Ancora dominante in ogni centimetro di campo Kawhi Leonard (foto: Boston.com)

Ancora dominante in ogni centimetro di campo Kawhi Leonard (foto: Boston.com)

Le due gare giocate all’American Airlines Arena hanno cambiato completamente una serie che invece dopo le prime due gare sembrava poter essere equilibrata come quella dello scorso anno. Dopo gara 3 San Antonio è riuscita a dare un’altra prova di forza davanti al pubblico avversario, partendo nuovamente fortissimo e dominando la gara dal primo all’ultimo minuto. Il titolo NBA 2014 sta prendendo sempre più la strada per il Texas, mentre a Miami ci si sta iniziando a porre qualche domanda sui Big Three e sul loro futuro.

UPS

Kawhi Leonard: è ancora una volta lui il protagonista della cavalcata Spurs sul campo degli Heat, esattamente come in gara 3. I primi due atti di questa finale avevano mostrato un Leonard in difficoltà sia difensivamente (si vedano i problemi di falli) che offensivamente (18 punti totali con 6/14 dal campo). La Florida invece ha risvegliato l’ala nativa di Riverside: in difesa non è riuscito a compiere lo straordinario lavoro su James visto nella gara precedente, ma in compenso è stato dominante a rimbalzo (14 di cui 5 offensivi), preciso al tiro (7/12 dal campo) e utile in tantissimi altri aspetti del gioco (3 assist, 3 palle rubate e 3 stoppate).

La partenza sprint di San Antonio: si poteva pensare che Spoelstra e gli Heat dopo gara 3 avessero imparato la lezione e approcciassero questa gara 4 in modo completamente diverso; ed invece, esattamente come la partita subito prima, anche la gara dell’altra sera è stata decisa già nel primo tempo, quando gli Spurs avevano già conquistato 19 punti di vantaggio, tirando con il 60.9% da due e il 46.2% da tre, ma soprattutto contenendo Miami ad appena 36 punti segnati con il 33.3% da due punti.

La circolazione di palla degli Spurs: le Finals di quest’anno stanno mettendo in mostra una squadra (quella di Popovich) capace di girare la palla in attacco in maniera talmente perfetta che chi vi scrive fatica a ricordarsi un paragone degno di nota. La capacità di trovare sempre la soluzione migliore in attacco è difficile da evidenziare in maniera statistica, ma pensiamo che il numero di assistenze regalate dai texani possa per lo meno provare a spiegare meglio tutto ciò. I 25 assist con cui gli Spurs hanno concluso gara 4 sono un numero alto, ma che si fatica a comprendere finché non li si mette in rapporto ai 40 canestri realizzati: ciò sta a significare che il 62.5% dei punti realizzati dal campo da San Antonio sono arrivati su un passaggio smarcante del compagno. Di fronte ad un meccanismo così perfetto anche una difesa efficace come quella degli Heat si trova in enorme difficoltà.

Dwyane Wade è sicuramente stato la più grossa delusione di gara 4 (foto: USA Today)

Dwyane Wade è sicuramente stato la più grossa delusione di gara 4 (foto: USA Today)

DOWNS

Dwyane Wade: in quella che probabilmente per la sua squadra era la gara più importante dell’anno il numero 3 degli Heat ha completamente steccato, tirando con percentuali ridicole sia dal campo (3/13), che dalla lunetta (4/8) e perdendo ancora una volta, come in gara 3, troppi palloni (3). Le speranze di ribaltare la serie per Miami ormai sono ridotte al lumicino, ma se Wade torna ad essere la guardia devastante degli anni passati forse queste Finals non sono completamente chiuse.

Mario Chalmers: probabilmente è il punto più basso di una carriera che finora gli aveva regalato diverse gioie personali oltre che di squadra difficilmente paragonabili. Oramai è evidente come in queste Finals non riesca ad entrarci. Il prodotto di Kansas sembra aver completamente smarrito quella sicurezza che l’ha fatto essere decisivo in più di un’occasione nella sua carriera. Se il titolo dovesse scappare quest’anno agli Heat lui sarebbe certamente uno dei primi a salire sul tavolo degli imputati.

La dipendenza da LeBron: nel 2011, ai tempi delle prime Finals dei Big Three, la squadra probabilmente non aveva ancora trovato un vero leader, con James più intento a passare la palla che a guardare il canestro e Wade che faticava a cedere il testimone al compagno. Probabilmente anche per questo gli Heat lasciarono quel titolo a Dallas. Con il passare degli anni però la corona di leader di questa squadra è passata in maniera decisa a LeBron James, e considerato il talento del numero 6 era obiettivamente inevitabile. Ad oggi però il gioco offensivo degli Heat sembra più che mai dipendente da James, il quale però non riesce a mettere in ritmo il resto di una squadra che, nonostante tutto la potenza di fuoco che risiede nei singoli giocatori, fatica a rimanere in partita se il suo leader non si mette in proprio.

NEXT

Ora San Antonio ha a disposizione ben tre match point, due dei quali da giocare davanti al proprio pubblico. Popovich però sa benissimo che quello da sfruttare sarà già il prossimo, per evitare che gli Heat ritornino a casa con una serie a quel punto tutt’altro che chiusa. Inoltre l’età avanzata di molti dei suoi giocatori dovrebbe convincere ancora di più l’allenatore dell’anno a provare a vincere il titolo domenica notte. Probabilmente punterà di nuovo su una partenza fulminea dei suoi, ben consapevole che un finale punto a punto sarebbe troppo rischioso.

Dall’altra parte Spoelstra dovrà assolutamente evitare un altro approccio soft dei suoi, convincendoli del fatto che gara 5 potrebbe essere benissimo l’ultima partita di questi Heat e che quindi sarebbe d’obbligo buttare il cuore oltre l’ostacolo. Nelle ultime due partite non è parso che i giocatori abbiano quella fame e quella voglia per sbucciarsi le ginocchia e su questo il coach campione in carica dovrà far leva. Inoltre trovare qualche protagonista da affiancare al sempre più solitario James potrebbe aiutare non poco una squadra che al momento tanto squadra non appare.