Coach Capobianco a Mannheim

Coach Capobianco a Mannheim. (foto by Pietro Pietrazzini)

Per fare un tavolo, ci vuole un fiore. E che cosa ci vuole per vincere l’Oro al torneo internazionale di Mannheim, che l’Italia non otteneva da 31 anni? Ci vogliono le stesse cose che servono per fare un tavolo: tempo, per crescere; fatica, per maturare; lavoro duro, per forgiarsi; ma alla base di tutto, come per il tavolo, ci sono le piccole, delicate e preziose cose che c’entrano poco con una palla che rimbalza ma c’entrano molto con chi la fa rimbalzare. «Penso che questo risultato sia stato frutto di uno straordinario mix tra emozione e razionalità, unito agli strumenti tecnico-tattici di questa squadra», dice coach Andrea Capobianco di ritorno da Mannheim, nel Baden-Württemberg, città dell’industria chimica, delle grandi fiere, di traffici commerciali sul Reno e del Torneo Internazionale giovanile intitolato alla memoria del medico, teologo, missionario e musicista Albert Schweitzer, Nobel per la Pace nel 1952. L’”Albert Schweitzer Tournament” (AST) si tiene ogni due anni dal 1958, e nel tempo è cresciuto fino a diventare una specie di Mondiale a 16 squadre, dalla Cina agli Stati Uniti. L’Italia aveva vinto solo tre volte: nel 1966, nel ’69 e nel ’83.

La fine è il mio inizio
«Abbiamo cominciato a lavorare su questa squadra fin dal raduno di dicembre, continuando sulla scia di ciò che aveva fatto in passato Antonio Bocchino, e con la collaborazione, certo, anche delle società, – spiega Capobianco – Il nostro compito era fare il possibile perché questi ragazzi si conoscessero, prima di tutto». A volte la cosa migliore da fare è non fare: «Io e lo staff abbiamo ridotto al minimo gli interventi per lasciarli tra loro, dentro e fuori dal campo: è anche così che si forma una squadra. Pochi interventi, chiari e coerenti». L’Italia U18 di Mannheim ha impressionato, e al di là di Flaccadori e Mussini il coach sottolinea il gruppo: «La vera forza è stata che ognuno ha messo a disposizione della squadra il meglio delle proprie capacità, ciascuno ha tirato fuori un talento. Talento non è solo quello di chi fa canestro. Ho visto dei ragazzi maturi, con un forte senso di responsabilità gli uni verso gli altri, un valore vero per la squadra». Gli USA sconfitti 86-73, l’abbraccio collettivo, le retine tagliate e messe al collo come le più belle collane del mondo: «Arrivati a Mannheim avevamo una squadra arrivata al punto giusto, pronta. La frase che ho usato più spesso, in tutti i time out, è stata “Giocare con coraggio”: fare le cose che si sanno fare, con semplicità e senza paura, soprattutto con consapevolezza e coraggio. Alla fine penso di aver lasciato una squadra carica, con un livello emotivo molto alto. – continua il coach – È arrivata una grande iniezione di fiducia perché la qualità delle squadre era pazzesca. In particolare tutte! Anche quelle che di solito non vengono temute, giocavano belle toste». Quest’estate l’Italia U18 giocherà gli Europei in Turchia: la gioia di Mannheim non è la fine di un lavoro ma l’inizio di un altro.


Gli highlights della semifinale Italia-Turchia 102-97

Solo cose belle.

Solo cose belle (foto by Pietro Pietrazzini)

Labora et labora
Cosa serve per arrivare in alto oggi? «Il lavoro», garantisce Capobianco. «Non si può difendere senza un cuore che pulsa, ma un cuore che pulsa non è abbastanza. Ogni buon tiratore nasce con alcune doti, ma non può pensare di riuscire se non lavora tutti i giorni». Albert Schweitzer (sempre lui) un giorno, agli inizi del Novecento, scrisse che “l’esempio non è la cosa che influisce di più sugli altri: è l’unica cosa”. Così Andrea Capobianco è sempre in servizio, non stacca mai, su e giù per l’Italia, lavorando come formatore quando non allena le Nazionali giovanili. «Non so quante ore lavoro, ma posso dire che tutto lo staff ha lavorato anche di notte durante il torneo. – ammette il coach – Faccio un lavoro che amo e sono convinto che il successo, che non vuol dire solo vincere, è dato dalla cura dei dettagli. Il sacrificio è necessario. Penso che un buon lavoro sia legato alla crescita di ogni giorno, perché un formatore è colui che nel formare gli altri forma e ri-forma continuamente anche se stesso». Lavorare sempre comporta avere sempre la valigia pronta, la benzina ok, passaporto a portata («come è destino di ogni allenatore» specifica il coach), e soprattutto il filo diretto con lo staff, perché nessuno fa niente da solo: «Sono e sarò sempre riconoscente al presidente Petrucci per la fiducia, a Simone Pianigiani per la presenza costante e l’impegno nel suo progetto con le Nazionali. E ad Antonio Bocchino, agli assistenti, allo staff: di norma quando non ci si vede, ci si sente quotidianamente. Questo è fondamentale perché le vittorie sono frutto di un lavoro di squadra».

Capobianco e lo staff della Nazionale U18 a Mannheim (foto by Pietro Pietrazzini)

Tu chiamale se vuoi emozioni
Dopo Mannheim, subito al lavoro con le Giornate Azzurre in Campania, con l’Interzona di Dng a Pesaro, con il raduno dei 2000 a Roccaporena. «Credo che per un allenatore sia importante dare ai ragazzi gli strumenti non solo per giocare, ma per crescere» ribadisce Capobianco. «Non dobbiamo mai scordare che è la persona che fa il giocatore, che dietro la canotta e i calzoncini ci sono dei giovani. Hanno bisogno di riferimenti, di serenità. Oltre alla famiglia e al contesto, che sono importantissimi, anche gli allenatori devono contribuire a dare loro gli strumenti giusti per affrontare il campo e quello che sta fuori dal campo. Io come allenatore non devo essere simpatico, devo essere onesto nei loro confronti. Preferisco essere antipatico piuttosto di prendere in giro: solo così posso far crescere il ragazzo e il giocatore». Al primo posto, nella cassetta degli attrezzi di un coach, ci sono le emozioni: «Per chi allena, le emozioni sono una grande energia che pulsa, e che la razionalità deve direzionare verso il bene. Per i ragazzi invece le emozioni sono una grande energia che devono imparare a conoscere: non reprimere, né nascondere, ma gestire. Chi piange non è per forza un debole, è una persona che vive le proprie emozioni».
E che emozioni, quando alla fine dell’”Albert Schweitzer”, ormai con l’oro al collo, coach Capobianco ha raccolto i ringraziamenti e gli applausi degli emigrati italiani a Mannheim. «Molto toccante quel momento, quando queste persone, tedesche ma italiane “dentro”, ci hanno festeggiato: solo allora mi sono reso conto dell’impresa che avevamo portato a termine. Vincere per l’Italia dà un sentimento indescrivibile, e l’ho provato anche grazie agli italiani all’estero». Un grazie anche a tutti quanti hanno manifestato sostegno durante il torneo, «a tutti coloro che non mi hanno mai fatto sentire solo»: un pieno di fiducia ed emozione che dovrà durare fino agli europei U18 in Turchia e ai mondiali U17 a Dubai.

Un gruppo di Oro. (foto by Pietro Pietrazzini)

Un gruppo di Oro. (foto by Pietro Pietrazzini)