapeskas vari, la squadra si è letteralmente sfaldata. Aggravante il fatto che Laso abbia messo in campo Rodriguez proprio in quel periodo, praticamente bruciandolo, visto che è salito sulla plancia di comando di una nave che stava affondando e non aveva nessuna possibilità di tenerla a galla. Non ci sarebbe riuscito nessuno, neanche Magic. Tutti dicono: i vari Mirotić, Suarez, Carroll e compagnia hanno fatto molto poco ed hanno deluso. È ovviamente vero, però loro sono giocatori che giocano quando la squadra gioca. Se non vengono messi in condizione di dare il massimo, da soli non sanno farlo. Per cui la colpa non è certamente loro, in quanto sono stati alla somma delle somme dei non pervenuti.  E poi c’è Rudy, che, forse perchè ha giocato nell’NBA o forse perchè lui è proprio così già dai tempi nei quali Aito (altro esempio di straordinaria volpe delle panchine) alla Juventud (pardon, Joventot) gli lasciava fare convoluttà i cavoli propri fuori da qualsiasi logica di squadra, è uno che gioca da solo, esempio dei più perniciosi giocatori anti-squadra che ci possano essere.

E infatti l’Olympiacos ha vinto da squadra. C’era da lustrarsi gli occhi vedendo la metamorfosi di giocatori che avevano a malapena raggiunto i quarti, che contro l’Efes avevano seriamente rischiato l’eliminazione e che erano arrivati alla Final Four perchè per sbaglio avevano gara cinque in casa, diventare un blocco granitico, uno per tutti, tutti per uno, che hanno dato tutti il massimo possibile nell’ambito delle proprie capacità, dai Vattelapeskas citati sopra al matador Spanoulis che è salito in cattedra solamente quando i suoi compagni avevano già sfiancato il toro a suon di picas e banderillas. Forse anche perchè non avevano in cuor loro nulla da perdere, rendendosi conto che sulla carta i favoriti erano gli altri, hanno giocato con la mente sgombra ma nel contempo estremamente focalizzata sulle cose giuste da fare, hanno preso i tiri che dovevano prendere (mettendoli!!), hanno alternato nel modo migliore le soluzioni da fuori con quelle da sotto, hanno difeso in modo spasmodico per tre quarti, ma alla fine, quando uno mi dice che a vincere è stata la loro difesa rispondo subito di guardare il risultato finale che recita 100 a 88 con 90 punti in 30 minuti. Alla faccia! Che a vincere sia stato per una volta tanto l’attacco, o voi cultori esimi della difesa super omnia? A me il sospetto viene, e molto forte. E poi, quando sotto canestro hanno Antić e Hines, giocatori piccoli e che non saltano, ma che conoscono il basket fino al midollo, che per tutta la partita non hanno fatto una ca…ta che fosse una, che ogni cosa che facevano era funzionale al progetto di vincere la partita, allora diventa anche facile giocare. Vi dice qualcosa la parabola di Memphis con Gasol e soprattutto Randolph sotto canestro? Quante giocate da highlight avete visto loro fare? O Joakim Noah, se è per quello? Chissà, forse per il basket vero c’è ancora speranza. Forse pian piano riuscirà a infiltrarsi nelle coscienze narcotizzate dai lustrini e dai voli spettacolari sopra il ferro la consapevolezza che per vincere a basket bisogna, appunto, giocare a basket. Se poi si corre e si salta, tanto meglio. Ma le vere priorità sono da tutt’altre parti. Se questa Final Four riuscirà solo un poco a smuovere queste acque putride e stagnanti, allora le perdoneremo ampiamente il fatto di averci fatto vedere in due giorni e quattro partite all’opera una e solo una squadra di basket.

 

sergiotavcar.com