Se due settimane fa parlavamo della sola Chicago in grado di tenere il ritmo di Cleveland, in questi quindici giorni qualcosa è nettamente cambiato, con i Pacers che hanno decisamente cambiato ritmo. Tengono botta i Pistons, mentre i Bucks sembrano sempre più in difficoltà.

Cleveland Cavaliers (13-5): Dopo le sconfitte contro Pistons e Bucks, le due squadre tra l’altro più deboli della Division, James e compagni sembrano aver ritrovato motivazioni e armonia, come testimoniano le 5 vittorie in 7 partite di difficoltà “media”: avversari tutti della Eastern Conference, di cui la maggior parte in lotta per i Playoffs. Paradossalmente, una delle due sconfitte è arrivata contro Washington, una delle squadre più in difficoltà a Est, mentre con i Nets è servito un canestro sulla sirena di James per assicurarsi la vittoria. In generale, comunque, sono arrivati segnali incoraggianti per coach Blatt: Mozgov e Mo Williams hanno dovuto saltare tre partite a testa per infortunio, ma i sostituti hanno tamponato l’emergenza come meglio non si poteva. Tristan Thompson, schierato come centro titolare, ha segnato poco più del solito (8,7 punti) ma si è fatto sentire soprattutto a rimbalzo (12,3), mentre Matt Dellavedova è andato tre volte in doppia cifra per punti e contro i Bucks ha smazzato 13 assist. In attesa del rientro di Shumpert e Irving – entrambi ne hanno ancora per un mese almeno –, sono però sempre LeBron James e Kevin Love i due aghi della bilancia: il primo, se ha leggermente diminuito la sua produzione offensiva (22,8 punti nelle ultime 7 gare), ha aumentato rimbalzi (9,6) e assist (7,0), mentre l’ala ex Minnesota, prima della brutta prestazione nella sconfitta con i Wizards, veniva da due settimane da sogno (23,6 punti, 11,6 rimbalzi, 54% al tiro e soprattutto 52% da tre). Insomma, i Cavs rimangono ai vertici della Eastern e, pur senza dominare, al momento non sembra che nel prossimo futuro la loro posizione possa cambiare.

Paul George potrebbe essere tra i candidati a MVP? (Foto: slamonline.com)

Paul George potrebbe essere tra i candidati a MVP? (Foto: slamonline.com)

Indiana Pacers (12-5): Dopo aver iniziato la stagione con tre sconfitte, i Pacers si erano ripresi, assestandosi a metà novembre su un record attorno al 50%; da quel momento, però, hanno spinto ulteriormente sull’acceleratore, tanto che al momento hanno una striscia aperta di sei vittorie consecutive (ma anche 9 vinte nelle ultime 10, e 12 vinte nelle ultime 14). Il tutto è valso il secondo record sia nella Division che nell’intera Eastern Conference. Anche in questo caso, paradossalmente, la vittoria più faticosa è stata contro una delle squadre peggiori della Lega, i Lakers, battuti di soli 4 punti, mentre con Sixers, Bucks, Wizards, Bulls e Clippers la vittoria è arrivata con una (più o meno) abbondante doppia cifra di scarto. Il merito è soprattutto di Paul George, ormai assestatosi stabilmente sui livelli pre-infortunio, se non oltre: in stagione sta segnando 27,4 punti a partita, conditi da 8,2 rimbalzi e 4,4 assist, ma nelle ultime sei partite è salito a 32,8 punti con percentuali irreali per uno che si prende una ventina di tiri a partita (50% dal campo, 52% da tre). Un altro fattore è la crescita di CJ Miles, il quale, al decimo anno nella Lega (insomma, non è esattamente un giovane promettente), sta disputando la miglior stagione in carriera (15 punti a partita), diventando praticamente immarcabile nelle prime quattro gare della striscia vincente, in cui ha segnato 22,2 punti con il 54,5% da tre (8/9 dall’arco contro i Wizards!). La forza dei Pacers sta però anche nel supporting cast: oltre a George Hill e Monta Ellis, a rotazione in ogni partita ci sono elementi di contorno che riescono a dare un contributo importante, come Chase Budinger (15 punti contro i Sixers, 13 contro i Bucks), Jordan Hill (20+11 contro i Bucks, 13+8 contro i Clippers), Glenn Robinson III (17 punti con 6/7 al tiro contro i Bucks), Lavoy Allen (12+10 contro i Bulls), Ian Mahinmi (15+9 contro i Bulls) e Rodney Stuckey (18 contro i Clippers); se anche solo un paio di questi giocatori dovesse trovare più continuità, i Pacers potrebbero trasformarsi in una seria contender.

Chicago Bulls (11-5): Non sono andati male i Bulls nelle ultime due settimane: 3 vittorie in 5 partite, con le due sconfitte che sono arrivate contro Warriors e Spurs (insomma, non proprio due squadre qualunque). È bastato però per scivolare al terzo posto nella Division, ma è abbastanza indicativo che esso coincida con il terzo posto in tutta la Eastern Conference. Per il resto, le questioni aperte sono più o meno sempre le stesse: gli infortuni (Hinrich, che già aveva saltato le prime partite della stagione, è nuovamente ai box), la poca costanza di certi elementi (Snell, Gibson e, soprattutto, Mirotic) e in particolare le difficoltà di Derrick Rose a tornare il “vero” Rose. La guardia dei Bulls non sta andando malissimo, ma è ben al di sotto delle sue migliori annate: per ora i suoi 13,3 punti (con un tremendo 34,3% al tiro, e il 18,8% da tre) e 6,1 assist bastano per rimanere ai piani alti della Eastern, ma poi? Per ora le sicurezze sono i soliti Jimmy Butler (20,2 punti, 5,1 rimbalzi, 3,4 assist e 1,9 recuperi a gara) e Pau Gasol (14,4 punti, 10,8 rimbalzi, 2 stoppate), ma i Bulls hanno assoluto bisogno che il loro leader torni ai fasti di un tempo.

Andre Drummond e Reggie Jackson, i due leader dei Pistons (Foto: sportspyder.com)

Andre Drummond e Reggie Jackson, i due leader dei Pistons (Foto: sportspyder.com)

Detroit Pistons (10-9): Calendario intenso per i Pistons negli ultimi quindici giorni, con otto partite giocate, equamente suddivise in vittorie e sconfitte. Le sconfitte, però, sono di quelle che pesano e fanno venire rimpianti: oltre che con i Thunder, Detroit ha perso con Wizards (ultimi nella Southeast), Bucks (ultimi nella Central) e Nets (ultimi tra le squadre “vere” dell’Atlantic). Andre Drummond continua a tenersi su livelli altissimi, soprattutto a rimbalzo (16,7 catturati a partita), anche se gli avversari stanno iniziando a prendere qualche contromisura nella propria metà campo difensiva: nelle ultime tre partite, il centro dei Pistons è stato mandato spesso e volentieri in lunetta, con risultati disastrosi (12/56, pari al 21%). Se questo non ha influito particolarmente sulla sua produzione offensiva (è rimasto sopra i 20 in tutte e tre queste partite), potrebbe diventare un serio problema strada facendo. In attesa del rientro di Jennings (previsto per inizio gennaio, se tutto va bene), continua a comportarsi discretamente Reggie Jackson, che però alterna prestazioni mostruose (come quelle da 34 e 31 punti con il 60% abbondante dal campo nelle ultime due partite) a gare in cui litiga non poco con il canestro (8 punti e 4/20 al tiro con i Nets, 7 punti e 3/11 con i Bucks); a questo proposito, ecco una statistica interessante: quando Jackson tira con più del 50% i Pistons sono 6-0, mentre quando tira con meno del 40% sono 2-6. Detroit comunque continua a dipendere soprattutto dallo starting five, dato che la panchina, anche a causa di rotazioni ridotte a nove giocatori, produce davvero poco: solo 22,1 punti a partita, pari a circa un quarto del totale dei punti segnati dalla squadra.

Milwaukee Bucks (7-12): Anche i Bucks hanno giocato otto partite nelle ultime due settimane, ma la differenza rispetto ai Pistons è che le vittorie sono state solo due (contro i Nuggets e gli stessi Pistons). Fin dall’inizio della stagione Milwaukee è stata piuttosto altalenante: partita con tre sconfitte, ne sono seguite quattro vittorie in fila, ma da quel momento il record è un pessimo 3-9, che vale il terz’ultimo posto a Est. Quello che è emerso dalle ultime gare è che, diversamente dall’inizio della stagione, le sconfitte sono arrivate tutte con uno scarto in doppia cifra (tranne il -5 contro gli Hornets), con dei particolarmente pesanti -25 con gli Spurs, -24 con i Magic, -37 con i Pacers e -29 con i Wizards, segno che il problema dipende più dagli stessi Bucks che dal pedigree degli avversari. I rientri dagli infortuni di OJ Mayo e Jabari Parker non hanno aggiunto qualità alla squadra: il primo continua nella sua involuzione (7,4 punti con il 36% al tiro nelle sue prime otto partite), mentre il secondo fatica a entrare in confidenza con il parquet, come testimoniano i 9,5 punti e 3,7 rimbalzi di media nelle sue 13 partite. Se a ciò si aggiunge un Michael Carter-Williams sempre meno incisivo (9,2 punti con il 41% al tiro più 3,2 palle perse a fronte di soli 4,9 assist) e un Giannis Antetokounmpo che, dopo un inizio di stagione stellare, sta già iniziando a dare qualche segno di cedimento (sempre in doppia cifra nelle prime 9 partite, solo 4 volte nelle successive 9), si capisce come la luce in fondo al tunnel sia ancora parecchio lontana per la squadra allenata da Jason Kidd.