Steve Nash, un addio amaro (Getty Images)

Steve Nash, un addio amaro (Getty Images)

NASH OUT – La stagione 2014-2015 di Steve Nash è finita ancora prima di cominciare ed è molto probabile che il playmaker canadese non calcherà più i parquet della NBA, almeno in veste di giocatore. Gli assillanti problemi alla schiena non gli hanno dato tregua neanche stavolta e non gli consentiranno di disputare la stagione ormai alle porte con la maglia dei Los Angeles Lakers. Questo è quanto ha comunicato giovedì scorso la società, di comune accordo con il giocatore. Eppure le premesse per disputare un’ultima stagione da protagonista (se non a livello di squadra, almeno sul piano individuale) sembravano esserci. Una stagione in cui il prodotto di Santa Clara avrebbe potuto mettersi alle spalle le ultime due annate tormentate dagli infortuni (65 partite disputate in totale, 15 nell’ultimo anno) e in cui avrebbe potuto esibire per l’ultima volta le sue eccelse doti di direttore d’orchestra. Non sono serviti i mesi di riabilitazione e la ferma volontà di poter nuovamente dire la sua in cabina di regia. “La mia priorità era poter giocare questa stagione ed è una delusione non poterlo fare” – ha dichiarato Nash – “lavoro duramente per poter stare bene fisicamente ma gli infortuni recenti non mi consentono di esprimermi al meglio, continuerò a sostenere la squadra e a concentrarmi sulla mia salute”. Nash resta quindi ufficialmente parte integrante del roster dei Lakers: la società non ha, infatti, mai parlato di ritiro, anche se le parole del GM Mitch Kupchak – “penso sia consapevole di non trovarsi nella condizione di poter continuare a giocare (…) la vita va avanti, anche senza il basket” – sono abbastanza eloquenti. Nash era sbarcato a Los Angeles due anni fa, in cambio di quattro scelte, firmando un triennale da 28 milioni (9,7 dei quali previsti nell’imminente stagione) nel tentativo, poi rivelatosi clamorosamente fallimentare, di allestire una squadra da titolo, comprendente, oltre al canadese, i vari Kobe, Gasol e Howard. Il titolo non è arrivato. Sarebbe stata la ciliegina sulla torta di una carriera leggendaria, che non verrà certamente macchiata da questa sfortunatissima parentesi californiana. Nulla, infatti, potrà togliere a Nash i due titoli di MVP di Lega del 2005 e 2006, le otto chiamate all’All-Star Game, i 10.335 assist (terzo di sempre), nonché il 90,4% dalla linea della carità (il migliore di sempre assieme a Mark Price), le innate doti di playmaking e l’indiscutibile capacità realizzativa. Kobe ha detto che Steve potrà andare a dormire tranquillo, certo di aver dato tutto. L’ha sconfitto il fisico, non l’età. Sottoscriviamo.

LA DRAFT LOTTERY RESTA COM’È (PER ORA) – I proprietari delle franchigie NBA si sono incontrati mercoledì scorso nella Grande Mela per discutere e deliberare su diversi temi di attualità, tra cui spiccava la riforma della Draft Lottery, ovvero il sistema attraverso il quale viene definito l’ordine di chiamata al Draft di ogni anno. Molti avevano storto il naso di fronte al tanking spudorato di alcune squadre (vedi Philadelphia) votate volontariamente alla sconfitta per avere poi più possibilità di ottenere scelte alte al Draft successivo, cosa che, a sentire i detrattori, avrebbe inficiato la regolarità e la credibilità degli incontri e, su scala maggiore, dell’intera Lega. L’intenzione era quindi introdurre un sistema che potesse ridurre i benefici di un record deliberatamente negativo e non rendere automatico il conseguente vantaggio nella graduatoria del Draft. Non se n’è fatto niente. Erano necessari 23 voti per l’approvazione. Se ne sono contati solo 17. Tutto rimandato. Il Commissioner Adam Silver ha commentato così il voto “Credo che i proprietari fossero preoccupati delle potenziali conseguenze indesiderate (allargamento del divario tra mercati più lucrativi e squadre più piccole ndr). Penso sia necessario trovare un equilibrio tra la creazione di incentivi che portino le squadre a voler sempre vincere e, dall’altro lato, la possibilità di ricostruire attraverso le scelte del Draft”. Silver ha poi aggiunto di non essere contrario all’attuale sistema ma di ritenersi preoccupato di come questo viene a volte percepito dall’esterno e di come le squadre si trovino quasi costrette a perseguire la sconfitta, messe sotto pressione anche dagli stessi tifosi, per poi sperare in un futuro migliore. Il Board of Governors ha poi affrontato gli altri punti all’ordine del giorno, come la creazione di un programma educativo e di sensibilizzazione riguardante la violenza domestica, i nuovi contratti televisivi, del valore complessivo di 26 miliardi di dollari, e la possibilità di spalmare tale importo negli anni a venire, per non aumentare il salary cap in maniera drastica sin da subito, la questione relativa alla proprietà degli Atlanta Hawks e l’elezione di Glen Taylor dei Minnesota Timberwolves a capo dell’assemblea, nonché, piccola chicca, l’istituzione di una borsa di studio del valore di 30.000 dollari intitolata a David Stern e destinata agli studenti di sports management.

LeBron James e il suo tipico rituale pre-partita (Getty Images)

LeBron James e il suo tipico rituale pre-partita (Getty Images)

FEBBRE LEBRON – Dopo il romantico ritorno a casa consumato questa estate, che non poteva non fare impazzire gli americani, King James, volente o nolente, continua a far parlare di sé nelle cronache sportive d’oltreoceano. Dopo aver interpellato i fan circa il numero di maglia da indossare nella sua nuova avventura in maglia Cavaliers (indosserà il 23 ndr) ecco che il Prescelto torna a richiedere il parere dei suoi ammiratori per decidere se riprendere il suo celebre rituale pre-partita del lancio del gesso. Ascolterà quindi la vox populi attraverso i social network e agirà di conseguenza. “Decideranno i fan” – ha affermato James  – “se vorranno, lo farò”. Ma c’è di più: il 30 ottobre, prima dell’esordio stagionale dei Cavaliers alla Quicken Loans Arena, verrà svelata la nuova maxi pubblicità della Nike concepita per celebrare il ritorno a casa del figliol prodigo. Il nuovo cartellone coprirà ben dieci piani della sede di Sherwin-Williams Co., fronte all’arena, lo stesso palazzo che fino a qualche anno fa ospitava il famosissimo “We are all witnesses”, divenuto una vera e propria attrazione per chi veniva da fuori città.

IN BREVE – Che Victor Oladipo non avrebbe disputato il match d’apertura contro i Pelicans per un problema al collaterale, che gli ha impedito di prendere parte alle gare di preseason, era già noto, ma, notizia recente, la guardia dei Magic non vedrà il campo almeno per un altro mese, a causa di una frattura al viso rimediata in allenamento giovedì scorso che l’ha costretto a sottoporsi ad un’operazione, effettuata nella giornata di ieri. Infortunio anche in casa Thunder, che dovranno fare a meno di Anthony Morrow per un periodo che va dalle 4 alle 6 settimane. L’ex New Orleans ha infatti subito una distorsione al collaterale del ginocchio sinistro e verrà valutato nuovamente la prossima settimana. I Brooklyn Nets spediscono a Philadelphia Marquis Teague assieme a una seconda scelta del 2019 in cambio di Casper Ware (subito tagliato). I Cleveland Cavaliers hanno esercitato la team option per il quarto anno di contratto di Dion Waiters (stagione 2015-2016), pari a 5,1 milioni, mentre i New Orleans Pelicans l’hanno esercitata, per la medesima stagione, sul quarto anno di contratto di Anthony Davis (7 milioni circa), prima scelta assoluta al Draft del 2012, e hanno deciso di non valersi di tale opzione per quanto riguarda il quarto anno di Austin Rivers (circa 3 milioni). Gli Utah Jazz, invece, hanno deciso di confermare Trey Burke e Rudy Gobert (sempre fino al termine delle stagione 2015-2016).


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