Il Maccabi Tel Aviv, tra storia e leggenda. Mizrahi, i segreti, passato e presente di qualcosa che è molto più di una semplice squadra di basket

di Carlo Ferrario e Fabrizio Provera

NB: Il pezzo è stato scritto prima della terza gara di lunedì sera, che ha sancito l’eliminazione dei campioni d’Eurolega in carica. Ma di fatto, non conta nulla… Buona lettura!

 

IL PRESENTE…

 (Foto Savino Paolella 2014)

Il trionfo di 12 mesi fa (Foto Savino Paolella 2014)

Maggio 2014, le Final Four, l’entusiasmo, gli attributi, la bolgia gialloblù. Il tetto d’Europa. Ancora.

Ma facciamo un passo indietro. Playoff, contro l’Olimpia di Luca Banchi e, soprattutto, di Keith Langford. Milano, a tratti, sembra averne di più, ma se c’è una squadra dura a morire è proprio quella di David Blatt. Vittoria in gara-1 per 99-101, sconfitta in gara-2, gara-3 e gara-4 per stendere le scarpette rosse, prendere l’aereo e tornare ancora una volta nella capitale lombarda per la fase finale. Mosca, Madrid, Barcellona e Tel-Aviv. Il meglio del meglio è pronto a darsi battaglia per lasciare l’Italia con lo scettro di Campione d’Europa, ma nonostante le partite che separano le duellanti dal titolo siano solo due, la strada è comunque lunghissima. Sonoro +38 del Real sui blaugrana, mentre la squadra di Blatt si deve misurare con quella di Messina, uno scontro di enorme portata sotto ogni aspetto. Equilibrio, tanto equilibrio. Il CSKA tira male dalla distanza, non andando sopra il 20%, mentre il Maccabi riesce a mettere a referto percentuali più dignitose, a differenza dell’impatto a rimbalzo decisamente a favore dei primi. I due palloni più pesanti finiscono nelle mani di David Blu e Tyrese Rice, e non ci sarebbero due interpreti migliori del gioco in momenti cruciali di quella portata. Quinta bomba della partita per Blu (finirà con 5/9) e contropiede di Rice sfruttando una palla persa dei moscoviti, guarda caso recuperata proprio dall’autore della precedente tripla. Da -4 a +1, non troppo tardi per vincere, ma Weems riuscirà solo a scheggiare il ferro con un tripla piedi a terra. Tel-Aviv è in finale, per l’ennesima volta. Il Real ha il dente avvelenato dall’anno prima, quando incassò un 100-88 che sancì il bis dell’Olympiakos, grazie a due prove maiuscole di Spanoulis e Law, finito in Cina come molte altre ex stelle. Sulla carta, sarebbe una blasfemia affermare che non ci sarebbe stata storia, ma il Real partiva ovviamente favorito, mettendo però così il Maccabi nelle condizioni di dare il loro meglio.

(Foto Claudio Devizzi Grassi 2014)

La Marea Gialla invade il Forum (Foto Claudio Devizzi Grassi 2014)

È ancora l’equilibrio a farla da padrone, i parziali di ogni singolo quarto hanno al massimo due punti di scarto e, neanche a farlo apposta, dopo 40’ il risultato è di 73-73, non riuscendo Rice a sfruttare una tripla centrale che avrebbe sancito la fine della contesa. Il supplementare è a senso unico, o almeno mentalmente. Alex Tyus è decisivo come non mai, con una prova da 12 punti, 11 rimbalzi e 3 stoppate, frutto di un atletismo sconfinato. Rice sembra avere le pile ricaricabili, Smith è il solito metronomo che sa colpire nei momenti più delicati, Blu ha ancora fame di vittoria, Hickman è ovunque e Blatt coordina come un direttore d’orchestra la sua macchina gialloblù. L’overtime termina 25-13, il Real non può nulla. È il sesto titolo di campione d’Europa nella storia del Maccabi Tel-Aviv, l’ennesima prova che dimostra quanto la fase finale dell’Eurolega riservi sempre sorprese di una certa rilevanza. Tyrese Rice MVP e David Blatt nominato Coach of the Year, a coronare la cavalcata dal sapore unico ed irripetibile. Il primo parte in direzione Khimki, il secondo andrà a prendere tra le mani il timone dei Cleveland Cavaliers, non sapendo (ma potendo immaginare) che LBJ, il figlio dell’Ohio, sarebbe tornato a casa e che riuscire a gestire lui e i compagni non sarebbe stato proprio ordinaria amministrazione. Parte anche Hickman, in direzione Fenerbahce, e Joe Ingles, che si unirà agli Utah Jazz dall’altra parte dell’oceano. David Blu(thenthal) decide di ritirarsi, dopo essere diventato campione d’Europa due volte con il Maccabi, a 10 anni di distanza. Un giocatore dalla classe ed eleganza principesche, un tiratore come se ne sono visti passare pochi nel nostro continente, ad essere onesti. La partenza di Shawn James è praticamente un affare, e Milano se ne accorgerà troppo tardi. Per la stagione successiva arrivano Jeremy Pargo, Marquez Haynes, Brian Randle, Nate Linhart e Joe Alexander, un po’ più tardi, ovvero coloro che andrebbero a sostituire queste eccellenti partenze. È ormai chiaro che la squadra appartenga a Devin Smith. Guy Goodes, nuovo capo allenatore ed assistente nei quattro anni precedenti, lo capisce subito. Ricominciare da campioni in carica non è mai semplice, a maggior ragione quando mandi un segnale chiaro e forte come quello recepito dalle principali contendenti al titolo, prime su tutti CSKA e Real, guarda caso le principali indiziate per la finale di Madrid che avrà luogo il 17 maggio.

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David Blu

 Questo nuovo Maccabi dà l’impressione di non avere quel mordente mostrato l’anno scorso, ma ormai lo sappiamo, mai dire mai con questi qui. Nel frattempo “torna” anche Pini Gershon, figura praticamente leggendaria in Israele e nel panorama europeo. Nel 2008, in occasione dei 50 anni della massima competizione europea FIBA, vengono scelti altrettante persone che hanno scritto la storia di questo evento. Tra i 10 allenatori selezionati figura anche lo stesso Gershon, insieme a mostri sacri come Obradovic, Messina, Ivkovic e Dan Peterson. Il peso del 63enne, originario proprio di Tel Aviv, è tutt’altro che secondario, tant’è che più volte nel corso dell’anno è arrivato ad imporsi, fisicamente e concettualmente, a Goodes. Se dovessimo metterci a parlare di Gershon non basterebbe un libro, sarebbe la storia nella storia, ma non è l’aspetto rilevante da trattare in questo momento. Capita spesso di pensare: “Sì va bene la scorsa annata, ma quello che è successo difficilmente si ripeterà anche questa volta”, pensando al Maccabi. Poi però, senza essere dei malati di statistiche ma semplicemente degli amanti di questa competizione, il pensiero va dritto al back-to-back dell’Olympiakos, e allora a sparar sentenze si torna ad essere cauti.

Nel momento in cui scriviamo, la serie di playoff è condotta per 2-0 dal Fenerbahce, e sarà dura ribaltare l’inerzia per i campioni in carica (e infatti i turchi hanno vinto anche in Israele qualificandosi per le Final Four, ndr). Ma a Tel Aviv potrebbe succedere veramente di tutto, conoscendo fin troppo bene l’atmosfera che si è vista solo in parte lo scorso anno al Forum di Assago. Nel campionato israeliano, invece, sono seguiti a ruota dall’Hapoel di Gerusalemme, ma detengono comunque la vetta con una partita in meno. Potrebbe essere un anno di transizione, non si può sempre vincere, anche se ti chiami Maccabi Tel Aviv e arrivare in fondo in qualsiasi competizione rappresenti una pura consuetudine.

 …E IL PASSATO. ASSIEME AL FUTURO

Ira di Dio. E’ il nome (Mivtza Za’am Ha’el) dell’operazione condotta dai servizi segreti israeliani – il Mossad – con l’approvazione del Governo di Tel Aviv dopo la feroce uccisione di 11 componenti della squadra ebrea alle Olimpiadi di Monaco 1972. Un’operazione che si protrasse per 20 anni, diconsi venti anni, e che servì a scovare in tutto il mondo – ed uccidere – gli esponenti dell’Olp e di Settembre Nero, quasi tutti palestinesi o comunque arabi, che parteciparono o collaborarono all’azione terroristica. Ira di Dio spiega, meglio di qualsiasi trattato, che rapporto  strettissimo intercorra tra lo sport e lo stato di Israele.

Una Nazione, una terra, un governo che vive in drammatica simbiosi il rapporto col presente, con la propria storia, con l’edificazione di uno Stato nella Terra Promessa dopo l’Olocausto. Il Maccabi è una componente integrante di questa storia, che parte dal drammatico sconfinando continuamente nel sacro. Legato doppio filo ad un’appartenenza che compenetra la tua più intima essenza. Umana ed agonistica.

Shimon Mizrahi, la Sfinge (foto Paolella)

Shimon Mizrahi, la Sfinge (foto Paolella)

Il Maccabi è un grumo di leggenda e mistero. Nasce nel 1932, come sezione pallacanestro della polisportiva fondata nel 1906. Quindi prima, molto prima di David Ben Gurion e della proclamazione di Israele. La leggenda sfocia poi nell’epica e nella mistica sportiva con l’arrivo  alla presidenza, nel 1969, di Shimon Mizrahi, la Sfinge, che a distanza di 46 anni sta battendo ogni record di longevità sportiva ad alti livelli. Mizrahi a quell’epoca aveva appena 30 anni (nasce nell’ottobre del 1939, proprio negli anni in cui Adolf Hitler avvia il progetto di sterminio della sua razza), era un promettente avvocato. ‘Casualmente’, ma da quelle parti niente avviene per caso, il 1969 è l’anno che coincide con l’ingresso della Elite, la più importante azienda alimentare israeliana, come sponsor del Maccabi. Oggi Shimon Mizrahi è partner di un avviatissimo studio legale a Tel Aviv, l’Arnon-Mizrahi, e nel 2007 è stato incluso da Time nella lista dei 50 dirigenti sportivi più importanti del mondo (nella classifica, per intenderci, precedette un certo David Stern….). Ha subito, come tutti gli uomini di potere, campagne diffamatorie e visto orchestrare accuse nei suoi confronti. Ma non ha fatto un plissé, come quando lo vedemmo dal vivo,  nel maggio 2014 al Forum di Assago, presenziare ieratico e immobile all’ennesimo trionfo della sua gestione, la vittoria della sesta coppa dei Campioni, forse la più insperata. La prima della storia, ovviamente, arriva nel 1977 sotto la sua gestione, con in campo la bandiera Miki Berkovitz, unico atleta israeliano in una formazione di soli giocatori americani.

Varese-Maccabi, 1979

Varese-Maccabi, 1979

Nel marzo 1979, invece, la pagina forse più buia della storia di Mizrahi  e del Maccabi: durante il match di coppa Campioni tra Emerson Varese e Maccabi, erano gli anni in cui la squadra che fu di Giovanni Borghi disputa dieci finali consecutive nella massima rassegna europea, a Masnago un gruppo di tifosi accoglie gli israeliani con croci uncinate, simboli nazisti e striscioni irriguardosi. Vengono persino lanciati dei polli sul parquet. L’incidente diplomatico è di quelli pesantissimi, la macchia quasi impossibile da cancellare. Ma passerà anche quello, nella vita leggendaria del Maccabi e di Shimon Mizrahi. Passerà Sarunas Jasikevicius, la gloria del Terzo Millennio, l’avvento in panchina di una mente cestistica sopraffina come quella di David Blatt. Che conduce dei novelli Davide contro titanici Golia dai budget decisamente più cospicui, come Cska e Real: ma alla fine, proverbialmente, vincerà ancora una volta il Maccabi. C’eravamo ad Assago, e ricordiamo distintamente soprattutto due cose. Il volto di Mizrahi, avvolto in una sciarpa gialla, che appena vinta la Coppa si alza dalla sedia, stringe una mano e senza tradire la minima emozione sembra pensare solo una cosa: ‘Ben fatto. Ma non finisce qui, la nostra epica’; e poi, avendo visto il match a 1 metro da tutti i principali dirigenti della società, ricordiamo distintamente un uomo dai tratti mediorientali, baffi e capelli raccolti, occhi azzurri ma gelidi, non ci stupiremmo se si trattasse di un ex agente del Mossad o delle forze speciali, che comunicava a gesti col capo della tifoseria giunta al Forum, la Marea Gialla, e indicava i cori da scandire, con le istruzioni che venivano applicate alla lettera, con un semplice cenno del capo.

David Blatt (foto Paolella)

David Blatt (foto Paolella)

Ricordiamo la gelida compostezza di Blatt, il suo totale controllo mentale della finale, solo qualche concessione all’emozione e all’enfasi verso la fine. Ricordiamo anche una sua intervista dell’anno scorso, o due anni fa, nella quale diceva chiaramente che in modo riservato – e sottotraccia – il Maccabi, inteso come società, supporta e sostiene alcune realtà israeliane che necessitano di aiuto. Con discrezione. Perché se vestire la maglia del Maccabi non è come indossare una canotta qualsiasi, lo stesso vale ovviamente per la guida tecnica. “Le persone senza fantasia non possono produrre nulla di straordinario”; è la frase di Shimon Peres che campeggia sulla home page del sito del Mossad. Assieme ad un’altra di David Ben Gurion, uno dei padri dell’Israele moderno: la storia non è quella scritta, la storia è quella che si crea.

Se ci pensate, sono due frasi che calzano perfettamente con la storia del Maccabi Tel Aviv. Una formazione di basket resa leggendaria dal tempo, ma che deve il suo carattere di leggenda proprio alla capacità di oltrepassarlo, di renderlo tutto sommato relativo.

Shimon Mizrahi, la moderna arena gladiatoria dove si sono scritte pagine di storia del cesto europeo (lo Yad Eliyahu, la cui capienza è stata aumentata da 5000 a quasi 12mila posti), quella maglia gialla e la ‘gialla’ muraglia che incute a ogni avversario un timore antico, quasi ancestrale.

Questo – e molto altro – è il Maccabi Tel Aviv.

E senza dubbio, ‘anche questo un giorno sarà bello raccontare’.