Cos’è Busts&Steals? Semplificando, all’interno del mondo del Draft NBA, un bust è un giocatore che, a dispetto delle alte aspettative su di lui nel momento in cui viene scelto, fallisce poi (più o meno) clamorosamente sul campo, scomparendo in tempi (più o meno) brevi dal panorama NBA. Uno steal invece è, per certi versi, l’esatto contrario: un giocatore su cui, al momento del draft, nessuno avrebbe puntato un centesimo e che poi, spesso sfruttando occasioni e situazioni propizie per mettere in mostra il suo talento, stupisce tutti costruendosi un ruolo (talvolta di primo piano) nella Lega. Insomma, il draft non è una scienza esatta, è risaputo, ma proprio qui sta il suo fascino.
Ripercorreremo quindi la storia di otto draft recenti alla ricerca di busts e steals: che fine hanno fatto le prime scelte sparite quasi subito dai parquet NBA? E chi sono quei giocatori che invece, scelti al secondo giro ed entrati nella Lega in punta di piedi, ne sono poi diventati protagonisti? È questo lo scopo di questa rubrica, che, dopo il Draft 1998, il Draft 1999, il Draft 2000, il Draft 2001,  e il Draft 2002, torna dopo qualche mese con il Draft 2003. Buon divertimento!

Draft 2003

draft03

LeBron James. Basterebbe questo nome per misurare la qualità del draft del 2003, considerato uno dei più ricchi di talento di sempre, soprattutto se, al Prescelto, chiamato ovviamente con il n. 1, aggiungiamo i vari Carmelo Anthony (n. 3), Chris Bosh (n. 4), Dwyane Wade (n. 5), David West (n. 18), Boris Diaw (n. 21). E non solo, perché diversi altri giocatori non sono diventati stelle, ma comunque ottimi giocatori: Chris Kaman (n. 6), Kirk Hinrich (n. 7), Nick Collison (n. 12), Luke Ridnour (n. 14), Carlos Delfino (n. 25), Leandro Barbosa (n. 28). Ma, al di là di tutto questo, non sarebbe un draft senza bidoni e sorprese, queste ultime piuttosto numerose, con una decina di buoni/ottimi giocatori scelti al secondo giro.

1º giro

Flop totali: sono scomparsi dalla NBA

La nuova carriera di Darko Miličić (Foto: foxsports.com)

La nuova carriera di Darko Miličić (Foto: foxsports.com)

2. Darko Miličić (C, 213 cm, Detroit Pistons)
Questo centro serbo si aggiunge alla nutrita lista di lunghi che, scelti in alto o in altissimo nel draft, non solo non hanno dominato come si sperava, ma hanno addirittura faticato a trovare spazio nella NBA. Cresciuto nell’Hemofarm, squadra in cui debutta nella massima serie serba a soli 16 anni, viene scelto dai Pistons, che all’epoca erano un’ottima squadra, in possesso della seconda scelta grazie a una trade con i Grizzlies avvenuta nel 1997. Anche per questo, Miličić trova poco spazio nel suo anno da rookie, pur ottenendo il record come giocatore più giovane mai sceso in campo durante le Finali NBA (vinte con un ruolo invisibile: 5 minuti totali in 3 gare, senza punti segnati). «Il giocatore è giovane e si farà», si pensa, ma già dopo due anni e mezzo i Pistons capiscono e accettano, loro malgrado, di aver preso un bidone, e lo spediscono a Orlando, dove spazio e rendimento crescono notevolmente (oltre 20 minuti di media, per circa 8 punti e 5 rimbalzi) ma di sicuro non da giustificare una seconda scelta, e così il contratto non gli viene rinnovato. Il 213 cm serbo è di nuovo costretto a fare le valigie, prima con destinazione Memphis, dove rimane due anni firmando un contratto da 7 milioni di dollari a stagione, poi New York (solo 8 partite all’inizio della stagione 2009/10), quindi Minnesota, dove rimane due anni e mezzo e disputa la sua miglior stagione a 8,8 punti di media, e infine, dopo essere stato tagliato con la amnesty clause, Boston, squadra di cui indossa la maglia in una sola gara, l’ultima nella NBA, il 2 novembre 2012, prima di venire tagliato su sua richiesta per motivi personali. Nel giugno 2013, Miličić annuncia il ritiro a soli 28 anni; ritiro dal basket ma non dal mondo dello sport, dato che inizia, un po’ a sorpresa, una carriera nel mondo del kickboxing. Nel 2015 annuncia di voler tornare sul parquet con la maglia del Metalac Valjevo, salvo poi cambiare idea senza aver disputato nemmeno una partita. Le sue dieci stagioni in NBA parlano di soli 6 punti più 4,2 rimbalzi e 1,3 stoppate in 18,5 minuti di media: esattamente quello che non ti aspetteresti dalla tua scelta n. 2.

Mike Sweetney in tutta la sua rotondità (Foto: 1star.fr)

Mike Sweetney in tutta la sua rotondità (Foto: 1star.fr)

9. Mike Sweetney (PF, 203 cm, New York Knicks)
Che i Knicks non fossero proprio dei maghi del draft lo si sospettava già da qualche anno, e la scelta di Sweetney non è stata altro che una conferma. Ala grande piuttosto completa e con buona attitudine a rimbalzo in uscita da Georgetown, a New York trova poco spazio nella prima stagione, mentre nella seconda sfiora i 20 minuti a partita contribuendo con 8,4 punti e 5,4 rimbalzi. Viene quindi ceduto a Chicago, dove chiude la prima stagione con cifre simili e la seconda dimenticato in fondo alla panchina, scendendo in campo solo nei garbage time di 48 partite. Il vero problema di Sweetney è il peso: da sempre con la tendenza a ingrassare, a Chicago il problema emerge in maniera drammatica, tanto che dopo la sua quarta stagione NBA passa due anni senza calcare un parquet per cercare di rimettersi in forma. Nel 2009 gioca la summer league con i Celtics, che però lo tagliano prima dell’inizio del campionato. Finisce qui la sua carriera nella Lega (quattro stagioni a 6,5 punti e 4,5 rimbalzi di media) e inizia il vagabondaggio tra NBDL, Puerto Rico, Repubblica Dominicana, Uruguay e Venezuela. Nel 2015, dopo un anno di stop a causa di una forte depressione, torna in campo in Uruguay con la maglia dell’Urunday Universitario, esordendo con 10 punti e 18 rimbalzi nonostante i 168 kg di peso.

13. Marcus Banks (G, 188 cm, Boston Celtics)
Esplosiva combo guard uscita da UNLV, dotata di ottimo ball handling e attitudine difensiva ma piuttosto carente per quanto riguarda capacità di lettura e playmaking, è rimasto nella NBA tutto sommato a lungo (otto stagioni) ma non solo senza incidere, addirittura spesso faticando a trovare più di 10-15 minuti di spazio. Scelto da Memphis ma subito mandato a Boston, la prima stagione è senza infamia e senza lode (attorno ai 6 punti e 2 assist in 17 minuti), ma la seconda fa registrare un calo evidente; così, iniziato da poco il terzo anno, finisce ai T-Wolves, dove gioca la miglior (mezza) stagione della carriera, segnando 12 punti di media con 4,7 assist in 40 partite. Cifre che gli valgono un contratto da 21 milioni in cinque anni con i Suns l’anno successivo. In Arizona, però, Banks fatica a trovare un ruolo, e dopo un anno e mezzo viene ceduto a Miami, dove rimane due mezze stagioni prima di finire a Toronto. Dopo due stagioni e mezzo in Canada in cui vede a malapena il campo viene ceduto agli Hornets, dove in cinque mesi e mezzo non entra in campo nemmeno una volta. Chiusa la carriera NBA con medie di 5,9 punti e 2,1 assist in 16 minuti, nel 2012 prova una breve esperienza in D-League prima di firmare oltreoceano con il Panathinaikos, che però lo taglia in maggio. Nel 2014/15 è in forza allo SLUC Nancy, in Francia, mentre dal 2016 veste la casacca dello Champville SC in Libano.

15. Reece Gaines (G, 198 cm, Orlando Magic)
Guardia di quasi due metri in grado di giocare anche da playmaker, dopo quattro ottimi anni a Louisville Gaines viene scelto dai Magic, dove però passa la stagione da rookie a scaldare la panchina. Ceduto ai Rockets, la musica non cambia, dato che passa la maggior parte del tempo in lista infortunati; a febbraio viene nuovamente scambiato, finendo stavolta a Milwaukee, dove gioca (pochissimo) per una stagione e mezza prima di chiudere la sua carriera NBA con 71 partite totali a 1,7 punti e 0,7 assist in 8,5 minuti di media. Nel 2006 sbarca così in Italia, a Biella, dove gioca un’ottima stagione che gli vale un contratto con l’Armani Jeans Milano per quella successiva. Nel capoluogo lombardo Gaines però delude e viene tagliato dopo pochi mesi, andando a finire a Treviso e tornando a Biella la stagione dopo ancora. Torna quindi per un anno negli USA, giocando con i Texas Legends in D-League, dopodiché seguono brevi esperienze in Grecia, Francia, Austria e Venezuela prima del ritiro dal basket giocato e dell’inizio della carriera come allenatore nella NCAA: finora è stato assistente prima a Bellarmine e poi, dal 2015, a Eastern Kentucky.

16. Troy Bell (PG, 185 cm, Memphis Grizzlies)
Se la carriera NBA di Gaines è durata poco, quella di Troy Bell è stata a dir poco fulminea. Dopo quattro ottimi anni a Boston College, con un Oro ai Mondiali Under 21 del 2001 nel suo palmarès, i Celtics lo scelgono a metà del primo giro ma lo mandano subito ai Grizzlies, che però lo schierano per sole sei partite, per un totale di 34 minuti, 11 punti, 4 rimbalzi e 4 assist: qui si chiude la sua carriera nella Lega. Ormai fuori dalla NBA, Bell si dà alla boxe per un breve periodo, prima di tornare in campo, dopo fugaci apparizioni a Madrid e a Francoforte, nella NBDL. Nel 2007 sbarca in Italia, dove rimane fino al 2014 tra Serie A e Legadue, prima anche lui a Biella (ma senza giocare insieme a Gaines) e poi tra Casale Monferrato, Soresina, Sant’Antimo, Barcellona e Reggio Emilia. Nel mezzo un’esperienza in Francia, poi una breve in Turchia e quindi in Argentina, dove milita tuttora nel San Lorenzo.

 Il nuovo ruolo di Žarko Čabarkapa: dietro una scrivania (Foto: aba-liga.com)

Il nuovo ruolo di Žarko Čabarkapa: dietro una scrivania (Foto: aba-liga.com)

17. Žarko Čabarkapa (PF, 211 cm, Phoenix Suns)
Ala forte “moderna”, dotata di rapidità, ottimo ball handling, tiro da fuori e capacità di lettura, cresce prima nel Beopetrol e poi nel Budućnost Podgorica, venendo quindi scelto a metà del primo giro dai Suns, la cui speranza segreta è di “rubare” il nuovo Nowitzki. Invece, in Arizona il montenegrino gioca poco il primo anno, anche a causa di un infortunio, e viene subito ceduto ai Warriors la stagione successiva. Anche lì, però, i problemi alla schiena non lo abbandonano, tanto che nel 2006, alla fine della sua terza stagione NBA (4,3 punti e 2,1 rimbalzi di media nelle sue 150 partite disputate), decide di ritirarsi a soli 25 anni. Un paio di anni dopo torna sui suoi passi, tornando prima ad allenarsi e poi a giocare con il Budućnost, ma il fisico non lo regge e la sua seconda carriera durerà appena quattro partite. Attualmente lavora per la Lega Adriatica come “Sports Director”.

22. Zoran Planinić (PG, 198 cm, New Jersey Nets)
Cresciuto nel Cibona Zagabria, questo playmaker nel corpo di una guardia, MVP del campionato croato a 19 anni non ancora compiuti, ha affascinato diverse squadre NBA, tra cui i Nets, che decidono che una chiamata al n. 22 può valere il rischio. In realtà, Planinić ha sempre avuto uno stile di gioco troppo “europeo” per potersi ben adattare alla NBA, in cui è rimasto per tre sole stagioni, tutte ai Nets, chiuse a 3,8 punti, 1,3 rimbalzi e 1,1 assist in poco più di 10 minuti di media. Arricchito dall’esperienza americana, anche grazie ai tre anni di allenamento a stretto contatto con tale Jason Kidd, torna in Europa nel 2006, costruendosi una solida carriera in squadre di alto livello, oltre che con la maglia della Nazionale croata: prima al Tau Cerámica Vitoria, con cui vince il campionato nel 2008, poi al CSKA Mosca, dove vince due campionati e una Coppa di Russia, quindi al Khimki, con cui vince un campionato e un’Eurocup, di cui è anche MVP della finale. Nel 2013 passa in Turchia, all’Efes, ma al termine della stagione l’arrivo in panchina di Dušan Ivković gli fa perdere il posto in squadra; forte del suo ricco accordo pluriennale, Planinić non accetta la risoluzione del contratto, rimanendo a libro paga del club turco da “nullafacente”.

26. Ndubi Ebi (PF, 206 cm, Minnesota Timberwolves)
Dopo tre draft “saltati” a causa dell’affair Joe Smith, i T-Wolves tornano ad avere la possibilità di chiamare una prima scelta, ma di certo, col senno di poi, avrebbero potuto scegliere molto meglio. Cresciuto in Nigeria, Ebi frequenta l’high school a Houston, dove le sue doti atletiche applicate al basket non passano inosservate. Decide così di non andare al college e provare subito il “grande salto”, ma le cose non vanno come sperato: il primo anno a Minnesota mette piede in campo solo per 17 piccole porzioni di gara, mentre il secondo anno va ancora peggio, con due sole apparizioni nelle ultime due, inutili, gare stagionali (la seconda con 18 punti e 8 rimbalzi, per quello che possono valere). Non potendo essere mandato in D-League perché ha già due anni di esperienza NBA sulle spalle (gli unici, chiusi a 2,1 punti e 1 rimbalzi in 4,5 minuti di media), i T-Wolves lo tagliano e Ebi, dopo un’esperienza a Dallas finita praticamente ancor prima di iniziare, dopo una stagione in D-League da free agent si rassegna a cercare squadra fuori dagli USA, soprattutto in Europa, dove il suo passaporto britannico fa comodo per la quota stranieri. Negli anni seguenti inizia a fare davvero il giramondo: Israele, Italia (Ferrara, Rimini e Imola), Francia, Cina, Libano, di nuovo Italia (Avellino), Puerto Rico, Egitto e ancora Italia (prima alle due Virtus, Bologna e Roma, e poi a Torino, dove milita tuttora).

Mezze delusioni: hanno reso molto meno del previsto

TJ Ford ai tempi dei Pacers (Foto: barkingcarnival.com)

TJ Ford ai tempi dei Pacers (Foto: barkingcarnival.com)

8. TJ Ford (PG, 180 cm, Milwaukee Bucks)
Se la carriera di questo piccolo playmaker da University of Texas è stata una mezza delusione, è stato soprattutto, se non esclusivamente, per colpa della sfortuna. Affetto da stenosi spirale, diagnosticata già prima del college, gioca comunque due ottime stagioni per i Longhorns, che gli valgono il Naismith College Player of the Year nel 2003 e la scelta n. 8 al draft da parte dei Bucks. Nella prima stagione a Milwaukee, Ford fa solo intravedere il suo potenziale, finendo come primo assistman (6,5) ma segnando solo 7 punti a gara; dopo sole 55 partite, però, è costretto a fermarsi per un grave infortunio che, interessando il midollo spinale, minaccia addirittura di chiudere anzitempo la sua carriera. Salta così l’intera stagione 2004/05, al termine della quale arriva però la buona notizia: i medici dicono che è completamente ristabilito e in grado di tornare in campo. La voglia di giocare di TJ si nota già dalla prima uscita stagionale, quando sfiora la tripla doppia contro i Sixers. Durante la stagione dimostra di non risentire minimamente del lungo stop, ma il nuovo stile di gioco dei Bucks di coach Stotts mal si adatta alle sue caratteristiche; viene così ceduto ai Raptors, dove gioca un’ottima prima stagione (14 punti e quasi 8 assist di media) ma è nuovamente costretto a fermarsi per 30 partite in quella seguente. Al ritorno dall’infortunio, José Calderón gli ha ormai in pratica rubato il posto di titolare; il suo rifiuto di partire dalla panchina lo porta a uno scambio con i Pacers, ma a un’ottima prima stagione (quasi 15 di media) ne seguono due costellate da continui infortuni. Diventato free agent nel 2011, dopo aver disputato una partita con il KK Zagabria in Croazia durante il lockout firma con gli Spurs, ma in seguito all’ennesimo infortunio alla schiena, causato da una gomitata di Baron Davis, annuncia il ritiro, a 29 anni, dopo sole 14 partite, spiegando con amarezza le sue ragioni: «Se fosse successo a qualunque altro giocatore, non sarebbe stato niente di che. Ma per me, nelle mie condizioni, una semplice gomitata nella schiena ha un peso specifico ben diverso rispetto a chiunque altro». Nelle 8 stagioni disputate in NBA, Ford ha tenuto medie di 11,2 punti, 3,1 rimbalzi, 5,8 assist e 1,2 recuperi in 27,7 minuti a partita. Dopo il ritiro ha fondato la TJ Ford Basketball Academy, dove si occupa della crescita, cestistica e non, di giovani atleti.

10. Jarvis Hayes (SF, 203 cm, Washington Wizards)
Questa ala uscita da Georgia non è stata di certo un flop colossale, ma non si può nemmeno dire che abbia “onorato” una chiamata al n. 10. Ottimo realizzatore al college, Hayes parte bene tra i pro con la maglia dei Wizards, ma presto il suo rendimento cala, già prima della metà del suo primo anno, e chiude sfiorando la doppia cifra di media, che raggiunge invece nella stagione seguente, chiusa però in anticipo a causa di un grave infortunio al ginocchio, che lo tiene lontano dal parquet per parecchio tempo. La speranza è risolvere il problema senza operarsi, ma ogni volta che Hayes torna in campo in poco tempo l’infortunio di ripresenta. Dopo aver giocato solo 21 partite nella sua terza stagione NBA, decide infine di operarsi; al ritorno in campo, però, le sue prestazioni calano notevolmente e i Wizards decidono di non rinnovarlo. Firma così per i Pistons al minimo salariale, uscendo dalla panchina come cambio di Tayshaun Prince; nel 2008 va ai Nets, di cui diventa il sesto uomo, superando però spesso i titolari come minutaggio e adattandosi a giocare anche come ala forte. Dopo la seconda stagione in New Jersey, decide di chiudere la sua carriera NBA (sette anni a 8,3 punti e 3,1 rimbalzi in 23,2 minuti di media) e di provare ad attraversare l’oceano: prima in Turchia, poi in Russia, quindi in Israele e in Italia, alla Sidigas Avellino, nella stagione 2013/2014. Attualmente gioca in Romania con l’Asesoft Ploiești; dopo aver ottenuto la nazionalità del Qatar, è diventato un membro insostituibile della Nazionale.

11. Mickaël Piétrus (SG/SF, 198 cm, Golden State Warriors)
Lo stesso discorso si può fare bene o male per Mickaël Piétrus, atletica guardia/ala francese sempre in procinto di fare il definitivo salto di qualità, ma che non è mai esplosa veramente. Cresciuto nel Pau Orthez, Piétrus ha giocato per 10 stagioni nella NBA, costruendosi una solida carriera come specialista difensivo, ma poco di più; sicuramente non quanto si sarebbero aspettati i Warriors scegliendolo al n. 11. Dopo cinque stagioni a Golden State (career high la quarta, con 11,1 punti a gara), chiuso nel ruolo da Kelenna Azubuike, firma come free agent per i Magic, dove rimane per poco più di due stagioni, raggiungendo anche la Finale, persa con i Lakers, nel 2009. Pochi mesi dopo viene ceduto ai Suns e un anno dopo, nel dicembre 2011, dopo un tentativo di trade con i Raptors andato a vuoto, Phoenix lo taglia, lasciandolo libero di firmare per i Celtics. La sua carriera è però ormai chiaramente in parabola discendente, anche a causa di una serie di acciacchi che già da tempo non gli consentono di giocare molto più di metà stagione. Nel novembre 2012 firma per i Raptors, con cui gioca le sue ultime 19 partite nella NBA, che lascia con medie di 8,3 punti, 3,1 rimbalzi e il 35% da tre in 21,5 minuti; trattandosi di un giocatore che faceva della difesa il suo punto forte, le cifre non sono particolarmente indicative del suo impatto nella Lega, anche se dimostrano che, pur essendo un elemento affidabile, non è nemmeno mai stato vicino a diventare una stella. Dopo un paio di anni di inattività gioca un paio di mesi a Puerto Rico, rimettendosi in forma prima di tornare in patria, dove nel novembre 2015 firma con lo SLUC Nancy, formazione in cui milita anche il fratello Florent.

Sasha Pavlović con la maglia dei Celtics (Foto: wikipedia.org)

Sasha Pavlović con la maglia dei Celtics (Foto: wikipedia.org)

19. Aleksandar “Sasha” Pavlović (SG/SF, 201 cm, Utah Jazz)
Sasha Pavlović è il classico esempio di giocatore che avrebbe fatto meglio a passare qualche anno ad alto livello in Europa prima di varcare l’oceano. Buon tiratore e discreto atleta, dopo essere cresciuto nel Budućnost viene scelto dai Jazz, approdando in NBA a soli vent’anni. A Salt Lake City rimane per una sola stagione, dato che nel 2004 viene scelto nell’expansion draft dai neonati Bobcats, che lo scambiano subito con i Cavs. A Cleveland Pavlović rimane per cinque stagioni, ma mai con un ruolo di primo piano (9 punti di media in 23 minuti il suo career high). La tanta panchina e l’utilizzo come specialista non gli hanno mai permesso di sviluppare pienamente le sue doti e il suo gioco: professionista affidabile, è rimasto nella Lega per dieci stagioni, ma sempre con un ruolo da comprimario, relegato addirittura in fondo alla panchina nella seconda metà della carriera, tra T-Wolves, Mavericks, Hornets, Celtics e Blazers (4,9 punti, 1,8 rimbalzi e 0,9 assist in 15,7 minuti le sue medie in carriera). Nel febbraio 2014 torna in Europa, vincendo il campionato, il primo della sua carriera, al Partizan Belgrado, dove rimane anche per la stagione successiva. L’ultimo anno, invece, è stato in forza al Panathinaikos, con cui ha fatto in tempo a vincere la Coppa di Grecia prima di venire tagliato in aprile.

2º Giro

Stelle a sorpresa: chi li ha scelti al secondo giro ha avuto davvero un colpo di genio (o di fortuna…)

47. Maurice “Mo” Williams (G, 185 cm, Utah Jazz)
In assoluto non si può dire che Mo Williams sia una stella della NBA, ma sicuramente lo è in relazione alla posizione in cui è stato scelto al draft. Si tratta infatti di un giocatore che in 13 stagioni ne ha finora chiuse 10 ben oltre la doppia cifra per punti segnati (13,2 punti e 4,9 assist in 29,2 minuti le sue medie carriera): non male per una point guard che, al momento del draft, era considerato soprattutto un distributore di assist piuttosto che un realizzatore. Invece, dopo una stagione così così a Salt Lake City, prima a Milwaukee e poi a Cleveland diventa uno scorer di prim’ordine, sfruttando il primo passo fulmineo e costruendosi nel tempo un tiro da fuori sempre più affidabile. Nel 2007/08, ai Cavs, gioca la sua stagione migliore, chiusa a quota 17,8 punti, 3,4 rimbalzi e 4,1 assist a gara, con tanto di convocazione per l’All-Star Game. Dal 2010 inizia a fare il girovago per gli USA, vestendo i nuovi panni del mattatore in uscita dalla panchina con le casacche di Clippers, di nuovo Jazz, Blazers, Timberwolves, Hornets e di nuovo Cavs, con cui nell’ultima stagione ha vinto di fatto il titolo NBA, anche se con un ruolo praticamente da spettatore nella seconda parte della stagione, sia a causa del rientro di Kyrie Irving, sia per una serie di problemi fisici.

51. Kyle Korver (SG/SF, 201 cm, Philadelphia 76ers)
Finito alla fine del secondo giro perché, in soldoni, pochi vedevano un futuro nella NBA per questo ragazzone bianco apparentemente senza grandi doti oltre a una mano fatata, Kyle Korver non solo ha stupito tutti fin dall’inizio della sua carriera, ma è maturato e migliorato costantemente anno dopo anno, anche in età “avanzata”, con la ciliegina della convocazione all’All-Star Game nel 2015, anno in cui, a 34 anni suonati, ha disputato la miglior stagione della sua carriera. Scelto dai Nets ma subito girato ai Sixers, dopo una prima stagione interlocutoria in cui viene utilizzato come tiratore “puro”, già al secondo anno mostra che può fare di più che infilare triple, chiudendo tre stagioni di fila oltre la doppia cifra (career high i 14,4 punti del 2006/07) e facendo vedere numeri interessanti anche a rimbalzo e negli assist. Passa quindi prima ai Jazz (due anni e mezzo) e poi ai Bulls (due anni), dove si conferma ottimo elemento in uscita dalla panchina. È però ad Atlanta che Korver eleva il suo status a giocatore totale, uno che capisce il gioco e che è riuscito, negli anni, a superare i suoi limiti fisici, soprattutto in difesa, con l’impegno e l’intensità. Il problema, se così si può chiamare, è che questa “maturità cestistica” è stata raggiunta piuttosto tardi, tanto che nell’ultima stagione Korver ha dovuto fare i conti con un calo fisico, e conseguentemente di fiducia, piuttosto evidente. In 13 anni di carriera finora ha tenuto medie di 10 punti, 3,1 rimbalzi e 1,8 assist con il 43% da tre (due triple a segno ogni partita) in 26,5 minuti.

Onesti mestieranti: scelti al secondo giro, si sono costruiti una (più o meno) solida carriera NBA.

Jason Kapono alla gara del tiro da tre (Foto: yardbarker.com)

Jason Kapono alla gara del tiro da tre (Foto: yardbarker.com)

31. Jason Kapono (SF, 203 cm, Cleveland Cavaliers)
Un po’ più che un onesto mestierante, a onor del vero, ma sicuramente non una stella, Kapono per alcune stagioni ha vissuto sotto i riflettori della NBA, vincendo il titolo con gli Heat nel 2006 e per due volte la gara del tiro da tre punti all’All-Star Weekend, nel 2007 e 2008. Specialista puro del tiro (è stato calcolato che impiegava 22 centesimi di secondo a rilasciare la palla dal momento in cui la riceveva), non ha però particolari doti atletiche, cosa che lo penalizza soprattutto nella metà campo offensiva e motivo per il quale scivola all’inizio del secondo giro. Ai Cavs rimane solo una stagione, trovando pochissimo spazio, ma le cose iniziano a migliorare al secondo anno, quando passa a Charlotte tramite l’expansion draft. Al terzo anno va agli Heat, con cui vince l’anello anche se quasi senza scendere in campo; trova invece molto più spazio nella stagione successiva, quando supera la doppia cifra per punti segnati e risulta il migliore della Lega per percentuale da tre punti (51,4%), record che ripete l’anno successivo, primo giocatore nella storia a riuscirci. Gioca poi altre due buone stagioni a Toronto e una discreta a Philadelphia, prima di chiudere la sua carriera NBA scaldando la panchina ancora ai Sixers e ai Lakers. Prima di appendere le scarpe al chiodo vuole però provare l’esperienza europea: gioca così per una stagione in Grecia, al Panathinaikos, con cui vince la Coppa di Grecia prima di andarsene in marzo a causa del limitato utilizzo. Nel maggio 2014 arriva il ritiro ufficiale, anche se qualche mese dopo proverà a tornare in campo, senza grossi esiti, con i Warriors. Nelle sue nove stagioni NBA ha tenuto medie di 6,7 punti con il 43,4% da tre e quasi una tripla segnata a partita in 17,8 minuti.

32. Luke Walton (F, 203 cm, Los Angeles Lakers)
Giocatore dall’intelligenza cestistica sopraffina ma tiratore solo discreto e dai mezzi atletici ben al di sotto della media, il figlio del grande Bill è riuscito a costruirsi una carriera come solido comprimario, in grado di dare una grossa mano in allenamento e di entrare in campo quando c’era bisogno di mettere ordine. Scelto dai Lakers, vi rimane per otto stagioni e mezzo (vincendo due titoli NBA), prima di chiudere la carriera con un anno e mezzo a Cleveland. La stagione migliore è quella del 2006/07, chiusa a quota 11,4 punti a partita, più 5 rimbalzi e 4,3 assist, cifre che spiegano molto bene che tipo di giocatore fosse. Il naturale prosieguo della sua carriera (10 stagioni a 4,7 punti, 2,8 rimbalzi e 2,3 assist in 17,2 minuti di media) è stato diventare allenatore, cosa che aveva in realtà già iniziato a fare nel 2011, quando, durante il lockout, mentre molti suoi colleghi cercavano lucrosi contratti in Europa, lui ha preferito fare da assistente allenatore alla Memphis University. Dopo il ritiro nel 2013 è diventato assistente ai Warriors, con i quali ha vinto il titolo nel 2015 e contribuito in maniera determinante al record di 73 vinte e 9 perse nella stagione successiva, guidando la squadra a un avvio da 24-0 (venendo anche nominato Coach of the Month del mese di novembre per la Western Conference) durante l’assenza per problemi fisici dell’head coach Steve Kerr. Nell’aprile 2016 Walton ha firmato con i Lakers come capo allenatore.

38. Steve Blake (PG, 191 cm, Washington Wizards)
Playmaker di stampo “classico”, di quelli che servono ottimi palloni ai compagni ma che riescono comunque anche a rendersi pericolosi in prima persona, scivola piuttosto in basso nel draft per un fisico tutt’altro che esplosivo e, anzi, piuttosto gracile. Invece, già dalla stagione da rookie a Washington dimostra che un posto nella Lega lo può avere tranquillamente, costruendosi una carriera come solido playmaker di riserva in grado di portare ordine e qualche punto. Insomma, un giocatore, se vogliamo, non indispensabile, ma certamente utile, come dimostrano le otto squadre cambiate nella sua carriera: Wizards, Blazers, Bucks, Nuggets, Clippers, Lakers, Warriors e Pistons. La sua stagione migliore è quella del 2008/09 a Portland, con 11 punti e 5 assist di media come point guard titolare. In 13 anni di carriera, non ancora conclusa, le sue medie parlano di 6,5 punti e 4 assist in quasi 24 minuti, con il 38,3% da tre.

41. Willie Green (G, 191 cm, Philadelphia 76ers)
Guardia nel corpo di un playmaker, dotato di buon atletismo e forza fisica, Green scivola a quasi metà del secondo giro soprattutto per la sua incapacità di adattamento a un ruolo più di regia. Scelto dai Sonics ma subito mandato ai Sixers, a Philadelphia si costruisce a poco a poco una carriera come giocatore che, in uscita dalla panchina, riesce a portare punti e intensità, chiudendo anche un paio di stagioni partendo in quintetto e segnando in doppia cifra (con un career high di 37 punti nel 2007). Nel 2010, dopo sette stagioni a Phila, viene ceduto a New Orleans; dopodiché, un anno agli Hawks, due ai Clippers (il primo nello starting five) e uno a Orlando, nel 2014/15. Pur non ancora ritirato ufficialmente, nella stagione appena conclusa non ha disputato nemmeno un incontro. Finora, nei suoi 12 anni di carriera nella NBA, ha tenuto medie di 8,3 punti, 1,8 rimbalzi e 1,4 assist in 20,2 minuti.

Tutta la grinta di Zaza Pachulia (Foto: teensportsgeeks.sportsblog.com)

Tutta la grinta di Zaza Pachulia (Foto: teensportsgeeks.sportsblog.com)

42. Zaza Pachulia (C, 211 cm, Orlando Magic)
Lungo europeo, se vogliamo, atipico, dal fisico roccioso e che ama giocare in post e nei pressi del canestro piuttosto che allontanarsi verso l’arco, forse proprio per questa sua “atipicità” scivola a metà del secondo giro, ma già primi anni in NBA dimostra di potersi rendere più che utile, grazie anche a un ottimo lavoro per migliorare i suoi difetti, soprattutto in fase difensiva. Di nazionalità georgiana ma cresciuto nel Trabzonspor, con cui vince il campionato turco nel 2001, viene scelto dai Magic, ma vi rimane un solo anno, senza brillare; pescato dai Bobcats nell’expansion draft del 2004, viene ceduto ai Bucks e la sua buona stagione gli vale un contratto pluriennale con gli Hawks. Per un anno e mezzo ad Atlanta è il centro titolare, e chiude entrambe le stagioni oltre la doppia cifra di media nei punti segnati; poi, con l’arrivo del ben più talentuoso Al Horford, il suo ruolo diventa quello di backup in grado di contribuire con intensità e gioco in area uscendo dalla panchina. Dopo otto anni ad Atlanta e una parentesi al Galatasaray durante il lockout del 2011, torna i Bucks, con la cui maglia fa registrare il record franchigia di 22 punti e 21 rimbalzi in una partita. Rimane in Wisconsin per due anni, per poi firmare per Dallas, di cui parte centro titolare ma perde notevolmente spazio verso la fine della stagione. Finora, in 13 stagioni in NBA, ha tenuto medie di 7,1 punti, 6 rimbalzi e 1,2 assist in 21,5 minuti. Nell’estate 2016 ha firmato per i Warriors.

43. Keith Bogans (SG/SF, 196 cm, Orlando Magic)
Probabilmente un gradino (o due) più in basso di Blake, Green e Pachulia come livello, ciò non toglie che Bogans sia riuscito a costruirsi un’insospettabilmente solida carriera tra i pro come role player, sfruttando in particolare la sua forza fisica e le sue spiccate doti difensive, oltre a un discreto tiro da fuori. Scelto dai Bucks ma subito mandato ai Magic, gioca una sorprendente prima stagione, chiusa a quasi 7 punti di media. Ceduto ai neonati Bobcats, disputa al secondo anno la sua miglior stagione, almeno dal punto di vista offensivo (quasi 10 punti a gara), ma ciò non impedisce che abbia inizio un continuo girovagare da una squadra all’altra: in 11 anni di carriera nella Lega cambia addirittura 8 maglie: dopo i Magic e i Bobcats, infatti, finisce ai Rockets, poi di nuovo ai Magic, quindi Bucks, Spurs, Bulls, Nets e Celtics, facendo registrare 6,3 punti, 2,7 rimbalzi e 1,3 assist a gara in 21,6 minuti: non male per uno specialista difensivo scelto a metà del secondo giro. Non trovando una squadra nella NBA nella stagione 2015/16, firma con i Westchester Knicks, nella NBDL, a quasi 36 anni di età.

45. Matt Bonner (PF/C, 208 cm, Toronto Raptors)
Lento e quasi goffo, Matt Bonner può essere uno dei migliori esempi di cosa vuol dire ritagliarsi un posto nella Lega sfruttando al massimo le proprie limitate doti, nel suo caso un ottimo, seppur sgraziato, tiro da fuori, una discreta attitudine a rimbalzo, una buona abilità nel passaggio dal post e, in generale, un’intelligenza cestistica sopra la media. Scelto dai Bulls ma subito girato ai Raptors, a Toronto non hanno spazio per lui e gli consigliano di andare un anno in Europa per migliorarsi. Finisce così a Messina, in Serie A, finendo la stagione sfiorando i 20 punti e i 10 rimbalzi di media nonostante già dopo pochi mesi la società, in serie difficoltà economiche (e fallita a fine campionato), avesse interrotto i pagamenti. Tornato negli USA, gioca due discrete stagioni a Toronto prima di venire ceduto agli Spurs, con cui gioca tuttora (conta due titoli vinti, nel 2007 e nel 2014) e di cui è diventato uno dei giocatori-simbolo nonostante, di fatto, abbia giocato una sola stagione da titolare (2008/09: 8,2 punti, 4,8 rimbalzi e il 44% da tre). In 12 stagioni da professionista ha finora segnato 5,8 punti a partita, più 3 rimbalzi e il 41,4% da tre in 16,9 minuti di media.

49. James Jones (SF, 203 cm, Indiana Pacers)
La carriera di James Jones, ennesimo grande tiratore scelto al secondo giro di questo draft, si può dividere sostanzialmente in due: nella prima parte si è costruito una reputazione come specialista da tre punti in grado anche di dare una mano a rimbalzo e, soprattutto, in difesa; nella seconda ha raccolto i frutti degli sforzi fatti nei primi anni, scegliendo una squadra forte come Miami (sua città natale) per provare a vincere, pur riducendo il suo minutaggio: diventato uno degli “scudieri” di LeBron James, che ha seguito poi anche a Cleveland, ha giocato sei Finali consecutive, uno degli unici nove giocatori a esserci riusciti, vincendone tre. Ha inoltre vinto la gara del tiro da tre all’All-Star Game del 2011. In 13 stagioni nella NBA fino a questo momento ha tenuto medie di 5,4 punti e 1,9 rimbalzi sfiorando il 40% da tre in 16,2 minuti.

Curiosità

Sono ben 13 i giocatori scelti al draft del 2003 ad aver vinto almeno un titolo NBA: LeBron James, Darko Miličić, Chris Bosh, Dwyane Wade, Dahntay Jones, Boris Diaw, Kendrick Perkins, Leandro Barbosa, Jason Kapono, Luke Walton, Matt Bonner, Mo Williams e James Jones.