San Antonio Spurs @ Miami Heat 1-1

Mario Chalmers (Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images)

Mario Chalmers (Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images)

LA PARTITA. Era una gara da vincere a tutti i costi per Miami. E la vittoria è arrivata. Trasformandosi addirittura in una passeggiata nel finale, quando un’autentica tempesta si è abbattuta sugli Spurs, rimasti agganciati in un 1° tempo sempre equilibrato ma spazzati via al primo vero break. Il 14-3, firmato dalle triple di Allen e Miller – che ha ormai scalzato Battier dalle rotazioni – e dalle entrate di Chalmers e James, che, in chiusura di 3° quarto, è valso il primo vantaggio in doppia cifra dell’intera serie, è stato solo l’antipasto del pazzesco 19-2 dei primi 5’ dell’ultimo periodo. Miami è volata via con la qualità e la rapidità della sua circolazione di palla, beneficiando delle tante situazioni in più in cui ha utilizzato James da bloccante sui pick-and-roll, della precisione dall’arco dei suoi tiratori (6/8 per Miller e Allen nel complessivo 10/19 di squadra) e dell’efficacia di un Chalmers che ha ribaltato il duello con Parker rispetto a gara1. Il parziale complessivo di 33-5 ha esteso il divario fino ad un massimo di 27 lunghezze, tanto da indurre coach Popovich, già infuriato all’intervallo per l’insufficiente efficacia offensiva dei suoi, a svuotare la panchina e consegnare, tra gli altri, i primi 7’ in carriera nella Finale a Tracy McGrady. Il quintetto con James da numero 4 ha fatto tutta la differenza del mondo per gli Heat, anche se LBJ non è riuscito neanche stavolta a trovare il ritmo offensivo delle giornate migliori, sbagliando 10 dei primi 13 tiri: “E’ vero, ma gli altri sono stati bravi a salire di livello. Chalmers è stato bravo a piazzare alcune giocate, Allen e Miller a trovare spazi per il tiro, Wade e Bosh a farsi sentire soprattutto nel 1° tempo” ha riconosciuto coach Spoelstra, che deve ringraziare in particolare il lavoro di una difesa che ha imposto la propria volontà sin dalle prime battute, costringendo gli Spurs – a tratti fin troppo brutti per essere veri – ad eguagliare le 4 palle perse dell’intera gara1 dopo pochissimi minuti del quarto di apertura, finendo con 16 ed un modesto 41% su azione. “Merito di Miami. Hanno giocato meglio, hanno chiuso meglio i quarti. Noi non abbiamo giocato bene, abbiamo perso troppi palloni” ha ammesso Tim Duncan, che non ha quasi mai avuto ricezioni buone in post basso e insieme a Parker e Ginobili ha combinato per un 10/33 dal campo difficile da gestire per San Antonio che ha avuto sì ancora un buon Leonard in difesa e a rimbalzo, ma in attacco ha avuto eccellenti risposte solo da Danny Green. La guardia da North Carolina, che pochi ricordano essere stato anche compagno di James nell’ultimo anno a Cleveland, è stata micidiale dall’arco (5/5 da tre, record delle Finali per maggior numero di triple senza errori) ma non è ancora attrezzato per caricarsi sulle spalle un intero attacco a questi livelli.

Danny Green

Danny Green

LA SERIE. San Antonio torna da Miami avendo raggiunto l’obiettivo minimo di vincerne almeno una ma col rimpianto di non aver reso ai propri livelli in una gara2 che avrebbe potuto davvero indirizzare una serie finale, in cui è molto raro vedere la squadra di casa vincere tutte le 3 partite centrali. Gli Spurs dovranno continuare a tirare col 50% dal perimetro se non riescono ad andare oltre il 37.9% da dentro l’arco di gara2 e dovranno gestire meglio i possessi e contenere le palle perse, quadruplicate rispetto all’eccezionale partita di debutto. La difesa degli Heat sulle linee di passaggio ha creato molti problemi a Parker e Ginobili, due tra i più negativi, pure colpevoli per non aver saputo punire una partita tutto sommato normale dei “Big Three” della Florida. La differenza l’ha fatta il supporting cast, con un Chalmers tanto bistrattato a volte quanto efficace in altre a ribaltare il destino di una partita con cui James, nonostante gli assist, qualche buon canestro e una stoppata siderale su Splitter nel 4° periodo, non riesce, complice la difesa di Leonard, a trovare la perfetta sintonia.

HEAD TO HEAD. Kawhi Leonard è un giocatore di rara utilità, sta tirando male, ma sa leggere le situazioni ed è un fattore in difesa su James (17.5 di media col 42.4% al tiro) e a rimbalzo (24 in due gare). Dalla sua tenuta nelle prossime partite dipenderà buona parte del destino degli Spurs, chiamati ad un maggiore contributo delle seconde linee. San Antonio, sempre battuta nel duello delle panchine, non sembra avere al momento dal secondo quintetto una scintilla di energia in grado di pareggiare il contributo di Chris Andersen (8.0 punti, 3.5 rimbalzi e il 75% in poco più di 13’ di media) sull’altro fronte.