Ci sono espressioni e modi di dire mutuati dai programmi televisivi che più velocemente di altri entrano, a tutti gli effetti, a far parte del lessico comune. Ricordate il (tristemente) famoso “sei stato nominato” pronunciato da Barbara D’Urso ed eredi nel mai troppo poco rimpianto, ahinoi, Grande Fratello? Come non ricordare anche il cosiddetto “X Factor”, riconducibile al noto programma canoro accostato, un giorno sì e l’altro pure, a personaggi dello sport o squadre professionistiche che in un preciso momento storico, vivevano un buon momento? “Lionel Messi ha l’X factor”, Chissà se stasera i Lakers dimostreranno di avere l’X Factor”. Questi e altri proclami comparabili, accompagnavano le giornate di tifosi e appassionati fino ad un paio di mesi fa. Se si parla di All Star Game, però, e se ci viene in soccorso un minimo di fantasia che non guasta mai, l’inflazionato “sei fuori” con il quale Flavio Briatore in The apprentice stronca, più o meno virtualmente, i sogni di chi vuole sfondare nel mondo imprenditoriale, calza metaforicamente a pennello con quanto devono aver subito alcuni giocatori della corrente annata NBA. Posto che i selezionati per la partita delle stelle del prossimo 16 febbraio meritano tutti la convocazione, è giusto anche sottolineare come gli aventi potenziale diritto ad entrare nei magnifici ventiquattro fossero in tanti. Come sempre le scelte, per loro natura opinabili, generano discordanze e motivi di discussione, a maggior ragione nel mondo dello sport, fatto di mitizzazioni, estremismi, tifo e coinvolgimenti emotivi non solo da parte di spettatori e tifosi. Ecco qui di seguito, un possibile quintetto di giocatori di Eastern e Western Conference che avrebbero meritato la convocazione nella partita delle stelle ma che, invece, sono stati esclusi, o nominati, o non hanno l’X factor, sono fuori, per farla breve.

 

Eastern Conference:

Kyle Lowry – Il play di Toronto, alla migliore stagione in carriera tra le 8 fin qui disputate, sta trascinando i suoi Raptors alle vette assolute della Eastern, come testimonia l’attuale primato nell’Atlantic Division e il terzo posto generale nella conference. Se è vero che il settore guardie della rappresentativa dell’Est conta nomi di spicco come Kyrie Irving, Joe Johnson, Dwyane Wade, John Wall, senza dimenticare il suo compagno in Canada, DeMar DeRozan, è altrettanto giusto rimanere sorpresi dall’esclusione del leader della franchigia canadese. I quasi 17 punti e 8 assist di media grazie ai quali il nostro era passibile di convocazione, non sono stati sufficienti. Un peccato, data la leadership e la capacità di giocare per i compagni di uno dei giocatori più dediti al lavoro dell’intero mondo NBA.

Lance Stephenson – Born ready”, questo il soprannome della guardia di Brooklyn, è, probabilmente, quello che ha meno assorbito la mancata nomina nei magnifici 12. Ne ha ben donde la guardia dei Pacers, soprattutto se si considera quale impatto abbia, in entrambe le metà campo, per le fortune di Indiana, miglior squadra dell’Est non per caso. Come per Lowry, va considerata l’abbondanza di guardie di talento che caratterizza il lato atlantico degli Stati Uniti, anche se è comprensibile che l’assunto di cui sopra a Stephenson interessi il giusto.

Jeff Green – I ben noti problemi al cuore ne hanno forgiato il carattere. Jeff Green è un altro giocatore rispetto a quello visto ai tempi di Oklahoma. Il ritorno in campo (per molti mesi quasi un disperato auspicio e poco altro), lo ha visto più determinato e pronto a prendersi le proprie responsabilità. La gioia più grande in stagione rimane la miracolosa tripla con la quale il #8 ha battuto allo scadere gli Heat a Miami. Nel complesso, dà la sensazione di crescere partita dopo partita e di essere, con Rondo, il giocatore di maggiore spessore dei Celtics. L’appuntamento con l’All Star Game potrebbe essere rinviato di un anno.

David West – Già All Star grazie anche ai suoi trascorsi con Chris Paul ai tempi di New Orleans, l’ala forte dei Pacers è un altro di quelli che avrebbero meritato maggiore considerazione in sede di selezione. Non sarà un giocatore che cattura la fantasia dei tifosi, ma se si ragiona in termini di solidità, produzione di punti e rimbalzi e capacità di incidere anche in difesa, non c’è dubbio che West sia uno dei lunghi più determinanti della lega. Siamo sicuri, però, che il nostro, più che ad una convocazione all’All Star Game, stia pensando al titolo, il vero obiettivo stagionale suo e di tutti i Pacers.

Al Jefferson – La discriminante, probabilmente, è una sola. Al Jefferson milita negli Charlotte Bobcats, non certo una franchigia di grande visibilità. Se si guarda a quanto fatto fino ad ora, però, si nota come l’ex Jazz sia il vero motivo per il quale la franchigia di Michael Jordan, stia navigando in acque piuttosto tranquille rispetto alle previsioni della vigilia. I 19,6 punti per partita e i 10.6 rimbalzi rendono Jefferson uno dei lunghi più solidi della lega. Peccato che i numeri non siano bastati.

 

Western Conference:

Goran Dragic – Ha studiato Steve Nash per qualche anno, ne ha copiato stile e movenze, tutto con quel pizzico di follia cestistica in più tipica di chi viene dai Balcani. Il play dei sorprendenti Phoenix Suns di coach Jeff Hornacek, si sta consacrando come uno dei piccoli più spettacolari e forti della intera NBA. Con Bledsoe, forma uno dei backcourt più pericolosi della lega. Punti, assist, visone di gioco, sfrontatezza, questi sono i punti di forza del play sloveno. Se la franchigia dell’Arizona marcia spedita anche nella difficile Western Conference, un ringraziamento lo deve proprio a Dragic. Come per Green, forse la convocazione è solo questione di tempo.

Monta Ellis – Destino amaro quello di Monta Ellis. Veterano con un decennio di esperienza NBA quasi sempre ad una ventina di punti di media come in questa stagione, ma mai All Star. Su di lui pesano i noti limiti caratteriali ed il fatto di aver giocato molto spesso per squadre perdenti. Quest’anno, però, a Dallas sta vivendo una stagione vincente anche a livello di squadra ma la costante è che l’ex Warriors è sempre tra gli esclusi di lusso. Un lusso di cui lui non andrà fiero per nulla.

Andre Iguodala – All’ombra dello splash-duo Curry-Thompson, il campione del mondo in carica con Team USA ha, di certo, meno possibilità di spiccare rispetto ai trascorsi nei Nuggets e nei 76ers. Golden State, però, dopo un inizio di stagione claudicante coinciso con un suo infortunio, è tornata ad esprimersi sui livelli dello scorso anno proprio da quando ha recuperato Iguodala, probabilmente il terzo violino ideale per una squadra con ambizioni di alto livello come i Warriors. Imprescindibile per il suo apporto a tutto tondo sia in attacco che in difesa, il #9 si consolerà con una stagione di vertice della sua squadra che passerà, anche e soprattutto, da quanto mostrerà uno degli esclusi eccellenti della partita delle stelle.

Tim Duncan – E’ il meno deluso di tutti, ne siamo certi. Anti divo per eccellenza e poco propenso alle luci della ribalta, il giocatore più forte della storia degli Spurs ha ben altri obiettivi in testa. Se, però, vale la regola che all’All Star Game debbano venire convocati i giocatori più forti, allora l’assenza del caraibico stona non poco, dato che parliamo di uno dei giocatori più determinanti di sempre.

Anthony Davis – La prima scelta assoluta dello scorso draft migliora partita dopo partita. E’ fisicamente recuperato al 100% dopo i patimenti vissuti lo scorso anno. La buona salute sfocia in una serie di prestazioni di grande livello, come testimonia il recente record conseguito dall’ex Wildcats: dal 1990, è il primo giocatore dopo Patrick Ewing ad aver fatto registrare più di 22 punti e 6 stoppate in tre partite consecutive. Per il lungo di New Orleans il tempo sarà galantuomo. Sarà un ospite fisso degli All Star Game negli anni a venire.

Per tutti gli esclusi, più o meno delusi, bisogna ricordare che anche Michael Jordan, ai tempi dell’high school, è stato uno di quelli che ha dovuto masticare amaro in conseguenza di scelte più o meno condivisibili. La sua esclusione dalla prima squadra di basket della sua scuola, la celeberrima ormai Laney High School, si dice sia stata uno dei motivi che hanno spinto il più grande di sempre a diventare quello che è poi diventato. Le esclusioni fanno male, ma ogni tanto fungono anche da stimolo per migliorarsi. Capito?