Dirk Nowitzki

Il record. Una stagione inferiore alle aspettative. Non può essere giudicata diversamente l’annata della squadra campione in carica, arrivata solamente terza nella propria division con 36 vittorie e 30 sconfitte, e poi uscita al primo turno dei playoffs, “cortesia” dello sweep rifilatole dai lanciatissimi Thunder. Risultati deludenti per il sempre presente proprietario Mark Cuban, ma la formazione che aveva vinto il titolo 12 mesi fa contro Miami era stata modificata in maniera significativa e coach Carlisle era arrivato al campionato post-lockout senza l’attesa estensione di contratto e dunque agli occhi dei giocatori non aveva l’appoggio a lungo termine della franchigia. Una fiducia che Cuban ha dimostrato invece pochi giorni fa – a sorpresa come tempi – quando ha concordato col suo allenatore un accordo per un altro quadriennio e scongiurato la sua partenza verso altri lidi (si parlava di Portland). Con un esordio stagionale – pesantissima sconfitta interna con Miami nella rivincita della finale – già chiaro indicatore delle difficoltà esistenti e primo di tre stop in fila, i Mavs hanno perso 5 delle prime 8 uscite, complici le difficoltà a stabilizzare gli assetti rinnovati. Una serie di 11 vittorie in 14 partite in chiusura di gennaio ha dato l’illusione di rivedere i vecchi Mavericks. Ma la continuità dell’anno passato non è mai arrivata, neppure le 6 W in fila a metà febbraio (interrotte dai Knicks in piena “Linsanity”) – e un approdo fino al 20-11 – hanno dato la svolta ad una stagione contraddistinta da tanti infortuni e che, complice pure un calendario difficile, ha avuto una seconda parte da 15-15 che ha impedito di sganciarsi dalla mediocrità. La carica ai playoffs non è mancata, la sfida ai Thunder è stata presentata con la convinzione di chi voleva provare un’altra corsa fino in fondo. Ma la qualità non era quella del passato e anche la benzina è finita prima, è mancata la capacità di chiudere le prime due sfide punto a punto, in cui OKC è stata più brava a capitalizzare (canestro di Durant allo scadere in gara1, tiri liberi di Harden nella seconda) e trarre grande fiducia per il resto della serie.

MVP. Preziosi i punti dalla panchina di Jason Terry, la difesa sull’avversario più pericoloso di Shawn Marion, qualche lampo di West e Beaubois, ma non si può non parlare di Dirk Nowitzki. Il tedescone da Wurzburg è stato ancora una volta il migliore dei suoi. Ma ormai a 34 anni anche le sue cifre e il suo impatto cominciano a scendere leggermente. MVP delle Finali un anno fa, in questa regular season ha segnato meno (21.7 punti contro 23.0), ma soprattutto tirato peggio (dal campo 45.7% contro 51.7%, da tre 36.8% contro 39.3%) anche perché i compagni gli hanno creato meno spazi ed hanno preteso maggiore quantità. Nei playoffs ha provato a prendersi sulle spalle la squadra, è salito a quasi 27 di media (26.8), ma contro la difesa e l’atletismo dei Thunder non è riuscito quasi mai a trovare la mira e l’incisività delle giornate migliori: 44.2% totale su azione, solo 16.7% dall’arco, rimane notevole il 90.5% ai liberi su oltre 10 tentativi di media.

La sorpresa. Difficile parlare di sorprese in una squadra con così tanti veterani, in cui i giocatori più giovani della rotazione – Beaubois e Wright – sono rimasti ai margini nei playoffs. Una citazione di merito allora va alla difesa di Shawn Marion, in molte occasioni equilibratore del quintetto per la capacità di difendere su quattro tipi di giocatori diversi, e alla capacità di Delonte West di giocare in maniera un po’ più disciplinata e senza colpi di testa fuori dal campo.

Lamar Odom

La delusione. Lamar Odom. Si pensava potesse essere un’aggiunta di qualità, in grado di portare tecnica, talento, esperienza. Non ha portato nulla, complice una offseason tormentata per motivi extra-cestistici e una separazione dai Lakers per lui brusca sul piano emotivo, è sempre stato un corpo estraneo alla squadra. Fino ad inizio aprile, quando Mark Cuban ne ha avuto abbastanza e lo ha sostanzialmente allontanato dal gruppo, rendendolo inattivo fino al termine dell’annata, chiusa con i minimi in carriera in molte cifre (6.6 punti, 35.2% al tiro, 59.2% ai liberi). Ha 2.4 milioni garantiti per la prossima stagione (da 8.2 totali), ma andrà ceduto.

Prospettive Future. L’entusiasmo e la voglia di Cuban e Nelson di costruire una squadra costantemente tra le “contender” hanno convinto Carlisle a rimanere. E a mettersi al lavoro, insieme alla dirigenza, per ringiovanire e rinforzare una squadra che avrà Terry e Kidd tra i principali free agent. Possibile rifirmare il “Jet”, potrebbe tornare anche Kidd, che si è detto disponibile anche ad un ruolo di backup, ma vista l’età è difficile, c’è Carter vincolabile esercitando l’opzione (ma si potrebbe anche uscire dal contratto per rifirmarlo a cifre più basse) e un Delonte West che, in barba ad una certa propensione agli infortuni, dopo due anni al minimo vorrebbe un pluriennale. Ma qualcuno potrebbe essere rifirmato e poi ceduto, perché l’intenzione dichiarata è quella di aggredire il mercato, diventando attivi già in tempi brevi. Per questo, il primo nome che circola è quello di Deron Williams però verrà monitorata anche la situazione sempre in divenire di Dwight Howard. I Mavs sono tra i favoriti nella corsa alla point-guard dei Nets, che hanno perso punti alla draft lottery quando la prima scelta è finita a Portland, perdendo così un “asset” che poteva essere impacchettato e spedito ad Orlando. Servirà poi un centro da quintetto più affidabile di Haywood (potrebbe arrivare dal draft con qualche scambio?), in grado di dare quella presenza nelle due aree garantita da Tyson Chandler nell’anno del titolo: l’ex big man dei Wizards, in modo da non far più incidere il suo contratto sul monte salari, potrebbe anche essere tagliato con la “clausola dell’amnistia”, un rischio analogo a quello che sta correndo – secondo alcuni rumors – anche Shawn Marion (ma solo uno è “scaricabile”).