Se 10 anni fa vi avessero detto che la prima squadra di Los Angeles non sarebbero più stati i Lakers e che i Clippers sarebbero stati una contender per il titolo NBA avreste pensato a uno scherzo.

Negli ultimi anni la loro ascesa è stata costante, culminata con le semifinali della Western Conference perse in modo rocambolesco contro i Rockets, con la serie praticamente in mano e lasciata sfuggire negli ultimi 12 minuti di gara 6 che sono costati la serie persa a gara 7, dopo aver eliminato al primo turno i campioni del mondo in carica degli Spurs.

Trascinati da Chris Paul e Blake Griffin e un core di giocatori di altissimo livello tutto faceva intendere che la stagione 2015/2016 sarebbe stata quella delle definitiva consacrazione, ed invece dopo 4 mesi di regular season e 54 partite giocate, possiamo affermare con certezza che i Los Angeles Clippers sono la squadra più contraddittoria della NBA.

Contraddizioni che nascono dalla campagna acquisti estiva portata avanti da Doc Rivers nell’ambigua veste di coach e GM: solitamente il coach e il GM sono due figure distinte, che hanno competenze diverse e lavorano su binari paralleli. Il Rivers GM invece faceva acquisti che il Rivers Coach rinnegava in campo in un vortice vizioso che ha portato i Clippers a limitarsi nel presente e compromettere la propria situazione salariale nel futuro. In tutto questo la tendenza a portare a L.A. giocatori che contro le sue squadre hanno sfoderato le migliori prestazioni in carriera.

Gli acquisti di Lance Stephenson, Josh Smith e Paul Pierce dovevano portare profondità ad una panchina che era il vero tallone di achille dello scorso anno, ma si sono rivelati un clamoroso buco nell’acqua.

Lo scorso anno il quintetto base dei Clippers composto da Paul/Redick/Barnes/Griffin/Jordan è stato di gran lunga il più utilizzato della lega con 1217 minuti totali – 300 minuti in più del secondo e quasi 1000 in più della seconda più frequente combinazione del proprio roster – e per efficienza complessiva il secondo della NBA dietro a quello titolare dei Warriors con +17.7 di NetRtg. In sintesi, finchè giocavano i titolari o una combinazione dei titolari + Jamal Crawford, i Clippers erano una squadra di elite.

L’inizio di stagione dei Clippers è stato una serie di alti e bassi che non hanno permesso alla squadra di trovare continuità: i fastidi fisici di Chris Paul, JJ Redick e Paul Pierce hanno costretto coach Rivers a varare 10 starting five differenti nelle prime 30 partite di stagione.

Il 24 dicembre il record di squadra faceva registrare 15 vittorie e 13 sconfitte e le certezze erano poche: Paul e Griffin stavano facendo del loro meglio per non fa affondare la baracca mentre JJ Redick e DeAndre Jordan erano gli unici a dargli man forte. L’unico modo che i Clippers avevano di sopravvivere era quello di tenerli in campo quanto più possibile, perchè non appena venivano richiamati in panchina a prendere fiato gli indici di efficienza offensiva e difensiva calavano drasticamente, da un minimo di -10.3 punti per 100 possessi di differenziale con Griffin fuori al -16.9 di differenziale senza Redick. Gli unici “degli altri” in grado di non peggiorare i propri indici di efficienza quando erano in campo erano Luc Mbah a Moute e Cole Aldrich, non certo i giocatori più attesi.

L’infortunio al quadricipite – seguito all’incidente con il magazziniere che gli ha provocato la rottura della mano – che ha tolto di scena Blake Griffin il giorno dopo, durante il derby natalizio contro i Lakers, aveva tutta l’aria di essere il colpo di grazia. Invece, contrariamente a quanto si pensava, da lì in poi la loro stagione è svoltata e nelle successive 25 partite – fino ad oggi – i Clippers hanno perso solamente 5 volte, vantando il 3° miglior record della lega in questo lasso di tempo dietro a Warriors (21-3) e Spurs (20-4).

Come è possibile perdere il miglior giocatore del roster, uno che fatturava 23.2 punti, 8.7 rimbalzi e 5 assist (il migliore tra i bigman dopo Draymond Green) di media, e migliorare così esponenzialmente?

La prima risposta che ci viene in mente è Chris Paul.

Il playmaker uscito da Wake Forest, senza Griffin ha aumentato il proprio peso specifico nell’attacco dei Clippers, che lo ha portato nei mesi di gennaio e febbraio a produrre rispettivamente 21.1 e 10.4 assist di media in 14 partite e 24.5 punti e 8.8 assist in 6 partite con un NetRtg complessivo di +15.4 punti per 100 possessi nelle ultime 20 partite.

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La sua capacità di attaccare dal palleggio ogni difesa NBA e scegliere la miglior opzione possibile per se o per la squadra è la principale fonte di gioco dei Clippers. E’ responsabile di quasi 23 punti a sera realizzati dalla squadra grazie ai suoi passaggi e di 17 assist potenziali a partita. Nessun giocatore tenta più tiri in palleggio-arresto-tiro di lui e quasi il 90% del suo gioco è frutto di tiri in jump shot.

La seconda risposta che ci viene in mente è l’impatto di JJ Redick e DeAndre Jordan.

JJ Redick a 31 anni sta vivendo la miglior stagione in carriera. Fino a metà gennaio stava tenendo medie al tiro mostruose: tirava con il 50% da tre punti e quasi il 90% ai liberi, la sua eFG% di 61.2 e la sua TS% di 65.5 era seconda solo a Steph Curry nell’intera NBA, numeri degni dell’impatto che ha avuto la scorsa stagione Kyle Korver. Nell’ultimo mese la sua mano si è un attimo raffreddata, anche perchè le difese hanno iniziato a stringersi molto su di lui.

A differenza dei bigman NBA che gravitano attorno al ferro e tengono alte le proprie percentuali, i tiri di Redick sono ad alto coefficiente di difficoltà e avvengono a seguito di una preparazione maniacale studiata al dettaglio dei tempi e modi in cui esce dai blocchi, trova l’equilibrio e lascia andare un tiro.

La mappa di tiro di JJ Redick è impressionante, considerando che dei suoi 575 dal campo, 540 sono stati in jumper.

La mappa di tiro di JJ Redick è impressionante, considerando che dei suoi 575 dal campo, 530 sono stati in jumper.

Il suo 69% di eFg% nei “catch and shoot” è dietro solamente al 70% di Steph Curry ed è in parte dovuto al fatto che rispetto al numero 30 dei Warriors tira molto dal midrange (224, quasi il 50% del suo fatturato complessivo) in uscita dai blocchi verticali granitici che gli piazza l’amico De Andre Jordan.

DeAndre Jordan che dopo l’inizio di campionato difficile ha ritrovato lo smalto dello scorso anno. I suoi pick & roll con Chris Paul sono la principale opzione offensiva dei Clippers e il terrore di tutte le difese: nessuno in NBA rolla a canestro con più efficacia di lui dopo un pick & roll come dimostrano gli 1.42 punti per possesso che produce, molto spesso affondando con una schiacciata al volo in corsa. La sua % dal campo è la più alta della lega con il 70% al tiro frutto di 308 tiri presi entro il metro e mezzo di distanza dal ferro e appena 15 presi oltre.

Il resoconto dei tiri di DeAndre Jordan.

Il resoconto dei tiri di DeAndre Jordan.

Si continua a dubitare di lui perchè non sa crearsi il proprio tiro (il 77% dei suoi tiri è assistito, l’87% dei suoi tiri avviene senza palleggio), ha un inesistente gioco in post basso ed è clamorosamente incapace nel tirare i liberi e che ha portato a livelli fantasiosi e pure fastidiosi l’hack-a-Jordan (a dicembre ha pareggiato il record di tiri liberi sbagliati in una sola partita di 22 che apparteneva a Wilt Chamberlain) ma non considera il suo spiccato QI cestistico che lo porta a eccellere a livello NBA per qualità dei blocchi, capacità di seguire le penetrazioni e farsi trovare su uno scarico – in questo senso è uno “space floorer” molto atipico perchè non ha range di tiro oltre l’area colorata ma anzichè comprimere gli spazi ai compagni, ne apre di ulteriori perchè ritarda l’aiuto del proprio difensore diretto che ha “paura” di un suo tap-in a rimbalzo d’attacco, altra specialità della casa – o l’impatto difensivo che lo porta a alterare traiettorie di tiro (concede il 47% al ferro su 8 tiri contro di lui, 6° miglior giocatore NBA) e calamitare rimbalzi (raccoglie il 76% dei rimbalzi che gravitano attorno a lui) con un impatto “chamberlainesco”.

La crescita di Paul, Redick e Jordan in contumacia dell’assenza di Griffin ha portato i Clippers a giocare in modo più efficiente ed efficace.

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Ma non è detto che basti per tornare ai livelli che si erano auspicati e raggiungere i traguardi che si sono prefissati. Griffin è un giocatore insostituibile per i Clippers e un campione di 25 partite giocate in emergenza può essere fuorviante. La sua capacità di trovare il canestro e la sua sottovalutata propensione a creare gioco è necessaria per non spremere un Chris Paul che ogni arriva ai playoff senza benzina e vittima di infortuni dovuti al sovrautilizzo.

In attesa del suo recupero, sono attesi ad un ulteriore salto di qualità che dovrà sciogliere i dubbi che ancora non sono riusciti a dissipare.

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Sulla trade deadline è arrivato Jeff Green in cambio di Lance Stephenson. Nei piani che lo hanno portato a L.A. dovrebbe essere il giocatore che risolve il problema in ala piccola, e per la sua natura di tweener ha la possibilità di essere utilizzato da ala forte nei quintetti piccoli, quelli che servono ad aprire l’area per i giochi a due tra Paul e Jordan.

La mappa di tiro di Jeff Green.

La mappa di tiro di Jeff Green.

A ben guardare non è il giocatore più efficiente che potessero trovare visto il 43% al tiro e lo scarso 30% al tiro da tre punti, ma è sicuramente un upgrade rispetto a Stephenson e Smith.

I Clippers hanno deciso di andare all-in nell’immediato rimandando a giugno ogni eventuale discorso inerente il futuro della franchigia: ogni risultato al di sotto delle finali di Conference potrebbe sancire la fine dei Clippers come li abbiamo conosciuti fino ad oggi.

E sprofondare nell’abisso della mediocrità per i prossimi 5 anni sarebbe un vero peccato, ma soprattutto nuocerebbe alla saluto del plenipotenziario Steve Ballmer e al suo cuore da tifoso.