Tony Parker agli ultimi europei

Tony Parker agli ultimi europei

Ci sono un uomo americano e una donna olandese che si conoscono nei Paesi Bassi e a Bruges (Belgio) danno alla luce il loro primogenito, appena prima di trasferirsi in Francia. No, non è l’inizio di una tipica barzelletta sugli stereotipi nazionali e no, non è neanche una lezione intensiva di geografia europea: si tratta semplicemente del nastro di partenza della vita di William Anthony Parker, per gli amici Tony. E la metafora atletica ben si adatta alla vicenda di questo ragazzo dalle mille origini, che da quando è stato sputato su questo pianeta non ha fatto altro che correre: “ho sempre vissuto la vita velocemente in ogni suo aspetto: mangiavo anche velocemente, nonostante a papà non piacesse”.Già, il papà: vale la pena di citare il signor Tony Parker Senior (la fantasia degli americani al momento della scelta dei nomi è quasi disarmante) non solo per i preziosi insegnamenti culinari e sul bon ton. In effetti per Tony il padre è stato “un continuo esempio”, in grado di guidarlo verso il successo e di trasmettergli alcuni valori che tuttora rappresentano le pietre miliari della personalità della stella degli Spurs: la fiducia nell’energico spirito americano e la vocazione al duro lavoro quotidiano, l’unica cosa “che paga davvero”. Come se non bastasse è proprio grazie all’ex cestista (e ad un certo Michael Jordan) che il piccolo Tony decise di dedicare la sua vita alla spicchiata, abbandonando ogni velleità di giocare a calcio.

Che la futura guardia avesse qualche talento era noto fin dal principio, altrimenti non sarebbe stato notato dagli osservatori dell’Insep, una sorta di accademia per i migliori giovani sportivi di Francia nella quale, quasi inutile aggiungerlo, entrare è pressochè impossibile. La carriera professionistica di Tony inizia a Parigi nel 1999: due anni passati a farsi le ossa nel campionato francese e un paio di occasioni per mettersi in mostra a livello internazionale sono una descrizione fin troppo dettagliata delle vicende del transalpino fino al 2001. La prima delle occasioni di cui sopra altro fu  il famoso Hoop Summit, tenutosi quell’anno alla Conseco Fieldhouse di Indianapolis, in una sfida che vide in campo, tra gli altri, le versioni mocciose di Omar Cook, Darius Miles e Zach Randolph. Prestazione di Tony: 20 punti 7 assist 4 rimbalzi 2 rubate, per la serie “fare la cosa giusta al momento giusto”. Aggiungete a questa performance a dir poco apprezzabile un europeo Under 18 vinto con la Francia da MVP (sempre nel 2000), miscelate il tutto con un pizzico di qualità atletiche evidentemente fuori dalla media, infornate e fate cuocere a fuoco lento per circa un anno. L’ovvio risultato fu una clamorosa guerra universitaria, durante la quale colossi collegiali tra cui UCLA e Georgia Tech si fronteggiarono a suon di borse di studio e offerte succulente per garantirsi le prestazioni del giovane franco-belga. Sorprendendo ancora una volta tutti, Parker decide però che la NCAA non fa per lui e, dopo il secondo anno a Parigi nel Basket Racing, decide di dichiararsi eleggibile per il draft NBA del 2001. Da questo punto del racconto, ovviamente, la storia del nativo di Bruges si intreccia indissolubilmente con quella della città di San Antonio. Ma attenzione: non è stato tutto così facile fin dal principio.

Mai dimenticare che nessuno è perfetto, neanche un guru come Gregg Popovich, che con Parker stava per prendere una cantonata di quelle storiche. Ecco perchè: uno sbarbato Parker, fresco di candidatura al draft, viene invitato al summer camp degli Spurs per essere visionato e l’accoglienza di Pop è quanto di più letteralmente probante ci si possa aspettare. Il francese viene messo a giocare contro lo scout (ed ex giocatore) Lance Blanks, che ha il preciso ordine di picchiare duro per testare la tenuta fisica del piccoletto proveniente da oltreoceano. La proverbiale pazienza dell’allenatore americano fa sì che dopo dieci tragici minuti di confronto Parker venga malamente cacciato. A questo punto il fato decide di metterci lo zampino: Pop viene convinto a dare una seconda chance a Tony dopo aver visto un video delle sue migliori giocate. Sì, insomma, uno dei classici montaggi che spuntano come funghi su youtube, spesso intitolati “best of … mix”, tendenzialmente affidabili come Schettino alla guida del Titanic e indicativi come un sondaggio pre-elettorale. Ebbene, per quanto strano, questo è proprio quello che succede: al secondo tentativo il franco-belga, messo nuovamente davanti all’ostacolo Blanks, reagisce benissimo e convince Pop di essere l’uomo giusto per la franchigia. Dirà successivamente il coach che “when we gave him first workout we didn’t think he was tough enough and we sent him home. And then we set up another workout…and he was fantastic in that one”. La Dea bendata completa la sua magnanima opera “accecando” i talent scout di mezza lega e permettendo agli Speroni (la cui prima chiamata era al numero 28…) di aggiudicarsi il talentino francese.

Tony Parker in lay up, una delle specialità della casa

Tony Parker in lay up, una delle specialità della casa

A questo punto per il nostro ha inizio una sorta di purgatorio cestistico: i traguardi, individuali e di squadra, giungono a velocità disarmante (All Rookie-First Team nel 2001, primo anello nel 2003, secondo nel 2005), le cifre della guardia sono in costante miglioramento, ma ancora manca la fiducia che una pretendente superstar come lui merita di avvertire intorno a sé. Le finali del 2003 sono molto difficili per il numero 9, costretto a osservare spesso i compagni dalla panchina, e l’atto conclusivo del 2005 non è molto migliore dal punto di vista personale, anche (e soprattutto) a causa della presenza come avversario diretto nelle fila di Detroit di un certo Chauncey Billups. Uno che l’anno prima aveva portato a casa il premio di MVP delle Finals e che era appena stato nominato membro dell’All Defensive Team. Il bronzo conquistato l’estate dello stesso anno a Belgrado con la nazionale è la prima svolta, seguita dalla convocazione nel 2006 al primo All Star Game. Ma ciò che più di ogni altro fattore contribuì alla consacrazione di Parker fu Parker stesso: accettò tutte le critiche di Popovich, anche quelle che potevano sembrare eccessive, e le sfruttò come motivazione per migliorare quasi tutti gli aspetti del suo gioco. Durante i primi anni in Texas lavorò sull’abilità in palleggio, sulla tecnica di passaggio (è diventato il miglior assist man della storia di San Antonio, sorpassando Avery Johnson nel febbraio 2012), sullo stile di tiro. Quest’ultimo venne particolarmente curato grazie alle sapienti attenzioni di Chip Engelland, che vietò a Tony di tirare da 3 punti per un certo periodo e lavorò sui dettagli, quali la fluidità del movimento e il posizionamento del pollice. Si può dire che il discorso fatto in precedenza sulla fiducia nel lavoro quotidiano si riflette abbastanza bene in questo atteggiamento? E allora diciamolo.

Grazie ad un’ossessiva perseveranza nel correggere i propri errori e nel limare tutte le piccole imperfezioni Tony riesce a completarsi come giocatore: nel 2007 arriva il terzo anello, questa volta da protagonista, questa volta da MVP delle finali. E’ il primo europeo a riuscire nell’impresa. Per dare un’idea della risonanza che ha avuto l’evento, in Francia il nostro viene premiato con la legione d’onore, grado “chevalier”. Insomma chapeau, come si dice da quelle parti. Il 2007 è quindi simbolicamente l’anno in cui TP9 si lascia alle spalle il suo personale purgatorio, nonostante le delusioni raccolte negli States da allora, ultima ma non unica le finals di tre mesi fa contro Miami, durante le quali ha messo comunque in mostra giocate come questa:

httpv://www.youtube.com/watch?v=MaI6XuzTr20

Delusioni che peraltro sono ampiamente bilanciate dai successi ottenuti con la nazionale: argento europeo a Kaunas nel 2011, oro a Lubiana un paio di settimane fa con altra statuetta di MVP da portare a casa. Ora sì che Tony è giunto dove voleva, con mezzo mondo ai suoi piedi. Ci è riuscito grazie agli insegnamenti altrui ma anche, e soprattutto, grazie alle sue doti naturali: tenuta mentale, rapidità di pensiero e di piedi. La sua velocità non si può insegnare, piuttosto è un dono. Forse si può parzialmente spiegare, e Parker stesso ci ha provato così: “Per farcela nella NBA devi essere forte mentalmente: questa è la differenza tra buoni giocatori e grandi giocatori. Ed è questo che aiuta ad essere più veloce degli altri”. Difficile dire se sia davvero così, se basti questo a spiegare il ritmo doppio a cui TP viaggia rispetto agli altri. Probabilmente non è abbastanza, come d’altronde una Maserati non è più veloce di una Panda solo per il numero di cavalli, i fattori che contribuiscono sono sempre tanti. Quello che si sa con certezza è che siamo tutti testimoni di un uomo di 1,88 m che domina in un ambiente in cui l’altezza media lo fa sembrare decisamente fuori posto, terribilmente poco adatto. Non all’altezza, per usare una metafora efficace. Pare quasi che, nonostante la costituzione fisica di Tony non gli permetta di fare quello che fa, lui non lo sappia e continui a farlo. Di più, usa i propri punti deboli a suo vantaggio, come solo i grandissimi sanno fare. Per convincersene è sufficiente dare un’occhiata ai numeri riguardanti i punti segnati nel pitturato, lì dove chi concede quasi mezzo metro agli avversari non dovrebbe neanche avvicinarsi: tra i nomi in cima alla lista c’è proprio lui, Tony Parkèr, 1.88 m di inafferrabile velocità.

La sua storia è ben lungi dall’essere finita, ma il traguardo più importante TP l’ha già raggiunto: entrare nell’Olimpo del gioco e consegnarsi agli annali. L’ha fatto a modo suo, o meglio al suo ritmo: di corsa. Da uno che ha sempre vissuto la vita premendo sull’acceleratore, cosa vi aspettavate?