NewRocketsLogoNella primavera del 1967 la città di Kansas City era pronta a creare un nuovo team professionistico, sotto il nome di Larks, per partecipare alla nuova lega targata ABA, ma scoprì di non avere le carte in regola per iscriversi, vista la totale mancanza di affidabilità finanziaria dei proprietari, e fu così che Bill Ringsby prese in mano le redini del team spostandolo nel Colorado. Ringsby possedeva la Ringsby Rocket, società che si occupava di autotrasporto, e proprio da questa prese il nome la franchigia, nota da allora come Denver Rockets. L’inizio fu abbastanza incoraggiante, 2748 spettatori presero posto all’Auditorium Arena per la prima sfida agli Anaheim Amigos e aumentarono gradualmente superando agevolmente i 4000 di media nel corso della stagione. La squadra era guidata da coach Bob Bass, allenatore alla prima esperienza nel basket professionistico dopo 15 anni trascorsi in una piccola università dell’Oklahoma, e nonostante un roster non certo di primissimo piano i Rockets chiusero l’anno con 45W-33L per il 3° posto ad ovest. In campo Denver era trascinata da Larry Jones, una guardia proveniente dai 76ers, rapida e letale in transizione, con tanti punti nelle mani (23 punti, 8 rimbalzi e 4 assist di media in stagione, con l’apice di 52 punti toccato contro gli Oaks), ben coadiuvato da Willie Murrell, ala prodotto di Kansas State guidata anche ad una Final Four NCAA nel 1964, meno spettacolare ma ugualmente concreto con 16.4 punti e 9 rimbalzi e da Wayne Hightower, lungo con un passato al Real Madrid come top scorer della Liga ACB. Ai playoff il cammino però fu piuttosto breve, infatti senza il vantaggio del fattore campo i Rockets persero contro i New Orleans Buccaneers di Doug Moe campioni della Western Division, giocando senza il loro leader Jones, uscito con una frattura al braccio in gara-1, ma in grado comunque di arrivare alla decisiva gara-5 grazie all’impatto crescente di Murrell e Hightower.

Byron Beck, elemento fondamentale di Denver sin dai primi anni

Byron Beck, elemento fondamentale di Denver sin dai primi anni

Il secondo anno il roster restò pressoché invariato, Larry Jones divenne ancor più prolifico e fu 3° marcatore della lega con 28.4 punti e primo quintetto ABA per il 2° anno di fila e con la crescita del centro Byron Beck, un lavoratore instancabile dall’energia illimitata nonostante lo scarso atletismo e in doppia doppia con 14.5 punti e 11 rimbalzi, arrivò un’altra stagione ampiamente positiva (44W-34L) per il 3°posto ad ovest. Senza il vantaggio del fattore campo il passaggio del primo turno restava una chimera, visto anche il calibro della rivale, gli Oaks miglior squadra ABA con 60W, ma nonostante questo i Rockets riuscirono ad espugnare Oakland in gara-2 e a trascinare la serie fino a gara-7, in cui l’estro degli Oaks ebbe la meglio. A Denver mancava qualcosa in termini di talento per essere definitivamente una contender e Ringsby mise mano al portafoglio firmando Spencer Haywood, una talentuosa power forward al 2° anno nella University of Detroit, autore di una stagione da oltre 32 punti e 21 rimbalzi di media al college e protagonista anche dell’oro di team USA a Mexico City 1968. Una firma che scioccò il mondo sportivo e che portò in tribunale i Rockets per aver scelto un giocatore non ancora laureato, ma la corte permise ad Haywood di giocare per la ABA anche senza aver terminato i 4 anni di studi, diventando così il primo di una lunga lista di “underclassman” firmati. L’impatto di Haywood fu subito incredibile, segnava e schiacciava a ripetizione, stoppava ogni avversario, chiudendo un primo anno come leader ABA nelle categorie punti (30.0) e rimbalzi (19.5) di media a partita, come MVP dell’All Star Game, MVP della regular season (il più giovane vincitore, ad appena 20 anni) e rookie dell’anno. Con Haywood e il nuovo head coach Joe Belmont, preso al posto di Bob Bass che in cerca di nuove sfide era tornato al college ad allenare Texas Tech, i Rockets dominarono la Western Division con 51W-33L, facendo registrare il sold out ad ogni gara interna.

Spencer Haywood in maglia Denver Rockets. Vi rimarrà appena 12 mesi, ma il suo impatto fu strepitoso.

Spencer Haywood in maglia Denver Rockets. Vi rimarrà appena 12 mesi, ma il suo impatto fu strepitoso.

La post season fu tutt’altro che una passeggiata, infatti già al 1° turno contro i Capitols, la serie andò per le lunghe con Haywood e Barry che si rispondevano a suon di “40elli”, con i Rockets che riuscirono a sconfiggerli in una gara-7 a senso unico (143-119 il finale) davanti a 9893 fan accorsi al Denver Coliseum, anche grazie al contributo dei due veterani Larry Jones e Byron Beck (27 punti per il primo, 25 e 11 rimbalzi il secondo). Sembrava tutto pronto per un approdo alle Finals, ma contro i sorprendenti L.A. Stars il meccanismo si inceppò. Nella gara-1 venne addirittura la CBS per trasmettere la partita a livello nazionale e i Rockets, nonostante la sofferta vittoria all’overtime grazie ai 39 punti e 24 rimbalzi di Haywood, iniziarono però a subire il centro avversario Craig Raymond, con gli Stars che riuscirono a battere 4 volte in fila i Rockets eliminandoli clamorosamente, malgrado un Haywood da 36.7 punti, 19.8 rimbalzi e 3.3 assist di media.
Nonostante la bruciante eliminazione l’ottimismo in casa Rockets era comunque altissimo, ma nell’autunno 1970 sorsero i primi problemi: Haywood era scontento del suo contratto che prevedeva solo futuri pagamenti dilazionati e non trovando l’accordo con la dirigenza decise di lasciare i Rockets approdando nella NBA ai Seattle SuperSonics in cui vi rimase per 5 stagioni a 24.9 punti e 12.1 rimbalzi di media.

Denver trascinò la vicenda in tribunale, ma fu costretta ben presto a desistere e senza la loro star principale i Rockets provarono a smuovere le acque cedendo ai Floridians uno dei loro giocatori simbolo, Larry Jones, in cambio della guardia Larry Cannon che ebbe un’ottima annata da 26.6 punti e 5.2 assist. Assieme ad altri piccoli ritocchi, la dirigenza dei Rockets ripeté lo stesso percorso dell’anno precedente, scegliendo al draft un altro sophomore, Ralph Simpson, in uscita da Michigan State: una guardia dall’ottimo tiro, dotato di grande rapidità in transizione, che prese fiducia gradualmente chiudendo con 14.2 punti e 3 rimbalzi. Purtroppo anche con l’arrivo di Stan Albeck al posto di Belmont, licenziato dopo appena 3 vittorie nelle prime 13 partite, le cose non migliorarono affatto e arrivarono solo 30W e ben 54L, oltre a 2000 spettatori in meno di media a partita, perdendo anche il tiebreaker per il 4°posto contro i Chaparrals.

Dal 1971/72 con Hannum come coach e GM, cambiano i colori del team e cambia il logo.

Dal 1971/72 con Hannum come coach e GM, cambiano i colori del team e cambia il logo.

Nel 1971-72 fu trovato l’accordo con Alex Hannum nel doppio ruolo di head coach e GM: Hannum aveva guidato Hawks, 76ers e Oaks al successo e oltre a cambiare i colori del team (da arancione e nero a blu chiaro e giallo, come il fiore simbolo del Colorado), firmò due rookie promettenti come Dave Robisch, centro da Kansas e autore di un buon debutto a 15.5 punti e 9.6 rimbalzi, e Marv Roberts, ala da Utah State. Il risultato finale fu però poco differente rispetto all’anno precedente, sole 34W-50L e il 4°posto ad ovest, nonostante l’esplosione di Simpson che chiuse con 27.4 punti e 3.1 assist e un positivo Larry Brown (acquisito dagli Squires) che guidò la squadra in cabina di regia con 7.2 assist (2°nella ABA). Di ritorno ai playoff i Rockets affrontarono al 1° turno gli Indiana Pacers e sebbene sulla carta la sfida sembrasse a senso unico, Denver riuscì a stupire trascinata dal trio Simpson (26.7 punti e 3.4 assist), Beck (19.9 punti e 10.3 rimbalzi), Robisch (19.6 punti e 14.1 rimbalzi), con quest’ultimo definito dalla stampa di Indianapolis come “Superman”, reggendo degnamente contro l’All-Star Mel Daniels. La serie fu un continuo botta e risposta fino a gara-7, dove i Pacers riuscirono ad imporsi per 91-89 con due liberi a bersaglio di Keller a 4” dal termine, con Indiana che volerà poi fino al titolo ABA.


Indice “DailyBasket Focus – ABA History”

Puntata 1 – La nascita e i primi passi
Puntata 2 – Tra difficoltà economiche e la fine delle ostilità
Puntata 3 – Pipers, dal successo all’anonimato (1^parte)
Puntata 4 – Pipers, dal successo all’anonimato (2^parte)
Puntata 5 – Buccaneers, i primi anni positivi a New Orleans (1^parte)
Puntata 6 – Buccaneers, l’addio alla Louisiana e l’approdo a Memphis (2^parte)
Puntata 7 – Buccaneers, dagli anni disastrosi dei Memphis Tams fino all’epilogo (3^parte)
Puntata 8 – Oaks, dall’ingaggio di Barry alla scoperta di Jabali fino all’abbandono della California (1^parte)
Puntata 9 – Oaks, gli anni dei Virginia Squires tra Charlie Scott, Julius Erving e George Gervin (2^parte)
Puntata 10 – Muskies, l’anno a Minneapolis e l’approdo a Miami come Floridians (1^parte)
Puntata 11 – Floridians, gli anni di coach Bass, di Calvin, Jones e Jabali (2^parte)
Puntata 12 – Conquistadors, da coach K.C. Jones all’ingaggio di Wilt Chamberlain (1^parte)
Puntata 13 – Conquistadors, l’addio a Chamberlain e l’inizio del declino dei nuovi Sails (2^parte)
Puntata 14 – Amigos, l’anno deludente ad Anaheim e la nascita dei gloriosi Stars di Bill Sharman (1^parte)
Puntata 15 – Stars, i primi ruggenti anni ’70 con le sfide ai Pacers fino alla bancarotta (2^parte)
Puntata 16 – Mavericks, il disasatro a Houston e la nascita dei Carolina Cougars di Billy Cunningham e Larry Brown (1^parte)
Puntata 17 – Cougars, l’ultimo anno di Cunningham fino alla nascita dei disfunzionali Spirits of St. Louis (2^parte)
Puntata 18 – Colonels, dalle iniziali difficoltà fino alle scelte di Dan Issel e Artis Gilmore (1^parte)
Puntata 19 – Colonels, dal successo con coach Hubie Brown fino alla sorprendente scomparsa (2^parte)
Puntata 20 – Spurs, gli anni a Dallas come Chaparrals (1^parte)
Puntata 21 – Spurs, i primi anni a San Antonio con James Silas e George Gervin (2^parte)
Puntata 22 – Pacers, i gloriosi anni di Brown, Daniels e Lewis fino all’ingaggio di McGinnis (1^parte)
Puntata 23 – Pacers, dal back to back fino al difficile approdo nella NBA (2^parte)


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