Dario Saric (Foto: FIBA.com)

Dario Saric (Foto: FIBA.com)

Dunque Dario Saric, cotanto smisurato talento, 208 centimetri per 20 anni d’età, la pratica religiosa del cesto croato introiettata su un corpo flessuoso e potente, su movimenti aggraziati e mortiferi in post, dalla media o dalla lunga distanza, ha lasciato sul parquet una discreta parte della sua dentatura.
Sei denti sei, che nell’ideale tabellino s’aggiungono ai 16 punti e 9 rimbalzi (in appena 25 minuti) messi a referto contro la vecchia, stanca eppur mai doma Argentina.
Pare – non  v’è certezza, solo ragionevole probabilità, considerato il suo “accoppiamento” difensivo – sia tutto dovuto a un incontro brusco coi gomiti del Chapu, al secolo Andrés Nocioni, professione rievocatore di antiche e siderali grandezze. Il Chapu e la sua oscura immensità, che sin dalle prime battute della gara di domenica hanno fatto scintille: il vecchio leone, incerottato e depotenziato da troppe battaglie, mal sopportava  l’ardimentosa sfrontatezza del giovane guerriero.
E allora, al culmine di uno scontro auto-isolante ed estetizzante, una sfida nella sfida, è arrivata la dura perfezione del colpo.
“Molti avranno sperimentato come nell’attimo del colpo, sia esso inferto con un guantone da pugile o con un bastone di bambù, si avverta come un contraccolpo, più che un attacco diretto al corpo dell’antagonista, e questo è proporzionale alla precisione del colpo. A causa del colpo e della propria forza si crea nello spazio una specie di cavità. In quell’istante il corpo dell’antagonista colma esattamente la cavità spaziale e, quando ne assume perfettamente la forma, il colpo si può considerare riuscito.” Yukio Mishima, mezzo secolo fa, aveva previsto tutto.

Andrés Nocioni (Foto: FIBA.com)

Andrés Nocioni (Foto: FIBA.com)

Il colpo produce dolore. Il dolore produce orgoglio. Il giovane guerriero, privato di sei denti, torna in campo. Officia il rito e rende onore all’oscura immensità del Chapu, che si piega alla superiorità aitante dell’anagrafe, ravvivando per altri 40 minuti la leggenda ormai decadente della Generación Dorada, che ha prodotto quella che molti reputano la migliore pallacanestro internazionale del Terzo Millennio, eccezion fatta per gli emissari che gli Dei del Basket hanno spedito a Londra: Odino vestito da LeBron, Pan da Durant, Tanatos da Black Mamba, l’influsso di Zeus su coach K.
Il tributo dentale, l’aggio, il dazio: chiamatelo come volete. Dario Saric ha superato brillantemente questa prova. Tra 8 o 9 anni, quando il Chapu siederà in qualche parte sperduta della Pampa, asado nel piatto e cerveza ghiacciata nel bicchiere, annuirà soddisfatto rimirando le gesta epiche del futuro campione croato.
E, dentro di sé, ripeterà ossessivamente e dolcemente il suo mantra guerriero: “Vedi Saric, quella volta ti ho fatto crescere. Pensa a come sarebbe buffo il costume splendido ed elegante del torero, se il suo mestiere non avesse alcun rapporto con la morte”.