Matteo Fantinelli, capitano della De’ Longhi Treviso (foto di Matteo Cogliati)

A Treviso dal 2014, playmaker in costante crescita, votato anche come Miglior Giocatore Italiano di A2. Uno dei cardini della banda di coach Pillastrini, che meriterebbe senz’altro maggiore fiducia anche a livello superiore. Consapevolezza e grande umiltà, anche quando deve parlare delle sue potenzialità: non è mai banale Matteo Fantinelli, soprattutto quando si tratta del suo futuro e di quello di Treviso.

Matteo, potrebbe essere questa la stagione giusta per ritornare nella massima serie? Dopo le semifinali nel 2016 e i quarti nel 2017, questo è l’anno buono? “Non lo so, siamo partiti un pò a rilento, complici gli infortuni e la sfortuna di questo inizio di campionato. Nonostante la sconfitta di Verona stiamo trovando un nostro equilibrio, però fare pronostici in Serie A2 è veramente come vincere al Superenalotto. Una promozione con così tante squadre che ambiscono seriamente a salire in Serie A è complicata. L’importante è arrivare a disputare i playoff sani e in condizione, poi vogliamo giocarcela con tutti. Sarebbe veramente un’impresa riuscirci”.

Mattia Fantinelli (foto di Pasquale Cotugno)

Per poco non avete centrato la qualificazione alla Final Eight di Coppa Italia, c’è qualche rimpianto per non aver potuto provare a mettere le mani almeno su un trofeo?Certo, comunque si gioca sempre per un trofeo che in questi ultimi quattro anni Treviso non ha mai vinto. In ogni caso abbiamo approfittato di questo periodo per allenarci, migliorarci e trovare la chimica giusta per affrontare alla grande il finale di stagione”.

Sei soddisfatto della tua stagione?Le mie impressioni vanno di pari passo con i risultati della squadra. Ad inizio anno non ero contento perché l’infortunio mi impediva di dare una mano ai miei compagni nei momenti di difficoltà. Adesso le cose sono cambiate, stiamo vincendo e giocando bene: io ne sono contento e mi diverto molto a giocare insieme ai miei compagni”.

Sei diventato anche capitano due anni fa. Potrebbe essere arrivato il momento giusto per il salto di categoria, no?Non lo so, in realtà io ho la fortuna di giocare a Treviso e di essere circondato da giocatori forti e persone molto brave. É facile essere sopravvalutato in queste situazioni, perché vengono facilmente mascherati i propri limiti ed esaltati i pregi. Penso di essere al livello in cui merito attualmente di stare. Non avrei mai pensato quando ero un ragazzino di essere un giorno capitano di Treviso: sono contento di dove sono e adesso voglio solo pensare al finale di stagione”.

Cosa pensi ti possa mancare per salire di livello?Per andare nella massima serie, in cui non ho mai giocato, in questo momento manca un mix di tante cose. Serve migliorare da un punto di vista tecnico sulle lacune del mio gioco, ma serve anche un pizzico di fortuna e un progetto con una società che creda in te: non è sempre facile da trovare questo mix”.

(credits Alessandro Molinari)

Per i giocatori che passano dalla A2 alla Serie A, il salto di qualità richiesto è spesso a livello mentale: è questo l’ostacolo più grande che bisogna affrontare?Sicuramente lo step mentale è quello più importante. Se uno non è pronto mentalmente, è difficile fare bene. Io sono abituato a giocare molti possessi, avere la palla in mano e dovrei calarmi in un altro ruolo in un’altra realtà, facendosi trovare sempre pronti, visto che ti si chiedono altre cose rispetto ad una società di Serie A2”.

foto di Marco Berti

Spostando il discorso sui giocatori italiani: grandi squadre, ma poco spazio oppure più minuti e fiducia in team che hanno ambizioni inferiori?Secondo me il discorso è molto più complesso: perché un giocatore importante di A2 deve andare in una società di Serie A in cui i risultati della squadra magari non coincidono con le prestazioni, in un mercato in cui una squadra può in ogni momento rimpiazzarti? È veramente un passo che ognuno deve sentirsi dentro, che spesso può andare oltre le proprie capacità: bisogna credere molto in sé stessi ed essere consci di incontrare delle difficoltà, visto che possono cambiare anche le prospettive della propria carriera. Se uno è pronto mentalmente per fare questo step ed è pronto a dare in ogni caso il 100%, allora può essere una scelta più che giusta, anche perché tutti ambiscono a giocare al massimo livello”.

A parte il tiro da tre, quali sono le cose in cui ti senti dover migliorare?Il tiro è una cosa che devo tenere sempre allenata, perché non nascendo come tiratore naturale devo creare una mia meccanica mentale. Ci sono tante parti del gioco che andrebbero limate, come ad esempio il ball-handling, ma il tiro è quello in cui dovrei migliorare di più, liberi compresi, ed è la parte per cui mi alleno di più”.

Tanjevic, uno dei più grandi allenatori in Italia, diceva spesso che dopo i 24-25 anni un giocatore si può considerare vecchio. Anche tu in un’intervista con Doum Lauwers di un annetto e mezzo fa ti sei definito non più giovanissimo, eppure hai solo 24 anni. Può essere un peso quello di non essere riuscito a una certa età ancora a imporsi o bisogna viverlo come una sfida con sè stessi?Nel basket europeo quando si arriva a 24-25 anni ormai il profilo del giocatore si è delineato, anche ci sono pur sempre delle eccezioni, quelli che esplodono più tardi. I miglioramenti sono certamente infiniti e si può migliorare a qualsiasi età, ma la tendenza e la linea guida di un giocatore a quell’età li sono ben definite”.

Fantinelli (foto Pasquale Cotugno)

La crescita dei giovani italiani: è un problema dei giovani, poco inclini spesso ai sacrifici oppure la colpa è degli allenatori, perché mancano degli insegnanti importanti anche a livello giovanile?Io ho la fortuna da questo punto di vista di essere in una delle società migliori per quanto riguarda l’enorme attenzione verso i giovani, visto che stanno facendo lo stesso percorso della grande Benetton di qualche anno fa. Sicuramente c’è una tendenza da parte dei ragazzi giovani ad essere meno disponibili, ma è anche qualcosa legato all’evolversi della società: secondo me non è questo il vero problema. Spesso, tra l’altro, in tante società non ci sono le strutture adeguate per poter lavorare bene. Ci sono tante piccole grandi verità, ma la soluzione sta in altrettante sfaccettature che bisognerebbe sistemare pian piano tutti insieme”.

Pozzecco diceva che quando scendeva in campo non giocava solamente per sé stesso, ma che lo faceva anche per Recalcati. Quanto è determinante il rapporto tra coach e giocatore e quanto lo è stato per te Pillastrini?Con il coach mi trovo benissimo e lui è anche parte del motivo per cui sono rimasto qui (a Treviso, ndr) in questi quattro anni. Condivido la sua visione della pallacanestro ed è decisamente più facile interpretare le sue richieste e poi metterle in pratica sul campo. È un allenatore che è stato ed è tuttora molto importante”.

Sei nato a Faenza e hai fatto le giovanili a Bologna. Sogni un giorno di tornarci a giocare?Bologna è una piazza storica e giocarci sarebbe chiaramente bellissimo, ma sono altrettanto felice di poter giocare a Treviso, città in cui ho trovato una vera e propria seconda casa”.

Giusto per finire in bellezza… Finale scudetto, si decide tutto nell’ultima azione: ti prendi la responsabilità del tiro o cerchi lo scarico per il tuo miglior tiratore?Cerco uno scarico per il migliore tiratore, sono un playmaker, non posso tirare altrimenti manderei tutto in malora! Anzi, mi prendo la responsabilità di farlo prendere a lui il tiro (ride, ndr)”.


Dailybasket.it - Tutti i diritti riservati