Josh Smith passerà il Natale a casa. Ma non ci resterà per molto. I Pistons hanno deciso di partire dal suo rilascio per iniziare davvero una ricostruzione mai decollata finora e lo hanno liberato per permettergli di scegliersi la nuova destinazione ma soprattutto per porre fine in maniera drastica ad un problema mal affrontato e mai del tutto risolto.

Doveva essere l’uomo della rinascita della franchigia dopo qualche anno buio, ma non era mai stato prima il volto di una squadra, né il go-to-guy sul campo e non c’è riuscito neanche stavolta. L’atteggiamento non è stato dei migliori ma le colpe non sono state solo sue, va detto. La scelta di Joe Dumars di prenderlo nel 2013 per farne un’ala piccola di un quintetto con Greg Monroe e Andre Drummond davvero male si sposava con le caratteristiche tecniche di un giocatore certamente duttile e in grado di incidere in vari modi sul campo, ma mai emerso in carriera come minaccia credibile dal perimetro (sempre sotto il 34% da tre nei 9 anni ad Atlanta, in maglia Pistons ha fatto ancora peggio) né come troppo lucido nella selezione delle conclusioni. Il ruolo di ala forte da anni era chiaramente cucito addosso ad un giocatore in grado di volare con continuità sopra al ferro, per schiacciare da una parte così come per stoppare dall’altra, ma che soprattutto mettendo palla per terra in uno contro uno poteva esaltare tutta la sua rapidità ed esplosività. Schierarlo da numero 3, al fianco di due “big men”, soprattutto in una fase storica in cui i centri dominanti sono una razza in via d’estinzione e praticamente nessuno gioca con due uomini d’area, è sembrata una scelta a dir poco inattesa, oltretutto aggravata da un contrattone di 4 anni e 54 milioni.

Stan Van Gundy ha ereditato la gestione di Dumars ma non è riuscito (o non ha saputo) risolvere in estate l’equivoco, ritrovandosi ancora per un anno sotto contratto anche uno scontento Monroe al fianco di un Drummond, unico realmente intoccabile nel roster. E nella sua doppia veste dirigenziale-tecnica si è trascinato avanti il problema per un quarto abbondante di stagione, tentando a sua volta di trovare un equilibrio per il quintettone. Niente da fare. E non sorprende troppo, dato che Van Gundy ha ottenuto il meglio ad Orlando con Howard a dominare in area e quattro tiratori ad allargare le difese e bombardare dall’arco. Cioè l’esatto opposto di questi Pistons, 24esimi nel tiro da tre e pure mediocri (16esimi) nella percentuale di rimbalzi catturati.

“Dobbiamo fare dei cambiamenti, cercheremo di sviluppare di più i nostri giovani” ha detto Van Gundy per spiegare il taglio di Smith, ma, a parte le dichiarazioni di facciata, è chiaro che il rapporto si è interrotto anche per un amore mai realmente nato con l’ambiente (e con l’allenatore stesso). Una situazione che potrebbe riguardare presto anche Brandon Jennings, altro costoso e discusso “affare” firmato da Dumars nel 2013. Smith (16.4 punti, 6.8 rimbalzi ma solo il 41.9% dal campo nella passata stagione, 13.1+7.2 col 39.1% in questa) era l’uomo più pagato dei Pistons – 13.5 milioni quest’anno -, una cifra inaccettabile per un roster capace con lui di vincere solo 5 delle prime 28 partite, un dato che ha già di fatto precluso ogni speranza di playoffs, persino nella mediocre Eastern Conference. Detroit gli pagherà per intero i 27 milioni rimasti dei prossimi due anni di contratto, ma sfrutterà la cosiddetta “stretch provision”, una clausola del contratto collettivo che, in situazioni di questo genere, permette di distribuire il salario di un giocatore rilasciato su un numero di anni pari al doppio più uno della durata originaria. Quindi, per avere quei 27 milioni, Smith – anziché due – impiegherà cinque anni: questo darà almeno un po’ di sollievo al salary cap dei Pistons.

Tra poche ore (esattamente dalle 23 italiane) diventerà ufficialmente free agent. Nessuno, a parte Philadelphia (ma non lo farà), ha lo spazio salariale – né l’interesse – a rilevare il contratto attuale. Ma, a cifre più basse, interessa a molti. In prima fila ci sono i Rockets dell’amico Dwight Howard, che hanno già iniziato a corteggiarlo e, offrendogli 2 milioni di contratto, gli hanno anche garantito un posto da titolare. I rivali più accreditati sono i Mavs, dove è appena approdato un altro grande amico di Smith, ovvero Rajon Rondo, per prendere il quale a Dallas hanno dovuto sfoltire il reparto lunghi. La coppia Rondo-Smith è stata nei sogni della dirigenza di Sacramento, che ora per l’ex giocatore degli Hawks è da considerare un interessante outsider – dove sarebbe un rischio al fianco di Cousins – al pari degli Heat. Altri nomi da tenere d’occhio sono Grizzlies e Clippers. Ma i favoriti – per le prospettive di titolo che possono offrire, con Harden in forma da MVP e con McHale che ha appena rinnovato – sono i Rockets. Il panorama per Smith può cambiare radicalmente in poche ore. Come dire che nella NBA, spesso bisogna solo saper trovare l’occasione giusta.