Quando il talento non basta. Quando alle indubbie qualità tecniche, sarebbe meglio poter abbinare una maturità caratteriale davvero da giocatore professionista. Capita spesso di parlare di situazioni di questo genere, di giocatori che non riescono a rendere secondo le proprie potenzialità e di giustificarle più o meno sempre così. Un caso emblematico di questa “categoria” è Michael Beasley, 25 anni, mancino ma molto vicino ad essere ambidestro, 2.08 per 107 chili (ufficiali, ma spesso sono stati un po’ di più…) che da seconda scelta assoluta nel draft 2008 con prospettive di livello medio-alto si è trasformato sostanzialmente in un journeyman alla continua caccia di contratti al minimo salariale.

Ma il fascino dei soldi è forte per ragazzi che spesso crescono in situazioni difficili e da un giorno all’altro si trovano catapultati sulle copertine dei media e, in generale, sotto le luci dei riflettori di tutto il mondo, cestistico ma non solo. Così, forse anche per questo motivo, di fronte all’ennesima situazione incerta nella NBA, ha preferito puntare su un campionato di valore inferiore ma una realtà in grado di offrirgli maggiori garanzie sul piano economico. Ha infatti firmato un annuale con gli Shanghai Sharks del campionato cinese (l’entità del contratto non è nota, ma dalle indiscrezioni pare proprio superiore al minimo salariale da 1.15 milioni che avrebbe potuto ottenere nella NBA), la squadra di proprietà di Yao Ming che, anche per questo, attira grandi attenzioni dai giocatori americani in cerca di rilancio o di un’ancora di salvezza per una carriera in difficoltà.

E’ quella che pare aver cercato Beasley, ancora giovane ma già con sei anni di NBA alle spalle, almeno per provare a dimostrare che qualche residua chance di poter giocare con i più forti è rimasta integra. Diventa difficile crederci, dopo che anche l’ultimo tentativo è stato accantonato. E lo dimostra anche il fatto che le chiamate per rilanciarlo siano sempre meno, come le squadre davvero convinte di poterne ancora fare un giocatore NBA a tutti gli effetti. Nella offseason, infatti, dopo i workout con Lakers e Spurs, che non si negano mai un tentativo di poter recuperare qualcuno contando sulla forza del loro sistema, si era unito ai Memphis Grizzlies con un contratto non garantito, che poteva essere tagliato prima dell’inizio della stagione. Una situazione non semplice già in partenza, con una formazione di buon livello e non una allo sbando che gli avrebbe garantito minuti. Accertate le difficoltà a fare la squadra, complice un ruolo mai del tutto definito e un roster comunque già abbastanza completo nelle due posizioni di ala, non si è neppure trovato nelle migliori condizioni di salute per seguire la squadra nelle prime due trasferte della preseason. E questo ha complicato le cose. Capita la situazione, ha desistito preferendo la soluzione più sicura.

Il tempo può essere ancora dalla sua parte, ma di certo le attese nei suoi confronti non sono più paragonabili a quelle con cui esordì nella NBA con la maglia di Miami nel 2008 al termine di una sola annata – dominante – a Kansas State. Dopo due anni di alti e bassi, iniziati con problemi disciplinari già in occasione del “Rookie Transition Program”, fu ceduto a Minnesota per favorire la formazione dei “Big Three” con cui gli Heat hanno centrato 4 Finali consecutive e vinto 2 titoli.

Nei Timberwolves ha vissuto la miglior stagione della carriera, un’annata da 19.2 punti di media partendo da ala piccola titolare, con un massimo di 42 punti contro Sacramento (documentati nel video) e la dimostrazione di una dotazione offensiva davvero ampia. Complici alcuni problemi fuori dal campo, soprattutto legati al possesso di marijuana e ad un arresto per eccesso di velocità, però è finito presto fuori dalle grazie della franchigia del Minnesota.

L’esperienza a Phoenix, partita con un triennale da 18 milioni, è durata solo un anno, peraltro discreto sul parquet, perché le prestazioni di fronte ad un altro arresto sono passate decisamente in secondo piano. Nella scorsa stagione, è tornato a Miami, a tratti ha ancora giocato bene mostrando di non aver dimenticato come si fa canestro, ma si è perso col passare delle partite e nei playoffs è finito totalmente fuori dalle rotazioni. Memphis poteva essere un altro tentativo, ma non ha funzionato neanche quello. Ed è tutto da dimostrare che la Cina possa essere la realtà giusta per un carattere “vivace” come il suo. In ogni caso, al termine del campionato, a marzo, sarà libero di rifirmare nella lega più prestigiosa del mondo. A Shanghai non sarà l’unico ex-NBA: troverà in squadra Delonte West, un altro talento frenato da limiti caratteriali. Non è casuale.