Da anni, gli Oklahoma City Thunder sono considerati una grande incompiuta, una squadra giovane ma con potenzialità importanti, a cui finisce però sempre per mancare qualcosa per fare centro, il classico centesimo per fare il dollaro. Anche quest’anno, i Thunder sono partiti con prospettive di alto livello, pronti a tentare un altro assalto, seppur con qualche incognita, al titolo.

A metà ottobre, la prima svolta. Frattura al piede destro per Kevin Durant: l’MVP dell’ultima stagione si è fermato dopo un allenamento. Operato qualche giorno più tardi, tornerà in campo a dicembre. Se senza una stella, i Thunder hanno già dimostrato di poter resistere (ma questo è il primo vero infortunio di Durant in carriera, quindi una prova nuova per tutti…), il vero problema però si è presentato il 30 ottobre, giorno della sfida sul campo dei Clippers, seconda di stagione dopo il -17 incassato a Portland 24 ore prima. Scontratosi a rimbalzo contro il gomito di Kendrick Perkins (come appare nel video), Russell Westbrook si è fratturato il secondo metacarpo della mano destra. Operato a sua volta, tornerà lui pure a dicembre.

Westbrook ha già saltato 36 partite l’anno passato e il 2° posto di OKC, per questo, è stato un risultato ancora più impressionante. Ma neanche i Thunder possono fare miracoli e, senza entrambi i loro leader, i problemi sono emersi in tutta la loro gravità. Anche perché, dato che la fortuna è cieca ma la sfortuna ci vede benissimo, gli infortuni non hanno risparmiato neppure Morrow, il rookie McGary e persino Reggie Jackson, ovvero l’uomo, in assenza dei due big, su cui sarebbero cadute le maggiori dosi di responsabilità in attacco.

Nove uomini disponibili nelle prime due uscite, sono rimasti in otto dunque all’esordio casalingo contro Denver, che è coinciso con la prima vittoria perché il ruolo che poteva essere degli assenti lo ha ricoperto Perry Jones, la nota più lieta del complesso inizio di stagione: 32 punti con i Clippers e 20 contro i Nuggets i suoi lampi, prima di cadere però, anche lui, vittima di un infortunio al ginocchio. I problemi non hanno risparmiato neppure Lamb e Roberson. E dunque, una squadra apparsa comunque sempre quadrata e mai allo sfascio ha inevitabilmente pagato dazio ad una qualità ridotta all’osso. Cinque sconfitte nelle prime sei hanno rappresentato una partenza preoccupante per una squadra destinata a restare ancora un mese senza le due superstar. Un dazio che rischia di essere pesantissimo in una conference tremendamente competitiva come l’ovest. Per fortuna di coach Brooks, però, il rientro di Jackson e della sua capacità di creare dal palleggio ha dato risposte quantomeno incoraggianti.

28 punti e 8 assist nella vittoria sui Celtics (grazie anche ai 19 nel solo 4° periodo di Morrow), arrivata solo un giorno dopo la sconfitta di Milwaukee, in cui sono stati vani i suoi 29 con 4 assist. E ne aveva segnati 22 con 4/7 da tre nel k.o. in volata contro la competitiva Memphis, per dimostrare che comunque i Thunder lottano. Certo, perdere contro Detroit non è lusinghiero, ma la buona rimonta vanificata solo nell’overtime, insieme alla vittoria sulla positiva Sacramento conferma che la base di squadra è solida. Ma per superare questa fase (3-7 dopo le prime 10) dovrà chiedere gli straordinari a Ibaka, Lamb – che ha già mostrato buone cose –, Adams e soprattutto il già citato Jackson, l’uomo con più talento che, a detta di molti, può diventare una superstar.

Il nativo di Pordenone (in 7 partite, 22.4 punti e 8.1 assist) è un personaggio particolare che ha sempre mostrato particolare adattabilità al contesto: da figlio di un ufficiale dell’aeronautica militare americana, si è dovuto trasferire dall’Italia all’Inghilterra per poi tornare negli Stati Uniti dove ha cambiato diversi stati nella sola adolescenza che ha avuto il basket sempre come filo conduttore. Sul profilo Twitter si definisce “solo un ragazzo che sta inseguendo un sogno”, non ha un’auto di proprietà, compra i vestiti da Macy’s e H&M giusto “per essere presentabile sul bus quando vado alle partite e non prendere multe per il dress code”. Ha rinunciato in estate ad un’estensione del contratto da rookie perché vuole essere riconosciuto come un titolare, quello che – ora più che mai – ha l’occasione di dimostrare di essere. I dirigenti delle franchigie lo osservano e lui lo sa, da qualcuno viene definito “un Eric Bledsoe più grosso e probabilmente più forte”, per cui il target economico si aggira intorno ai 13-14 milioni all’anno. Cifre fuori portata per i Thunder che probabilmente lo perderanno però, nell’immediato, sono consapevoli di non poter avere un pur migliorato Ibaka come top scorer di un roster che – senza stelle – difficilmente varrebbe i primi 8 posti ad ovest, ma devono chiedere a Reggie i punti per vincere la Northwest Division, la via più corta per andare a prendere una testa di serie di prestigio ai prossimi playoffs.