Adam Silver propone nuove misure contro la violenza domestica

Adam Silver ha proposto l’introduzione di nuove misure contro la violenza domestica (Getty Images)

VIOLENZA DOMESTICA – Dopo la pioggia di critiche abbattutasi sul commissioner della NFL Roger Goodell circa la gestione del caso Ray Rice, il running back dei Baltimore Ravens accusato di aver picchiato la sua attuale moglie, Adam Silver ha deciso di correre ai ripari, per assicurarsi che un polverone simile non si sollevi in futuro all’interno della sua Lega. L’erede di Stern ha infatti dichiarato come l’NBA stia rivedendo la propria politica nei confronti della violenza domestica, adottando un approccio nuovo che possa portare a definire provvedimenti più aspri, alla luce di quanto successo nel mondo del football. “Vogliamo imparare dalle altre leghe – ha affermato Silver – stiamo monitorando quando accade nella NFL, stiamo lavorando con i rappresentanti dei giocatori con cui parliamo da settimane per affrontare il problema da un nuovo punto di vista”. Se Goodell, in seguito alle feroci critiche, si è visto costretto a modificare la politica della propria lega nei confronti della violenza domestica (6 gare di squalifica e radiazione a vita in caso di recidività), gli altri tre grandi attori dello sport professionistico americano, NBA, MLB e NHL, non prevedono punizioni specifiche per questo tipo di reato all’interno dei propri CBA, come osservato da Nina Mandell di USA Today. Per quanto riguarda l’NBA, tutti i reati (felonies) vengono trattati alla stessa maniera e prevedono una squalifica di 10 gare. “La Lega dispone già di una serie di strumenti e sanzioni, ma intendiamo rivederli, adottando un approccio nuovo” – ha sottolineato Silver – “tuttavia credo che il problema principale sia rappresentato dall’educazione e dall’informazione. Non si tratta solo dei giocatori, dobbiamo cercare di raggiungere le loro famiglie, le loro partner, fare in modo che queste sappiano di avere a disposizione una serie di strumenti e di persone a cui rivolgersi in caso di bisogno. Ci stiamo inoltre consultando con alcuni esperti, perché è un problema che appartiene alla società intera, non solo al mondo dello sport”. Il commissioner NBA intende quindi disciplinare fermamente la piaga della violenza domestica, per evitare di finire in futuro nell’occhio del ciclone, come capitato a Goodell negli ultimi tempi, e rafforzare al tempo stesso la propria posizione, raccogliendo ulteriori consensi da parte degli addetti ai lavori, sulla scia dell’apprezzamento unanime ricevuto per la gestione del caso Sterling. Se è vero che in questi giorni sono i vari Ray Rice, Adrian Peterson e Greg Hardy a monopolizzare la cronaca sportiva “nera” americana, anche l’NBA ha ed ha avuto le proprie “grane” da gestire. Il più recente: lo scorso agosto Greg Oden, ex Portland e Miami, è stato accusato di percosse nei confronti dell’ex fidanzata. Ne parlerà con il giudice il prossimo novembre. Magari le nuove misure invocate da Silver saranno già in vigore.

GRIFFIN E I LAKERS – Sembra essere cambiato il vento nella città degli angeli: da una parte i Lakers, che si apprestano a disputare un’altra stagione di basso (ed è un eufemismo) profilo, con il contratto di Kobe a soffocare il ritorno ai fasti della compagine gialloviola, dall’altra i Clippers che, da squadra zimbello, si sono affermati negli ultimi anni come una delle potenze della Western Conference. Hanno forse le sorti alterne delle due squadre contribuito a stravolgere le gerarchie nella megalopoli californiana? Non secondo Blake Griffin, intervistato da GQ Magazine: “No, perché per molte persone conta la storia – ha affermato l’ala dei Clippers – e nulla di quello che faremo potrà offuscare la loro storia. Sono una franchigia di successo, nessuno lo può mettere in dubbio. Penso che oggi la nostra squadra sia certamente migliore, questo sì”. Se è vero che i Clippers non hanno mai strabiliato nella postseason da quando CP3, Blake Griffin e DeAndre Jordan hanno unito le forze per risollevare quella che pochi anni fa sembrava una realtà senza speranza, l’”altra” squadra di Los Angeles si è guadagnata i galloni di contender. I titolati cugini si trovano ad affrontare un periodo buio, reduci dalla peggior stagione della loro storia, con poche certezze per il futuro. C’è un Kobe presumibilmente guarito, certo, ma al franchise player dei Lakers non è stato affiancato nessun nome di peso (qualcuno, decidano loro chi, deve fare mea culpa) e la società ha dovuto ripiegare su giocatori come Boozer e Lin. Non resta che affidarsi alla grinta di Byron Scott e alla voglia di stupire di Randle e Clarkson. Per il momento, però, si scrive Los Angeles, ma si legge Lob City.

Rajon Rondo, playmaker dei Boston Celtics  (Brian Babineau/Getty Images)

Rajon Rondo, playmaker dei Boston Celtics (Brian Babineau/Getty Images)

RONDO INGESTIBILE? – Che il playmaker dei Celtics non avesse un carattere facile era risaputo, ma a confermarlo ci ha pensato Wyc Grousbeck, co-proprietario della franchigia, durante la trasmissione televisiva Sports Final Overtime. “Rondo è super testardo, non so quanto sia effettivamente gestibile. Chiedete a Doc (Rivers ndr).” Un autogol? Forse. O forse no. Grousbeck ha subito precisato che le dichiarazioni non intendevano certamente mettere in cattiva luce l’ex Kentucky che, a detta dello stesso Grousbeck, deve assolutamente restare a Boston. Non è mistero che in passato il rapporto tra Rondo e Rivers sia stato turbolento, così come lo è stato quello tra il play e il suo ex coach ai tempi del college, Tubby Smith che, come riporta Jeff Goodman di ESPN, “non riusciva a sopportarlo”. Le bizze di Rondo sarebbero state, secondo Chris Mannix di Sports Illustrated, il motivo per cui Ray Allen decise di fare le valigie e partire per lidi più caldi. Magari queste dichiarazioni non scalfiranno la corazza dell’impenetrabile Rondo ma, è bene ricordarlo, il #9 si appresta ad entrare nel suo ultimo anno di contratto e la situazione dei verdi del Massachussetts, che anche quest’anno avranno ben poco da dire, potrebbero spingere l’abitudinario Rondo quantomeno a guardarsi attorno.

INVASORI E FIRME – Vi ricordate James Blair? Forse il nome non vi dice niente, ma magari ne ricorderete le gesta. Blair, acceso tifoso dei Cavs, era riuscito in occasione di un incontro tra Cleveland e Miami del 2013 a fare irruzione sul parquet e correre verso LeBron indossando una maglietta con su scritto We miss you e 2014 come back. Dopo aver dato il cinque al suo beniamino, Blair era stato trascinato fuori dalla security e successivamente bandito dalle gare dei Cavaliers. A distanza di un anno, non solo il desiderio di Blair è stato esaudito, ma la franchigia dell’Ohio ha deciso che questi potrà tornare ad ammirare il suo eroe nel corso della prossima stagione (questa volta seduto al proprio posto).

Ramon Sessions firma con i Sacramento Kings un biennale da 4.2 milioni, arricchendo un interessante backcourt formato da Darren Collison, Ben McLemore, Ray McCallum e dal rookie Nik Stauskas. Nell’ultima stagione, divisa tra Charlotte e Milwaukee, Sessions ha totalizzato in media 12.3 punti, 2.4 rimbalzi e 4.1 assist. Michael Beasley, seconda scelta assoluta al Draft del 2008, è stato accostato più volte a Lakers e Spurs, ma svolgerà il training camp con i Memphis Grizzlies, con un contratto  non garantito. Gli Atlanta Hawks rifirmano Elton Brand (5.7 punti e 4.9 rimbalzi nell’ultima stagione) e accolgono ufficialmente Kent Bazemore, ex Lakers e Warriors. I Chicago Bulls ampliano il proprio pacchetto di lunghi rifirmando Nazr Mohammed; non sono stati rivelati i termini dell’accordo, ma si presume che il centro abbia accettato il minimo salariale per i veterani.  È stata messa nero su bianco la traversata transoceanica di Kostas Papanikolau. Il greco, scelta numero 48 al Draft del 2012, lascia il Barcellona e approda agli Houston Rockets. Non sono ancora state diffuse le cifre ufficiali, ma si parla di un biennale con 4.8 milioni garantiti e 4.6 per il secondo anno. I Dallas Mavericks rimpinguano il roster per il training camp con Doron Lamb (ultima stagione ad Orlando) e Charlie Villanueva (non garantito) mentre Washington, alla ricerca di una guardia, porterà al proprio camp Rasual Butler, a cui si aggiunge l’ala Damion James, una carriera passata a fare la spola tra NBA e D-League. Wayne Ellington firma un contratto parzialmente garantito con i Los Angeles Lakers, con buone probabilità di entrare a far parte del roster; i termini del contratto non sono stati resi noti. I Cavaliers porteranno al training camp AJ Price, reduce dall’esperienza in Minnesota e campione NCAA con Kentucky nel 2012, che potrebbe così diventare il terzo play della squadra; la situazione contrattuale dei Cavs, tuttavia, non è delle migliori (già 17 giocatori nel roster, la maggior parte con contratti garantiti), aspettando che Ray Allen si schiarisca le idee…

 


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