Il BarclayCard Center, teatro delle Final Four 2015

Il BarclayCard Center, teatro delle Final Four 2015

Un’altra edizione dell’Eurolega è giunta al termine e, come ogni anno, guardarsi indietro per tirare delle conclusioni non è mai semplice, anche se doveroso. Dopo le due finali con un epilogo assai amaro, il 17 maggio il Real Madrid di Pablo Laso è finalmente riuscito a salire sul tetto d’Europa, proprio nella capitale spagnola. Una grande festa, un grande entusiasmo e, soprattutto, una grande squadra. Tantissima attenzione mediatica, e di certo i motivi non mancavano, ma anche tanta incertezza prima dell’inizio delle semifinali. Facciamo un piccolo passo indietro. È venerdì 15 maggio, si alza il sipario al BarclayCard Center. Momento a dir poco fondamentale per cominciare a delineare gli equilibri che stabiliranno chi riuscirà ad arrivare fino in fondo. La FanZone domina la prima parte della giornata, sia a livello di organizzazione che per gli ospiti e gli ambasciatori dell’evento: Theo Papaloukas, Joe Arlauckas, Nikola Vujcic, José Antunez, ma anche José Calderon e Kenneth Faried dall’altra parte dell’Oceano. La presenza di Arlauckas e Antunez ha di sicuro scaldato i cuori dei tifosi del Real negli anni ’90, ma l’imponenza di Vujcic e il ball-handling di Papaloukas nonostante la benda sugli occhi non sono stati da meno. Un bel momento condiviso con bambini in campo e pubblico ai lati, tutto sotto gli occhi di Jordi Bertomeu e dello staff dirigenziale dell’Euroleague Basketball. La tensione andava aumentando mentre ci si avvicinava alle ore 18, quando sarebbero scese in campo il CSKA Mosca e l’Olympiacos: due roster diversi, due storie diverse e soprattutto due leader diversi. Troppo banale pensare che sarebbe stata una sfida tra Teodosic e Spanoulis, troppo stupido pensare che non l’avrebbero inevitabilmente condizionata con le loro prestazioni. Sembra una gara a chi gioca peggio, anche se non mancano lampi di genio di questi due playmaker che hanno segnato indelebilmente la storia recente del basket europeo.

Vassilis Spanoulis, autore di 3 minuti di onnipotenza cestistica (Fabrizio Stefanini 2015)

Vassilis Spanoulis, autore di 3 minuti di onnipotenza cestistica (Fabrizio Stefanini 2015)

Bell’equilibrio in campo, partita a punteggio basso e difesa moscovita capace di intimidire qualunque giocatore in maglia Olympiacos e, soprattutto, le penetrazioni di Spanoulis. La possibilità di assistere al match dalla tribuna stampa permette di osservare come Kaun, Kirilenko, Hines, Vorontsevich e Khryapa abbiano la capacità di oscurare il canestro, semplicemente alzando le braccia e formando un muro invalicabile. Nando De Colo diventa il terminale offensivo principale per coach Itoudis, ma il francese non sa che, per vincere la partita e arrivare in finale, la differenza negli ultimi minuti dovrà farla in difesa contro un cliente che il termine “scomodo” risulta riduttivo per esprimerlo. 37 minuti di silenzio e 3 di livello assoluto. Vassilis Spanoulis torna ad essere l’incubo numero uno, sotto le sembianze di Dio della pallacanestro con il cuore avvolto dalla bandiera greca. 3 è il numero perfetto: 3 tiri, 3 canestri, opportunità di diventare campioni per ben 3 volte negli ultimi 4 anni. Si guarda alla seconda semifinale totalmente condizionati dalla figura del numero 7 alla corte di Sfairopoulos, come se fosse lì al varco, aspettando la vincente tra Real Madrid e Fenerbahce con scritto in fronte: “Ehi, guardate che in Finale ci sono ancora io”.

Sì, ancora lui. Ancora quella squadra che sembrava in bilico verso il termine delle Top16, senza lo smalto che l’ha contraddistinta nelle passate edizioni. Sono la mentalità, la voglia, gli attributi e interpreti di indiscutibile efficacia che fanno paura agli avversari dei greci. La festa dei tifosi dell’Olympiacos è stupenda, la delusione di quelli moscoviti è silenziosa, contenuta, ma visibile da chilometri di distanza. Con un roster del genere e, soprattutto, con la capacità di vincere come un rullo compressore per un anno intero, il CSKA si ritrova con nulla in mano, se non la certezza che qualcosa cambierà con effetto quasi immediato. Detto, fatto. Kirilenko mette immediatamente i puntini sulle i. “Il coaching staff deve decidere chi deve giocare e soprattutto chi non deve farlo in determinati momenti della partita”. C’è un indice grande come l’ex-campione d’Europa Schortianitis, puntato contro Milos Teodosic. Nonostante negli ultimi minuti stesse difendendo molto bene, Itoudis ha optato per inserirlo nei possessi offensivi e chiamarlo in panchina in quelli difensivi, quando possibile ovviamente. Un utilizzo quasi pallavolistico. Non giocherà il 3°/4° posto, seguendo in borghese il match dalla panchina per un fastidio al polpaccio. È sempre brutto dubitare delle scelte di un giocatore, sperando sempre che la verità predomini su ogni forma di falsità volta a pregiudicare l’approccio professionale. Ma, in questo caso, il dubbio riveste un ruolo di fondamentale importanza. Cosa accadrà tra Teodosic e il CSKA lo scopriremo solo nei prossimi mesi, forse settimane. Grande anche la delusione, non nascosta, di Sasha Djordjevic, suo allenatore nella nazionale serba: il play di Mosca, prima del match, aveva espresso la sua opinione a proposito del criterio di selezione dei giocatori da portare in nazionale, ammettendo che la regola dovesse essere “la nazionale serba ai serbi al 100%”. Affermazione forte e destinata a far discutere, ma in quel momento l’attenzione era puntata su quello che lo stesso Teodosic avrebbe fatto durante la Final Four e, come detto poc’anzi, la discrepanza tra l’approccio mentale in maglia CSKA e quello in maglia Serbia sembrava fin troppo evidente.

Jan Vesely contro Gustavo Ayon, due grandi protagonisti della seconda semifinale (Fabrizio Stefanini 2015)

Jan Vesely contro Gustavo Ayon, due grandi protagonisti della seconda semifinale (Fabrizio Stefanini 2015)

Alle 21 i padroni di casa affrontano l’ostico Fenerbahce guidato da coach Zelimir Obradovic, uno che potrebbe tenere meeting su meeting a proposito di come vincere un’Eurolega. A questo punto, nella mente dei presenti e di chi era davanti al televisore, lo spettro di una finale tra Olympiacos e Fenerbahce sembra prendere forma. Andrebbe a ribaltare tutti gli equilibri e penalizzare la grande formazione di casa, dopo aver visto uscire a testa bassa la corazzata con il budget da circa 30 milioni di dollari. Il primo quarto si chiude con i turchi davanti, anche se di una sola lunghezza, prima che comincino i 10 minuti di onnipotenza madrilena. Gustavo Ayon, Andres Nocioni e K.C. Rivers i principali artefici del 35-14 con cui i padroni di casa ipotecano secondo quarto e, in un certo senso, semifinale. La battaglia di nervi che caratterizza le ultime due frazioni di gioco premia la squadra di Laso, contrariamente a quello che si sarebbe potuto pensare prima della palla a due. Anche l’MVP della Regular Season Nemanja Bjelica perde la testa, finisce fuori per cinque falli e, nonostante i parziali nel terzo e nel quarto periodo siano a favore del Fenerbahce, il passaggio in Finale per il Real si concretizza.

Real Madrid contro Olympiacos Pireo, ancora una volta. Il pensiero della terza sconfitta in tre anni per i blancos si avverte. Il tifo madridista è contenuto e uno dei motivi è riconducibile al finale di partita di Spanoulis contro il CSKA qualche ora prima. Nella partita secca, a differenza di una serie al meglio delle 5 o 7 partite, è più probabile assistere a sorprese e a risultati inaspettati a favore di chi riesce a gestire meglio i 40 o più minuti del match. Quindi non sempre conta avere un roster come quello del Real o del CSKA, a volte conta ben altro, e le due vittorie in due anni dell’Olympiacos nel 2012 e nel 2013 lo hanno dimostrato in modo più che chiaro. Negli allenamenti del sabato sera le prime due squadre a scendere in campo sono coloro le quali si giocano il 3°/4° posto e, ovviamente, al centro del palco ci sono Dimitris Itoudis e Zelimir Obradovic, capo allenatore e assistente al Panathinaikos dal 1999 al 2013. Sfida affascinante, in un duello che di senso ne ha solo relativamente, se non fosse per la marea di tifosi venuti dalla Turchia, di gran lunga più numerosi rispetto ai moscoviti.

Rudy Fernandez, durante le interviste del sabato

Rudy Fernandez, durante le interviste del sabato

Le ultime due a scendere in campo sono le finaliste, prima l’Olympiacos e poi il Real Madrid. Spanoulis è di ghiaccio, come sempre. Concentrato, taciturno, con uno sciame di persone alle sue spalle. Fa passare in secondo piano il resto della squadra, elementi come Printezis, Dunston, Hunter, Sloukas. Matt Lojeski è in un angolo, snobbato dalla stampa dopo un paio di domande appena uscito dal campo. Nel frattempo arrivano i giocatori del Real. Rudy Fernandez è circondato da moltissimi giornalisti, Sergio Rodriguez altrettanto e Nocioni sembra rilassato il giusto, concentrato ma senza far mancare dei segni di tensione abbastanza visibili sul suo volto. La distensione di Carroll è strabiliante. Serio, estremamente educato e con un filo di sorriso che gli illumina il viso. Rivers sempre molto riservato, dopo il 5/6 da tre punti nella semifinale contro il Fenerbahce non si scompone neanche un po’. Si nota, tutto sommato, molta rilassatezza nei giocatori del Real, ma si tratta sempre di giocatori di livello assoluto, bravi nel dosare le emozioni quando ci si avvicina ai 40 minuti che decidono tutto.

È il giorno della Finale. La tradizione calcistica a Madrid è di un’importanza mostruosa, visti soprattutto gli investimenti operati negli ultimi anni. Se si pensa che nell’undici ideale del Real vi sono 3 giocatori (Cristiano Ronaldo, James Rodriguez e Gareth Bale) che rappresentano 3 dei primi 4 trasferimenti più costosi della storia del calcio, allora si comincia ad avere un’idea della delusione che si è creata negli ultimi mesi. Eliminati dalla Juventus in Champions League, arrivati secondi in campionato dietro al Barcellona, che vincerà sia il campionato la sera stessa che la Copa del Rey due settimane dopo, contro l’Atletico Bilbao. Ecco perché un riscatto con la palla a spicchi sarebbe ancora più importante, non solo per Florentino Perez e per la società congiunta, ma per una città che ogni anno punta al massimo in queste due discipline, avendo organici secondi a nessuno.

La grinta di coach Zelimir Obradovic (Fabrizio Stefanini 2015)

La grinta di coach Zelimir Obradovic (Fabrizio Stefanini 2015)

La Finale per il terzo posto, alle 17, parte malino per il Fenerbahce. In campo sembra esserci una sola squadra, ma sono situazioni che non fanno tanto rumore, data la poca importanza della posta in palio. Ci sono però così tanti tifosi gialloblù che meriterebbero un trattamento diverso dai propri beniamini, ma il risultato all’intervallo dice 48-24 per il CSKA di Itoudis. Sul 22-4 (in precedenza 12-0) è stato naturale pensare ad una brusca reazione della tifoseria turca, ma uno degli aspetti meravigliosi di questa Final Four si è visto proprio qui. Il tifo non si è fermato, ma è addirittura aumentato col passare dei minuti. Ed ecco che la squadra di Obradovic torna in partita, gradualmente, grazie ad un grande Goudelock e ad un ritrovato Bjelica. Una buona prestazione e un buon minutaggio, anche grazie all’assenza di Teodosic, per Aaron Jackson sono stati utili per mettersi in luce e mostrare tutto il suo valore. Ben 7 palle recuperate in semifinale, record Eurolega, e 12 punti conditi da 6 assist contro il Fenerbahce. Vince il CSKA per 86-80, dando in qualche modo un senso a questa partita, snobbata da molti. Ci avviciniamo alle 20. Cambia la composizione del pubblico e gli spalti si tingono di bianco e di rosso, oltre ai fedelissimi del Fenerbahce e una parte della tifoseria russa, collocata tra le note positive di questa manifestazione anche e soprattutto per l’indiscussa qualità delle supporters appartenenti al gentil sesso. Grande presentazione, grandi interpreti, grande atmosfera. Difficile stabilire un favorito prima della palla a due, ma le parole di Reyes prima dell’uscita dal tunnel degli spogliatoi fanno ben pensare. “Questa è la nostra finale. Dobbiamo far vedere loro che qui sono a casa nostra e daremo il sangue. Davanti alla nostra gente. C’è un solo risultato possibile”.

Jonas Maciulis al tiro, sicuramente uno dei protagonisti della finale (Fabrizio Stefanini 2015)

Jonas Maciulis al tiro, sicuramente uno dei protagonisti della finale (Fabrizio Stefanini 2015)

Parte bene il Real, ma il primo quarto finisce 19-15 per l’Olympiacos. Il secondo quarto, come in semifinale, è roba dei blancos. Gustavo Ayon è protagonista di una partita disastrosa, ma salgono di livello Nocioni e Maciulis che, insieme ad alcuni lampi di talento allo stato puro di Rudy Fernandez, si rivelano due assoluti trascinatori. Il parziale è di 20-9 e il Real si trova avanti di sette lunghezze all’intervallo. Ancora una volta, Spanoulis sembra incredibilmente sottotono. Il grande carattere dell’Olympiacos fa paura a tutti e, nonostante una tripla piedi a terra di Rudy faccia vibrare il BarclayCard Center, un 12-0 di parziale per i ragazzi di Sfairopoulos mette a tacere il tifo madridista. Matt Lojeski ci mette lo zampino, griffando una sorta di rivincita nei confronti di coloro che lo hanno sempre reputato un giocatore squisitamente di sistema e non in grado di incidere in prima persona. Il suo viso coperto da un velo di delusione per la poca attenzione mediatica, riservatagli la sera prima, torna immediatamente nei pensieri degli addetti ai lavori. Il Real è ancora sotto, anche se di un solo punto (40-41). Con la camiseta blanca e con il numero 20 sulla schiena c’è un ragazzo d’oro, sempre pronto ad aiutare il prossimo fuori dal campo e composto durante ogni partita. Viene dal Wyoming, ma è tutt’altro che sconosciuto, e la difesa dell’Olympiacos ormai lo conosce bene. Sembra giocare in punta di piedi ma, nel momento di maggiore difficoltà della sua squadra, si accende in un modo che nessuno si sarebbe mai aspettato. Prima tripla, seconda tripla, terza tripla, canestro da due per chiudere.

Jaycee Carroll, autore di una grande prova contro l'Olympiacos (Fabrizio Stefanini 2015)

Jaycee Carroll, autore di una grande prova contro l’Olympiacos (Fabrizio Stefanini 2015)

Sono 11 punti in meno di 3 minuti. Jaycee Carroll è l’eroe della capitale. I volti dei tifosi di casa si distendono, dopo essere passati per l’euforia a causa del loro tiratore scelto. Nel quarto conclusivo, il Real gestisce il vantaggio e, quando i greci tentano di afferrare di nuovo la gara, ci pensa l’accoppiata Nocioni-Llull a rispedire al mittente gli attacchi. Negli ultimi secondi, dopo una tripla di Sergio Rodriguez, ci sono delle scintille tra Spanoulis e Fernandez: il primo è frustrato dalla sua gara e dalla sconfitta, il secondo butta benzina sul fuoco con un filo di arroganza tutto sommato evitabile. Fallo tecnico ad entrambi (e anche a Maciulis per proteste) e partita che termina nella bolgia di festeggiamenti, ovviamente senza tensioni.

Il Real Madrid, campione proprio a Madrid. Le due finali perse sono solo un brutto ricordo. L’MVP della Final Four è Andres Nocioni, a 35 anni e con una carriera ad altissimi livelli ma con tante delusioni. Anche Carroll si sarebbe meritato il premio, ma ormai è una questione secondaria. Grande euforia, dimostrata soprattutto da alcuni elementi come capitan Reyes, lo stesso Nocioni, Sergio Rodriguez e Sergio Llull, autentico dominatore mentale di queste due partite. Florentino Perez tira un sospiro di sollievo e dimentica, momentaneamente, l’eliminazione in Champions League e la vittoria, più o meno in contemporanea, della Liga ad opera dei blaugrana.
Ognuna delle 4 contendenti aveva un valido motivo per arrivare fino in fondo, ma ha vinto la voglia di riscatto, la voglia di una vendetta sul campo e di alzare la coppa davanti alla propria gente. È stata, come sempre, un’Eurolega fantastica e vivere le fasi finali dal vivo è stato un incredibile privilegio. That’s all, stay tuned.


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