La leggenda lituana, dal fisico impiegatizio ma dal talento misto a volontà e fierezza senza precedenti nella storia del  basket europeo, si racconta a Pietro Scibetta. La prosecuzione del mito di Arvydas Sabonis, con altri mezzi..Un libro da compulsare, assaporare, approcciare con lentezza. E rispetto. La scommessa (vinta) di Add e Stefano Delprete

Sarunas Jasikevicius nell'ultima esibizione a Milano (foto S.Paolella)

Sarunas Jasikevicius nell’ultima esibizione a Milano (foto S.Paolella)

Sarunas Jasikevicius,  ‘Vincere non basta’ (in collaborazione con Pietro Scibetta),

Add Editore, 15 euro

Individualmente non valgo Bodiroga, Nowitzki e altri. Non avrò mai il loro impatto su una partita. Ma mettetemi in campo con i giocatori giusti e io li trasformerò in giocatori migliori di quello che pensano di essere. E vale anche il contrario...” (Sarunas Jasikevicius)

Chissà cosa starà facendo, adesso, Sarunas Jasikevicius. Starà sorseggiando un Martini, forse; del resto a Milano stiamo scrivendo e il giorno volge verso la sera, è l’ora codificata dalla genialità dell’inventore della formula pubblicitaria più azzeccata del Secolo Breve (‘questa Milano da bere’).  Il Martini è una delle passioni segrete di Jasi, ce l’ha svelato Miky Pettene di ritorno da un festival di cinema coreano dov’erano in tre: lui, il custode del cinema e il tizio dei pop corn. Ma si sa come sono, questi giovani del Terzo Millennio..

Starà ripensando ai cento, mille flash di una carriera che non può essere descritta, ma solo evocata qua e là, tanto è grande e composita. C’ha provato, a riassumerla, un adepto alquanto oltranzista del verbo di Jasi: Pietro Scibetta, agrigentino classe 1981, barba da bucaniere, ironista ma serioso, figlio naturale e pienamente legittimo di una terra- la Sicilia- che ha elevato il Contrasto a momento fondante.

Con la complicità di un editore ribaldo, sabaudo ma eterodosso, l’Add di Stefano Delprete e della sua vigorosa ciurma, un catalogo nel quale Flavio Tranquillo, Ettore Messina e Franco Bolelli convivono con Claudio Fava, F.D. Roosevelt e Lilian Thuram. Ne è scaturito Vincere  non basta, la prima biografia nella quale Jasi si e ci racconta. Tanto, forse non tutto. Ma ce n’è abbastanza, perché in bocca ti rimanga il retrogusto dei piatti di un Fulvio Pierangelini, che capisci (se capisci) solo giorni, mesi o persino anni dopo.

Il personaggio, va da sè, è ordinariamente straordinario; se difatti la politica è la prosecuzione della guerra con altri mezzi, allora Sarunas Jasikevicius, monarca del cesto, imperatore del parquet, ritiratosi nell’Anno Domini 2014 a 38 anni, è il Von Clausewitz della palla a spicchi.

Leggetevela tutta, la storia scandita in 16 capitoli (con prefazione di Jordi Bertomeu, Jasi è già entrato a far parte dell’epopea targata Eurolega) di questo Guerriero Triste del Baltico, associabile per molti tifosi ai culti pagani. Non a torto, del resto la Lituania fu tra le ultime Nazioni a convertirsi al Cristianesimo, nel XIV secolo, perché a lungo sono rimasti in vita fervori pre-cristiani. Jasi è l’eccezionalità in un fisico tutt’altro che esplosivo, in apparenza ordinario. “Per questo, forse, l’istinto induce subito ad ammirarlo. Le sue imprese sportive, quali che siano, acquistano sempre luce epica: perché l’uomo normale giustifica con l’eroismo, cioè con doti morali non sue, le superiori prodezze di chi gli appare simile”. Gianni Brera su Fausto Coppi: amen.

IL GUERRIERO NATO NELL’ANNO 12 DOPO SABONIS

zar sabonis

Jasi nasce, per i cultori del paganesimo e i reprobi del cesto, nel 1976. Che sarebbe, per tutti i non profani, l’anno 12 dopo Sabonis. Arvydas Sabonis, che emise i primi vagiti nel 1964 a Kaunas, la stessa città di Jasi. 

Che nel 1986 duetta con Drazen Petrovic in finale di coppa dei Campioni. Che sverna in Europa e arriva in Nba nel 1995, a Portland, dove i medici societari chiesero ai dirigenti se dovessero dichiararlo abile e arruolato o piuttosto fosse il caso di compilare domande per la richiesta d’invalidità, considerato che a 31 anni le ginocchia del Principe erano conciate come i cristalli dopo il passaggio di una truppa di Zuavi inferociti.

Eppure nel 2004, alla veneranda età di 40 anni (anno 40 d.S.), Sabonis conquista persino il titolo di miglior giocatore della stagione di Eurolega, indossando ancora la maglia dello Zalgiris. Pensate un attimo a ‘quel’ Sabonis: 40 anni, ginocchia bioniche o metalliche, infortuni, dolori d’ogni genere, la lentezza elegante d’un tempo che s’è fatta proverbiale, il ricordo di quando in Nba uccellava senza troppa fatica gente come Shaquille, fintando sul primo passo e appoggiando dolcemente a canestro, con la stessa facilità con cui ingollava il distillato di patate e cereali a lui così caro. Il distillato che, letteralmente, lo stende negli spogliatoi quando la Lituania, sua e di Marciulonis, sale come detto sul podio di Barcellona. La storia, quella che ci importa aver raccontato, anche se per sommissimi capi, è quella di un Principe che si fece Zar. O di uno Zar che si fece Principe. Il tempo non è la variabile principale di questa epopea. Il leggendario disincanto: quello sì. Ed è da lì che devi partire se vuoi capire Jasi, che nasce da un’atleta della nazionale russa di pallamano, argento ai Mondiali 1975.

IL RISCATTO DI SIMONE BASSO

Il libro di Pietro Scibetta ed Add è, finalmente, la risposta prima ed organica al miglior ‘decrittatore’ di Jasi, Simone Basso dai remoti pertugi alpini del Piemonte, che su Indiscreto ha codificato la grandezza del lituano con parole che hanno sapore di definitivo: “E Jasikevicius, bontà sua, riuscì nell’impossibile: con lui il pick and roll, il bordone maledetto che caratterizza il basket postmoderno, smise di essere meccanico e ripetitivo. Il palleggio sincopato, lo sguardo dall’altra parte e il pallone sinfonico al compagno: una fiondata, col polso spezzato, e un controllo del gesto con pochi rivali. Paragonabile, al di là dell’Atlantico, ai sommi (Kidd, Nash, Paul, Deron Williams). Il sesto senso nella lettura dell’adeguamento difensivo altrui, l’anticipo sulle scelte degli avversari. Il migliore nel passarla direttamente dal palleggio, senza toccare la palla con l’altra mano; un particolare, l’ennesimo, che in Europa lo accomuna a Mike D’Antoni. Il resto, a dispetto della difesa telepass, è di altissimo livello. Un jumper soffice, con il corpo leggermente in avanti. Palleggio, arresto e tiro pregevole, di una rapidità (e un’efficacia) incredibili”.

Gregg Popovich

Gregg Popovich

Nel libro, Jasi dimostra di aver avuto in dono, dagli Dei del Basket, il privilegio di aver potuto condividere la luce di Drazen: “Non sapevo niente, se non che volevo assolutamente passare la palla e volevo imparare a passarla come Petrovic”, si legge nel libro. Jasi vive, in prima persona, la caduta dell’Impero sovietico, che reintroduce nelle competizioni internazionali la leggenda della sua Nazione, la Lituania, sin dalle Olimpiadi di Barcellona del 1992, quelle dove la federazione squattrinata della neonata repubblica paga la spedizione olimpica.. grazie a una maglietta dei Grateful Dead. Ma questa è un’altra storia.. Jasi, complice il tramonto imperiale, vola in America: la sua seconda casa diventa Quarryville. quindi l’high school, poi il college a Maryland.

C’è anche l’Nba, dal 2005 al 2007: Indiana (la Lituania della tristissima America rurale/Terra di nessuno) e Golden State. Non fa per lui. C’era solo un posto, fisico e dell’anima, dove Jasi avrebbe potuto irradiare il suo talento di pura foggia europea, e nel libro lo dice con chiarezza: gli Spurs di Pop, l’ex uomo dell’Agenzia con la passione per i Supertuscan e i vini a base sangiovese. Ma forse sarebbe stato troppo: la sua epica leggendaria si sarebbe nutrita d’Europa. Non elevata al banale luccichio delle arene Nba  con indosso la canotta di quella che, comunque, era la squadra più europea per indole e soprattutto mentalità: ovviamente San Antonio.

Nell’inframezzo, ci sono Atene 2004 e le finali di Eurolega 2005, forse il suo momento più alto. Risentiamo Simone Basso: “Ad Atene 2004 la performance più clamorosa. Quasi affiancabile al magistero nella finalissima devota 2005, opposto al Tau di Scola, Macjiauskas e Hansen. Col doveroso asterisco che ci presta Tim Duncan (“Fiba sucks” sempre e comunque), Jasi smontò quasi da solo la possanza di un Team Usa imbarazzante per pressapochismo. A meno di tre minuti dalla fine, americani sopra di tre (si erano spinti fino al +10) e palla in mano; ma Sarunas scippa Jefferson. Su un cambio difensivo, “chiama” il fallo di Odom e mette la tripla: 85-84 con il libero aggiuntivo. Di là Iverson sbaglia da sette metri, Jasi invece replica ancora dall’arco. Altro errore yankee, stavolta Starbury (…), ma Duncan recupera il rimbalzo e la offre a Jefferson da tre: 88-87 per i biancoverdi. Sarunas? In trance agonistica, risponde con un’altra tripla spezzagambe. Fece 12 punti in 2’47” sui 28 totali che scrisse a referto. Un gran peccato che quel combo lituano, eliminato in semi da un’esibizione di tiro ignorante della nostra nazionale, non si sia giocato l’oro con l’ensamble dell’oltre States che più ci ha affascinato. L’Argentina di Ginobili, Nocioni, Oberto, Scola, Pepe Sanchez; una cattedra dell’attacco flex e del quoziente intellettivo riversato sul parquet”.

LA VECCHIA EUROPA ‘CHIAMA’ LEGGENDA

Poco male, se in Nba il Nostro non riesce a sfondare: nell’arco di un lustro o poco più, Jasi indossa tre casacche diversamente leggendarie: Barcellona,  Maccabi (‘La squadra della Nazione’) e Panathinikos.

Fioccano i titoli, le vicende personali, le unioni e le separazioni, la gloria ma anche l’amarezza di inaudita sommità che danno il Palau, lo Yad Eliyahu ed Oaka. E poi l’incontro, ravvicinato, coi più grandi strateghi del cesto: Aito, David Blatt, Dimitris Itoudis, soprattutto lui, Zelimir Obradovic, cui Jasi dedica parole di sincero elogio, riconoscendo in lui un gigante della medesima statura: ‘La sua autorità è indiscutibile e quando parla lui tutti stanno zitti. Altrettanto vero, però, che incoraggia il dialogo e il confronto durante gli allenamenti e le riunioni. Tutto ciò che è onesto, per lui va bene. Non c’è posto per le stronzate, con Zelimir’.

 (Foto Savino Paolella 2014)

(Foto Savino Paolella 2014)

E si scivola così, pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo, verso la fine. Quando Jasi, in un crepuscolo di proverbiale saggezza, umana prima che cestistica, confessa a Scibetta che “la nostra popolarità, i nostri soldi, il nostro lavoro derivano prima di tutto dall’amore e dal rispetto che dimostriamo verso il gioco, e dal ricordarsi che questo non appartiene solo a noi. Quello che riceviamo in cambio si paga al prezzo di una totale dedizione (…) Quel tipo di amore che non ti lascia scampo, né spazio per pensare di fare qualsiasi altra cosa. Specialmente quando vuoi essere il migliore’.

Eh già.. Allora pare quasi di risentire le parole millenarie del comandante Sun Tzu: “La velocità dell’acqua impietosa giunge a sommuovere i massi. Questa è forza. La fulmineità del falco permette di colpire e dilaniare. Questo è tempismo. L’abile guerriero ha quindi una forza formidabile, e agisce in tempi brevi. La forza è paragonabile a una balestra tesa, e il tempismo al momento in cui si scocca il colpo”.

Un Von Karajan che in luogo della bacchetta reggeva il pallone, un allenatore in campo che rendeva superflui ruolo e funzione del primo allenatore. E infatti non ci stupisce il passaggio di Jasi al ruolo di assistant coach. Vedremo solo quanto reggerà, da numero due, specie considerando i tratti distintivi – e spigolosi – della sua leggendaria problematicità caratteriale. Che però solo gli stolti, e i Senzabrera, non hanno mai capito. Perché bastava leggere il Maestro, e avrebbero capito tutto.  Anche del tarlo, del male oscuro che ti rode da dentro, se ti chiami per esempio Arvydas Sabonis, e se solo al fondo estremo e pericoloso di una bottiglia puoi pensare anche solo di scorgere, una parte di quella verità che ti consuma, dell’eco antico delle ovazioni che col passare del tempo perde fragore, diventando come una nenia.

Lo sappiano, quelli che non capiscono soprattutto donde veniva, cotanta (simulata) tracotanza: “Spiriti meschini hanno talora fraintese le sue prodezze, attribuendole al caso. Altri hanno ignorato la virile bellezza dell’atleta, rifugiandosi nel molle decadentismo degli esteti”.

So long per te, Jasi.

Jasi con la Nazionale lituana

Jasi con la Nazionale lituana