[…] L’NBA ha un fatturato gigantesco, muove folle oceaniche, offre uno spettacolo straordinario? E chi se ne frega. Anche il wrestling ha un riscontro enorme, pur trattandosi di una vergognosa pagliacciata (dal punto di vista sportivo).  Spettacolo e sport sono due concetti molto diversi. Qui si parla di sport. L’NBA è ora nel periodo dei playoff, per cui dopo mesi di spettacolo si ricomincia a parlare anche di sport. L’opinione del sottoscritto sull’NBA è, secondo me, del tutto irrilevante, essendo un campo che non gli interessa, per cui onestamente non gli interessano minimamente neanche le opinioni degli altri, ma trattandosi di uno scorcio della stagione dedicato allo sport probabilmente a fine stagione ne parlerò. Anche se, viste le premesse, non vedo a chi potrebbe interessare.

Gigi Datome sarà protagonista delle Final Four di Istanbul (foto S.Trapezanlidis)

Quella che mi interessa è l’Eurolega e devo dire che le serie dei quarti di finale sono state molto belle e istruttive. Intanto è stato confermato il sospetto che avevo espresso l’altra volta e cioè che, come si sapeva, stagione regolare e partite secche o serie a eliminazione diretta sono due sport diversi. Eclatante è stato il caso della serie fra Panathinaikos e Fenerbahce che tutti davamo per quella più equilibrata sulla carta. E poi hanno giocato e si è visto perché Obradović è Obradović e perché Pascual è Pascual. Tecnicamente il Pana ha giocato un basket migliore, per quanto strana sembri un’affermazione del genere, i suoi giocatori, e qui confermo quanto detto di buono su Pascual la volta scorsa, danno l’impressione di essere squadra di basket, si vedono le gerarchie, si vede chi beve e chi paga, e questa, anche in risposta a un quesito che mi è stato posto nei commenti della volta scorsa, è per me la discriminante assoluta che testimonia di un lavoro di coach svolto bene o male. Poi però, come ho scritto tanto tempo fa tentando di descrivere il mestiere di coach, arriva il momento di mettere in pratica in campo tutto quanto fatto in allenamento e dunque il coach deve fare non più lo stratega, ma il tattico, trovando i quintetti giusti, ruotando i giocatori secondo logiche produttive, e soprattutto reagendo in modo puntuale e efficace agli stimoli e alle situazioni che le singoli fasi della partita offrono. E qui si è palesato un abisso tra i due coach. Mentre il Fenerbahce a un dato momento ha calato una saracinesca folle che ha totalmente cancellato dal campo gli attaccanti avversari con accorgimenti difensivi non teorici, ma perfettamente pratici, sull’uomo, facendogli fare cose che non vuole fare, tipico il caso di Singleton che secondo me si è divertito molto poco, il Pana, pur difendendo a sua volta molto, ma molto bene e, come detto, attaccando anche in modo più piacevole e esteticamente apprezzabile, è stato semplicemente stritolato andando in affanno e non trovando mai l’uomo giusto a cui affidarsi nei momenti chiave. Ripeto, secondo me a coach invertiti il Pana sarebbe passato con la banda. Non c’è controprova, ovvio, per cui questo sarà un argomento su cui sarà inutile discutere visto che ogni opinione vale esattamente come qualsiasi altra, ma la mia personale sensazione rimane questa.

Altro caso eclatante è l’Efes. A occhio e croce i turchi, prendendo giocatore per giocatore, sono abbastanza nettamente più forti dell’Olympiacos attuale, senza Lojeski e con Milutinov e Wright a mezzo servizio, per cui i greci sotto canestro semplicemente non esistono, e infatti appena hanno potuto giocare senza remore e con la mente sgombra hanno dato paghe tremende ai greci in singoli scorci di partita, scorci nei quali sembrava di vedere all’opera squadre di leghe diverse. Però, e qui parte una critica abbastanza severa nei confronti di Perasović che penso sia giustificata anche da episodi passati analoghi sia a Vitoria che soprattutto alla guida della nazionale croata, quando la partita si fa “densa”, quando culo mastica mutande, non ha capacità di mettere la squadra in modalità “minuti finali”, quelli nei quali saltano tutti gli schemi preparati e si va al famoso “palla a me, voi fatemi spazio, andate via dai piedi, ma comunque se sarete soli vi darò la palla” che gli allenatori tipo Perasović o come era ai tempi eroici Ranko Žeravica non concepiscono, visto che per loro il basket è gioco di squadra e i singoli esistono solo quali componenti del team. Se si ragiona così però tutti i cinque in campo devono avere doti da leader, come li aveva la prima grande Jugoslavia nella quale tutti i componenti del quintetto erano leader assoluti nelle loro squadre di club, cosa che invece manca totalmente ai giocatori dell’Efes. Immaginarsi! Il faro dovrebbe essere Heurtel (o se non lui, chi? Granger? Honeycutt? Ma fatemi un favore!) e dunque si può facilmente vedere perché nei finali l’Efes sia andato sempre a picco. Anche in gara tre, la prima in casa, quando di fronte a un Olympiacos impresentabile ha penato nel finale di una partita dominata fino a quel momento con salvatore della patria totalmente inatteso niente meno che Dunston, autore di due fondamentali canestri da fuori (!). In gara quattro, dopo un grande inizio che avrebbe lanciato chiunque verso un facile successo, sono altrettanto scoppiati nel finale, cosa successa anche in gara cinque dove negli ultimi minuti il loro elettroencefalogramma era totalmente piatto. Non può essere un caso. E, ripeto, a occhio erano la squadra più forte, anche abbastanza nettamente, fra le due. Evidentemente per vincere, ed è questo che rende il basket uno sport fantastico, basta saperlo leggere nel modo giusto e non fermarsi alle impressioni visive senza provare a capire cosa ci sia sotto e dietro, ci vogliono ben altre doti. Che sono ovviamente quelle che hanno Spanoulis e Printezis. Che sono, secondo i canoni degli adoratori del circo americano, probabilmente i giocatori più brutti che ci siano. Fra l’altro uno è vecchiotto, piccolino, non corre e non salta ed è senza capelli, e l’altro sembra un buttafuori da discoteca con tutti i tatuaggi che ha, la faccia feroce e ghignante e l’andatura caracollante. Però quando la partita si fa calda loro ci sono sempre e, se prima non segnavano, quando serve lo fanno. E in più si trovano a occhi chiusi come tutti i veri giocatori di basket. Ed è questo il basket che sta morendo e che io vivo e rivivo vedendo giocatori come questi ringraziandoli di esistere. Quando nel finale di gara quattro Spanoulis è andato in entrata a difesa schierata a due e mezzo all’ora ed ha depositato la palla in canestro evitando le varie stoppate senza saltare un centimetro sono saltato dalla poltrona e mi sono venute le lacrime di commozione avendo rivisto in quell’azione Slavnić e rivissuto in un istante tutta un’epoca irripetibile.

E a proposito di ringraziamenti per l’esistenza un altro nome che viene spontaneo è chiaramente quello di Luka Dončić. Non posso che ribadire quanto scritto da Gabriele nel suo commento (lui è uno di quelli che bandirò, in quanto i suoi commenti non valgono, nel senso che scrive praticamente parola per parola quello che scriverei io se volessi puntualizzare i concetti espressi nel pezzo…scherzo ovviamente, in quanto, inutile negarlo, trovare l’anima gemella che la pensa esattamente come te è molto gratificante) e che cioè il canestro di gara quattro con Clyburn (io pensavo fosse Anderson, in quanto guardavo senza commento, ma solo con i suoni ambiente) che vola in tribuna mentre lui aspetta serafico che si tolga di mezzo e appoggia a canestro senza neanche saltare è stato anche per me “il” canestro della partita, il canestro che da solo vale il tempo passato davanti alla TV, il canestro che ti ricorda che il basket è (sarebbe) uno sport intelligente per gente intelligente. Vedere che gente di 18 anni è ancora capace (soprattutto senza avere esempi diretti da seguire) di fare cose del genere è commovente. Dirò una bestialità, ma la mia impressione sempre più forte è che il Real giochi bene quando Dončić gioca bene. Non può essere un caso che l’unica partita persa contro il Darussafaka sia stata quella nella quale lui ha giocato male, tanto da andare in panchina e scoppiare in lacrime (attenzione, lacrime di frustrazione e rabbia, per non esser riuscito a dare quello che lui sa di poter dare). Il quale Darussafaka era una signora squadra, allenata da quello che è mio avviso fra i tre migliori allenatori che ci siano in Europa (cartina di tornasole clamorosa è per me il fatto che abbia fallito nell’NBA, dove più che di un coach hanno bisogno di un manager di spettacolo che sappia dare le vetrine giuste nei momenti giusti alle stelle giuste), allenatore che ha dato l’equilibrio giusto alla squadra dopo un duro e lungo lavoro che ha fatto sì che la squadra che ha giocato gli ultimi turni dell’Eurolega fosse tutta un’altra squadra rispetto a quella che l’aveva cominciata (merito sommo per un coach), per cui averla battuta è stato un merito non da poco, anzi.

Sul CSKA le partite che ha giocato contro Vitoria hanno confermato e semmai rafforzato in pieno quanto esposto nel pezzo precedente. Ripeto, non mi convince. Ribadisco che sotto canestro è debole, confermo con forza che Augustine è un brocco, anche se mi tocca fare una puntualizzazione. Anche in questo caso parliamo di prospettiva. Augustine potrebbe essere utilissimo in un campionato infimo come quello italiano, ma qui si parla di livelli ben superiori, per cui le sue capacità vanno parametrate alla squadra nella quale gioca e alle competizioni alle quali prende parte. Caso esemplare è quello di Kirk che a Pistoia faceva di tutto e di più, ma che all’Efes, quando ha segnato un canestro importante è stato festeggiato in modo quasi patetico, come si festeggia il classico sfigato che, entrato in campo per disperazione, segna per sbaglio un canestro decisivo. E in più il CSKA scantina proprio nel suo reparto di parata, quello delle guardie, che quando il momento diventa cruciale fanno cose che non si dovrebbero fare neanche in prima divisione. La palla buttata in out a sei secondi dalla fine di gara tre dal duo dei fenomeni Teodosić-De Colo grida ancora vendetta ed è semplicemente inconcepibile. Non esiste né mai dovrebbe esistere. E se gli arbitri avessero avuto il coraggio di fischiare il clamoroso fallo su Larkin sull’ultimo tiro da tre staremmo qui a parlare di tutta un’altra serie. Se mi dicessero: “Hai una squadra e vuoi gestire l’ultimo attacco sotto di uno. Chi prendi? Il duo del CSKA o Spanoulis e Printezis?” La mia risposta sarebbe: “Il duo del CSKA te lo tieni tu, per favore. A me basta Spanoulis da solo, se poi mi dai anche Printezis tanto meglio.”

Ragion per cui, riassumendo, non vedo l’ora di vedere le Final Four, in quanto ambedue le partite si presentano affascinanti e secondo me senza pronostico. Per Real-Fenerbahce più che il pubblico, che in queste situazioni i giocatori in campo in realtà sotto l’effetto dell’adrenalina non percepiscono neppure, a decidere saranno la forma giornaliera, gli episodi, la fortuna, ragion per cui siamo perfettamente 50/50. Per CSKA-Olympiacos, che tutti vedono a senso unico, se mi dessero una quota ragionevole punterei un bel numero di soldini sui greci, per quanto sia perfettamente d’accordo sul fatto che, se si leggono semplicemente i nomi dei giocatori delle due squadre, la partita non dovrebbe neppure cominciare (però…e se tornasse Lojeski, se Milutinov fosse in piena forma? Attenzione, attention, achtung!).