Il logo dei San Diego Conquistadors

Il logo dei San Diego Conquistadors

Nel luglio del 1972 con la scomparsa dei Floridians, la ABA per mantenere un numero minimo di franchigie consentì la possibilità di creare una squadra pagando una tassa di espansione da 1 milione di dollari e fu così che una cordata di San Diego, capitanata dal dentista e presidente della U.S. Capital Corporation Leonard Bloom diede vita ai San Diego Conquistadors, conosciuti dai fan come Q’s. Come General Manager fu scelto Alex Groza, leggenda del basket collegiale a Kentucky sotto coach Adolph Rupp in cui fu capitano dei cosiddetti “Fabulous Five” nel biennio ’48-49 in cui vinsero due titoli NCAA e in seguito campione olimpico nel 1948, NBA rookie of the year nel 1950 fino al 1951 quando venne radiato dalla NBA stessa per avere intascato soldi per pilotare lo scarto di alcune partite collegiali. Il roster messo in piedi da Groza era essenzialmente un team di espansione con giocatori non protetti da contratti e inseriti in uno speciale draft creato appositamente dalla lega. Per alcune diatribe tra Leonard Bloom e Peter Graham proprietario della nuovissima Sports Arena da 14.400 posti ed escluso eccellente dalla cordata che fondò la franchigia, i Q’s furono costretti a giocare alla Peterson Gym presso il campus di San Diego State, ma nonostante questo inizio in salita sorprendentemente non furono la peggior squadra della ABA. Sotto la sapiente direzione di coach K.C. Jones, 8 volte campione NBA con la maglia dei Celtics e assistente allenatore dei Lakers campioni del ’71-72, i Q’s ebbero una annata da 30W-54L finendo quarti nella Western Division, agganciando in un rush finale l’ultimo posto disponibile per i playoff. La squadra in campo era trainata da Stew Johnson, power forward arrivato dai Cougars e miglior marcatore di squadra con 22.1 punti a cui aggiungeva 7.5 rimbalzi, ben coadiuvato dalla point guard Chuck Williams, preso dai Denver Rockets e autore di quasi 18 punti a partita conditi da 7 assist e da Oliver Taylor, guardia ex Nets molto concreta nelle due metà campo. Lo scoglio ai playoff fu insormontabile, gli Utah Stars erano una delle franchigie più vincenti dei primi anni ’70 e si imposero con un perentorio 4-0.

i Conquistadors del 1972/73. In piedi a sinistra coach K.C. Jones e al centro Stew Johnson. A sedere a sinistra Chuck Williams (23) e al centro con la palla in mano Oliver Taylor.

i Conquistadors del 1972/73. In piedi a sinistra coach K.C. Jones e al centro Stew Johnson. A sedere a sinistra Chuck Williams (23) e al centro con la palla in mano Oliver Taylor.

La seconda stagione vide la partenza di coach Jones verso la panchina dei Washington Bullets che guiderà anche alla NBA Finals del 1975 (persa per 4-0 contro gli Warriors di Rick Barry) per poi definitivamente consacrarsi come head coach dei Celtics di Bird, ma il suo addio venne ben presto dimenticato in quanto Bloom catturò l’attenzione mediatica mondiale firmando Wilt Chamberlain per un contratto da giocatore/allenatore da ben 600 mila dollari, circa il doppio di quanto aveva preso l’anno precendente in NBA. Wilt si era ritirato ma aveva ancora un anno di contratto come team option con i Lakers e i gialloviola portarono immediatamente la vicenda in tribunale: la corte della California diede ragione ai Lakers, Chamberlain non poteva calcare il parquet con un’altra squadra professionistica e Wilt decise di dedicarsi al ruolo di allenatore, giocando solo nelle partitelle degli allenamenti. Purtroppo però il ruolo di head coach non gli calzava granché, Wilt era un uomo mondano, presenziava a pochi allenamenti e saltò molte gare per recarsi a firmare la sua autobiografia appena uscita nelle librerie, lasciando tutto in mano al suo vice Stan Albeck, ex coach dei Denver Rockets. La squadra costruita per la stagione era ricca di talento, a partire da Caldwell Jones (fratello di Wil, giocatore ABA nei Memphis Tams), un centro magrolino in uscita da Albany State che non si accordò con i 76ers e decise di accasarsi ai Q’s e che si mise in mostra nei primi minuti di training camp con una pazzesca schiacciata in testa a Chamberlain, facendo strabuzzare gli occhi allo stesso Wilt: “Il ragazzo è giovane e inesperto ma ha talento, mi piace quello che ho visto”. Caldwell divenne da subito un clamoroso difensore e una macchina da stoppate, statistica in cui fu leader ABA con 4 a partita, mettendosi alle spalle giocatori del calibro di Artis Gilmore e Julius Erving. Chamberlain inoltre convinse anche amici dai tempi dei Lakers, come l’ala Travis “Machine Gun” Grant e Flynn Robinson, che assieme al rookie Dwight “Bo” Lamar, guardia da più di 20 punti segnati a partita e al solido contributo di Stew Johnson, resero completo e pericoloso l’attacco dei Q’s, che per il secondo anno in fila riuscirono a raggiungere l’ultimo posto disponibile per i playoff, seppure con un record ancora negativo (37W-47L), vincendo il tiebreaker per 131-111 contro i Denver Rockets. Questa volta gli Stars fecero immensamente più fatica, Lamar divenne a tratti inarrestabile con oltre 27 punti, 4 rimbalzi e 3 assist, ma in 6 gare Utah ebbe ancora la meglio.

 

Indice “DailyBasket Focus – ABA History”
Puntata 1 – La nascita e i primi passi
Puntata 2 – Tra difficoltà economiche e la fine delle ostilità
Puntata 3 – Pipers, dal successo all’anonimato (1^parte)
Puntata 4 – Pipers, dal successo all’anonimato (2^parte)
Puntata 5 – Buccaneers, i primi anni positivi a New Orleans (1^parte)
Puntata 6  – Buccaneers, l’addio alla Louisiana e l’approdo a Memphis (2^parte)
Puntata 7 – Buccaneers, dagli anni disastrosi dei Memphis Tams fino all’epilogo (3^parte)
Puntata 8 – Oaks, dall’ingaggio di Barry alla scoperta di Jabali fino all’abbandono della California (1^parte)
Puntata 9 – Oaks, gli anni dei Virginia Squires tra Charlie Scott, Julius Erving e George Gervin (2^parte)
Puntata 10 – Muskies, l’anno a Minneapolis e l’approdo a Miami come Floridians (1^parte)
Puntata 11 – Floridians, gli anni di coach Bass, di Calvin, Jones e Jabali (2^parte)


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