La regular season NBA chiuderà definitivamente i battenti per la stagione 2015-2016 il prossimo 13 Aprile. Nessuna squadra ha più di 3 partite ancora da disputare, ed i giochi sono quasi fatti ad eccezione di qualche seed per i playoff ancora vacante e l’attenzione di tutti rivolta al record di vittorie dei Warriors che attenta alle 72 dei Bulls della stagione 95-96.

In questo ambito per la rubrica NBA Numbers siamo andati a decretare, attraverso i numeri e le statistiche, i vincitori dei premi individuali che l’NBA assegna ogni anno e che restano indelebili sul libro dei record della storia di questo gioco.

MVP

Photo: Slam Online

Secondo le statistiche avanzate, ma soprattutto il buon senso, Steph Curry dovrebbe bissare abbastanza agevolmente il titolo conquistato lo scorso anno.

E’ il miglior marcatore NBA a quota 29.93 di media, e solo nelle ultime 2 partite la sua media punti è scesa sotto i 30. E’ inoltre oggettivamente il miglior giocatore della squadra con il miglior record della lega (e forse di sempre… vediamo cosa succede nelle prossime 3 partite) e, dietro di poco dal suo compagno di squadra Draymond Green ma davanti al suo compagno di Splash Klay Thompson, vanta il 2° miglior NetRtg della NBA con 18.3.

Non bastasse questo è nell’esclusivo club di 8 giocatori in grado di finire una stagione da 50-40-90 con una media punti superiore ai 15. Ed in quel ristretto club elitario nessuno ha mai avuto una TS% migliore del suo 66.9%, 1° in NBA in tale graduatoria, solo Kyle Korver lo scorso anno e nella storia ha avuto una TS% migliore della sua con almeno 500 tiri dal campo presi da quando è stato introdotto il tiro da tre punti. Tra questi 8 solamente Steve Nash nella stagione ’07/08 ha avuto una percentuale da 3 punti migliore del suo 45,6%, anche se effettuando circa la metà delle sue conclusioni da oltre l’arco (381 contro le 844 di Curry).

La Shot Chart di Steph Curry. Quel 62% nella restricted area è inumano. Via NBA.com

La Shot Chart di Steph Curry. Quel 62% nella restricted area è inumano. Via NBA.com

Il tutto senza contare gli innumerevoli record di triple che deteneva e che ha ritoccato verso l’alto. Ne volete ancora? Nella storia del gioco sono stati 4 gli esterni sotto i 194 cm a chiudere una stagione tirando sopra al 55% da 2 punti: Gary Payton, Byron Scott, Otig Birdsong e Steph Curry che mette in fila tutti dall’alto del suo 56% e dei suoi 192 cm scarsi.

Qui si è fatta la storia del gioco.

ROOKIE OF THE YEAR

Photo by Jesse Johnson-USA TODAY Sports

Anche qui scelta abbastanza unanime in Karl-Anthony Towns che con i suoi 32 minuti, 18.2 punti e 10,5 rimbalzi di media mette in fila tutti i rookie NBA. Nella storia della NBA solamente 12 giocatori hanno avuto una doppia-doppia di media da 18+10 con almeno il 50% da 2 punti nella stagione da rookie: l’ultimo a riuscirci è stato Blake Griffin nel 2011, il penultimo è stato Tim Duncan, 20 anni fa. Altri rookie a riuscirci, che questo gioco lo hanno ridefinito e ne hanno fatto la storia, sono stati Shaquille O’Neal, Hakeem Olajuwon, David Robinson, Alonzo Mourning e Kareem Abdul-Jabbar.

I risultati di squadra dei Wolves, il quintultimo record NBA, gli hanno permesso fin da subito ampi minutaggi e molte responsabilità, ma un impatto del genere, statistico e non, non se lo sarebbe mai immaginato nessuno. E pensate a cosa possono diventare questi Wolves con un allenatore degno di definirsi tale.

DEFENSIVE PLAYER OF THE YEAR

Photo by Kyle Terada/USA TODAY Sports

La discussione attorno alla nomina del difensore dell’anno è sempre degna di un dibattito ed i criteri di assegnazione non sono mai definiti con certezza. Storicamente si preferisce assegnare il premio a un “rim protector” e qui le statistiche hanno un peso rilevante, sopratutto quelle tradizionali (rimbalzi difensivi, stoppate e palle recuperate) che però possono essere spesso fuorvianti.

Ricorrendo alle statistiche avanzate è possibile fare un minimo di giustizia: I DefRtg e le shot chart difensive non mentono e ci danno un quadro più chiaro della situazione. Seguendo il filo logico dell’assegnazione del premio di MVP, il difensore dell’anno lo dobbiamo cercare tra quei giocatori che hanno un peso specifico rilevante tra i team di elite nella propria metà campo. Ecco perchè secondo noi non si scappa da Kawhi Leonard e Draymond Green. Lo scorso anno a vincerlo fu Leonard (a 11 anni di distanza dall’ultimo esterno nominato DPOY, ovvero Metta World Peace) con Green che si sentì defraudato del premio.

Leonard e Green hanno un impatto clamoroso sulle difese delle rispettive squadre: secondo i numeri di SportVU, Green difende in media su 16.4 tiri degli avversari che contro di lui tirano il 39.6%, ben 6 punti percentuali al di sotto della media concessa dagli Warriors come squadra, mentre contro Leonard si tira il 39.7% su 9.3 tentativi a sera, per ben 5.1 punti percentuali al di sotto della media concessa dagli Spurs.

Le shot charts difensive di Leonard e Green. Credits by NBA Savant

Le shot charts difensive di Leonard e Green. Credits by NBA Savant

In generale, negli schemi difensivi dei Warriors il ruolo di Draymond Green è basilare, contro di lui gli avversari in ogni zona del campo sporcano le proprie percentuali benchè non sia propriamente un rim protector (1.4 stoppate a gara) ma sappia muovere i piedi per poter stare con i piccoli ed abbia lo “chassis” fisico per poter battagliare contro i lunghi. E’ un difensore totale, in grado di limitare il proprio avversario diretto e guidare la difesa di squadra con aiuti, chiusure, closeout in rotazione e tutto quello che è necessario per fare uno stop difensivo. Con lui in campo la difesa Warriors subisce 97.4 punti per 100 possessi di DetRtg, quando lui è a sedere ne subisce 110 (la peggior difesa NBA che sono i Lakers ne subisce 109.3), per un clamoroso differenziale di -12.6 punti per 100 possessi.

Stesso discorso per Kawhi Leonard con l’aggravante che lui oltre ad essere il miglior difensore della squadra, è anche il top scorer e il fulcro del sistema offensivo. Gli Spurs per DefRtg sono di gran lunga la miglior difesa NBA con il 96.5, ma sono anche una delle squadre che tiene il pace più basso della lega, ovvero concede meno possessi agli avversari e lavora molto a metà campo, sporcando le percentuali di squadra con il “sistema”. Anche contro Leonard le percentuali avversarie calano rispetto alle percentuali già basse che vengono concesse dalla difesa Spurs, ma in misura minore rispetto a Green. E pure il differenziale del DefRtg di Leonard tra quando in campo ed è fuori varia di poco, -5.3, mantenendo comunque gli Spurs a livello delle prime 3 della classe. Di Leonard comunque impressiona la capacità di francobollarsi alla stella avversaria e tenerla pesantemente sotto media, che sia Kevin Durant, Lebron James o Steph Curry.

In base ai numeri riportati ed all’evidente differenza dovuta dall’impatto del giocatore sulla difesa on/off the court, ci sentiamo di assegnare il premio a Draymond Green.

SESTO UOMO DELL’ANNO

Photo by Kelley L Cox-USA TODAY Sports

In un mondo perfetto questo premio dovrebbe essere intitolato a Manu Ginobili, che come nessun altro incarna l’essenza del sesto uomo, ovvero il giocatore che esce dalla panchina e cambia il volto delle partite. Anche oggi a 39 anni, l’argentino è la chiave della second unit degli Spurs e condivide con Leonard il miglior NetRtg di squadra con 15 punti per 100 possessi. Con lui in campo, spesso assieme a Patty Mills che gli lascia compiti di regia, gli Spurs corrono con il pace più alto di squadra di 98.35. Non vincerà il premio esclusivamente perchè tra tutti i giocatori che escono dalla panchina candidati all’awards, è quello che gioca e segna meno, 19.6 minuti a gara e sotto la doppia cifra di media.

Il giocatore con l’impatto più simile a Ginobili è Matthew Dellavedova che partendo dalla panchina in 60 delle 73 partite disputate, detiene il secondo NetRtg di squadra dietro a sua altezza LeBron James, provvedendo, quando in campo, a fornire un contributo su ambo i lati del rettangolo di gioco che spesso accende la miccia dei Cavaliers, benchè a livello statistico tradizionale sporchi poco il foglio.

Se non fosse che Miami ha capito dopo la pausa dell’All Star Game (in seguito alle vicissitudini di Bosh) come rendere efficace Hassan Whiteside facendolo uscire dalla panchina, probabilmente lo avrebbe vinto lui il premio. Whiteside in 30 gare in uscita da sesto uomo ha prodotto 16.5 punti di media con il 60% dal campo, 12.8 rimbalzi e 3.5 stoppate. Ma appunto in 30 partite sulle 70 giocate in stagione che lo escludono dalla corsa al premio.

E quindi chi lo vince il premio? Probabilmente uno tra Dennis Schroder e Enes Kanter, tralasciando i Ryan Anderson e Will Barton del caso che hanno avuto cifre molto interessanti ma sono stati “vittime” del livello competitivo e dei risultati delle rispettive squadre.

Il centro turco dei Thunder nelle 78 partite su 79 in cui è uscito della panchina ha prodotto 12.5 punti di media conditi da 7.9 rimbalzi e il 57% dal campo. Se non fosse per Whiteside, sarebbe il panchinaro con più doppie doppie della lega, e numeri alla mano è il miglior rimbalzista offensivo della lega. Ma un giocatore del genere perchè parte dalla panchina e perchè gioca poco più di 20 minuti di media? Il motivo è molto semplice, è uno dei peggiori difensori di squadra, e probabilmente uno dei peggiori bigman difensivi della lega: con lui in campo il DefRtg dei Thunder crolla di 4 punti per 100 possessi ed il differenziale di NetRtg tra quando è in campo e quando è a sedere è negativo, -7,5. Non proprio un bel biglietto da visita per ambire a un awards che dovrebbe premiare chi ha un impatto positivo sul gioco partendo dalla panchina.

Ecco perchè il premio per noi lo dovrebbe vincere Dennis Schroder. Il play degli Hawks ha piazzato 11 punti di media in poco più di 20 minuti di utilizzo medio uscendo alla panchina in 71 delle sue 77 partite stagionali. E’ la scintilla di energia da cui gli Hawks traggono forza per imporre il proprio gioco nei quarti centrali. A primo impatto si potrebbe pensare che Schroder cambi la partita dal punto di vista offensivo, con il suo estro e la sua fantasia, la realtà è che gli Hawks con lui in campo difendono meglio (+5,2 punti per 100 possessi di DefRtg) e corrono meno (-2,1 di pace), e tra i giocatori di rotazione è primo di squadra per NetRtg e DefRtg segno che il suo impatto è rilevante a tutto tondo e non solo in attacco per gli Hawks, benchè non sempre sia in controllo e padrone della situazione.

MOST IMPROVED PLAYER

Photo by Craig Mitchelldyer-USA TODAY Sports

Un plebiscito per CJ McCollum che rispetto alla sua stagione da sophomore ha innalzato il proprio rendimento a livelli fantascientifici e con la sua crescita ha permesso a Portland di restare competiva nonostante la diaspora estiva che ha portato l’addio di Wes Matthews, Nicholas Batum e LaMarcus Aldridge.

screenshot

Ha piazzato i career high in punti, percentuale dal campo, percentuale da tre punti, ai tiri liberi, assist e recuperi. Ha incrementato di 14 punti la sua media punti (nessun giocatore è mai riuscito nella storia a alzare la propria media punti di così tanto a distanza di una singola stagione) e tirando 12 volte in più a partita ha incrementato le proprie percentuali dal campo.

Lui e Damien Lillard, hanno formato il secondo miglior backcourt NBA dietro agli Splash Brothers di Golden State rendendo i Blazers la squadra rivelazione della stagione.

COACH OF THE YEAR

Feb 27, 2015; Boston, MA, USA; Boston Celtics head coach Brad Stevens directs his team during the second half of the Boston Celtics 106-98 win over the Charlotte Hornets at TD Garden. Mandatory Credit: Winslow Townson-USA TODAY Sports

Mandatory Credit: Winslow Townson-USA TODAY Sports

E’ prassi quella di assegnare il premio di allenatore dell’anno all’allenatore della squadra con il miglior record o al coach della squadra che ha avuto l’exploit maggiore in termini di vittorie.

Secondo questi criteri dovrebbero vincerlo uno tra Steve Kerr e Gregg Popovich con il primo che sta guidando i Warriors al record di sempre di vittorie in regular season, seconda squadra ogni epoca a raggiungere le 70 vittorie in stagione ed il secondo che rispetto allo scorso anno ha incrementato di 10 vittorie (and counting) il record di squadra. Ma Kerr è stato mezza stagione ferma ai box per i postumi di un intervento estivo alla schiena, sostituito da Luke Walton; e Popovich è talmente bravo nel suo lavoro che ogni anno, da 15 anni a questa parte, dovresti premiarlo per come ridefinisce i canoni del gioco, anticipa le mode, modella le sue squadre in base ai propri pregi anche andando contro i propri principi.

Ecco perchè secondo noi il premio di allenatore dell’anno dovrebbe andare a uno dei due “outsider” Terry Stotts e Brad Stevens.

Il caso Stotts è particolare: i Blazers rispetto alla stagione scorsa hanno vinto 8 partite in meno, ma la capacità di sopravvivere nella Western Conference dopo aver perso 4° quinti del quintetto (Wes Matthews, Nicolas Batum, LaMarcus Aldridge e Robin Lopez) sostituendoli con scarti altrui e scommesse (McCollum, Aminu, Vonleh e Plumlee) è da considerarsi un miracolo. Nelle preview di stagione anche i più ottimisti mai avrebbero pensato di vederli qualificati ai Playoff, invece Stotts è riusciuto a dare un’identità forte di squadra a un gruppo di giocatori di secondo, se non terzo piano con grossi limiti, perlopiù difensivi, trasformando i Blazers in una squadra divertente, che gioca un basket molto moderno ed efficace, migliorando l’OffRtg di quasi 1 punto per 100 possessi con una minor dose di talento a disposizione.

Ma quello che ha fatto Brad Stevens a Boston è ancora più rilevante e probabilmente più discriminante per fargli vincere il titolo di allenatore dell’anno. Ha portato infatti una squadra senza stelle, infarcita di giovani o gregari al 4° record della miglioratissima Eastern Conference, migliorando di 3 posizioni il seed dello scorso anno, passando da una stagione al di sotto del 50% di vittorie a una stagione da quasi il 60%.

I suoi Celtics hanno migliorato i propri rating difensivi e soprattuto offensivi, risultando rispettivamente la 4° squadra della lega nella propria metà campo, e tra le top 12 dove conta fare canestro. Il tutto alzando il ritmo dei gioco di quasi 3 punti per 100 possessi che rendono Boston la squadra con il terzo pace più alto della lega dietro agli scriteriati Kings e i Warriors.

Finita la regular season, la NBA inizierà a radunare il comitato di analisti, ex giocatori e personalità importanti per le votazioni dei premi individuali. Nessuno ce lo ha chiesto ma noi abbiamo dato il nostro parere analitico sui premi e non ci resta che attendere e vedere quanti ne abbiamo azzecati.