Il record: (40W-26L). Per chi ha vissuto le ultime stagioni sull’altra sponda dello Staples Center, quella di quest’anno può essere considerata davvero come un miracolo sportivo. I Clippers, la franchigia “perdente” per antonomasia dello sport americano, ripetono il loro miglior risultato di sempre raggiungendo le semifinali della Western Conference (l’ultima volta nel 2006, erano i tempi di Brand e Cassell) cedendo 4-0 contro gli Spurs. Questo risultato però non è frutto di un semi-miracolo (come il caso precedente) ma è il risultato del duro lavoro svolto dalla dirigenza che per la prima volta nella storia è stata conscia di voler costruire una squadra competitiva. Sterling ha pescato nel portafoglio, acquistando probabilmente il miglior playmaker della lega Chris Paul, ha rinnovato un buon giocatore come DeAndre Jordan (anche se a cifre molto alte, forse troppo), ha trattenuto Griffin e ha portato in squadra veterani di livello come Butler, Billups e Evans. I Clippers hanno avuto un rendimento costante per tutta la stagione, navigando costantemente nella zona tra la terza e la sesta posizione ad ovest, non mettendo mai a rischio una partecipazione ai playoffs che mancava da ormai 6 anni. Nella post season è mancata quell’esperienza necessaria per giocare partite di quel genere e, a causa dell’infortunio di Billups e di una certa inesperienza di Bledsoe, Paul non ha potuto rifiatare come sarebbe stato giusto e doveroso per farlo rendere al meglio. L’eliminazione per mano degli Spurs, visto l’andamento delle due squadre in stagione, era quasi scontata, ma a questi “primi” Clippers della nuova era, non si poteva chiedere di più. La notizia è che i Clippers sono finalmente una squadra con la “S” maiuscola, in grado di poter iniziare a prendere qualche piccola soddisfazione. I tempi dell’etichetta di “perdente” e di “seconda squadra di LA” probabilmente sono finiti e i Clippers non verranno più ricordati come “quelli con la maglia rossa che giocano allo Staples quando i Lakers sono in trasferta”.

MVP: Chris Paul. Decisamente lui. Non sarebbe corretto non dare i giusti meriti anche a Blake Griffin (20.7 punti, 11.5 rimbalzi di media a partita con il 54.9 % dal campo), ma il salto di qualità in casa Clippers lo ha fatto fare CP3. Il ventisettenne ex-Hornets (19.8 punti, 9.1 assist e 2.5 rubate di media a partita con il 47.8 % dal campo) è probabilmente il migliore play in circolazione. Tralasciando le polemiche sul suo passaggio ai Clippers (con l’ormai celebre blocco della lega al trasferimento ai Lakers) che ha permesso a Sterling di portarselo a casa, Paul ha creato un’ottima intesa con Griffin. L’asse tra i due è già uno dei più invidiati della lega e le cifre dell’ala grande, grazie anche agli assist di Paul, sono notevolmente migliorate. Il gioco dei Clippers con lui come leader può solo crescere di livello. Il futuro quindi riserva soltanto prospettive rosee.

La sorpresa: Mo Williams. Il playmaker ex Cavaliers è probabilmente la sorpresa della stagione in casa Los Angeles Clippers. “Retrocesso” da playmaker titolare, lasciando così le chiavi della regia a Paul, a sesto uomo proveniente dalla panchina, il prodotto dell’Università dell’Alabama si è rivelato spesso un’arma micidiale e risolutrice in molte partite (sono da esempio i 33 punti messi a segno contro San Antonio o i 26 realizzati ai Mavericks). Le cifre, per quello che oramai è un collaudato sesto uomo, sono più che buone (28 minuti sul parquet di media con 13.2 punti a partita, tirando con il 42.6 % dal campo). Voci dicono che potrebbe essere usato come pedina di scambio in qualche trattativa, ma vista l’ultima stagione verrebbe da pensarci bene. Altra lieta presenza nella stagione dei Clippers è stata quella di Caron Butler. L’ex Mavericks, arrivato in estate,  ha viaggiato con 12 punti di media con il 40% dal campo ed è senza dubbio una delle garanzie per la prossima stagione.

La delusione: DeAndre Jordan (7,4 punti, 8,3 rimbalzi di media con il 62 % dal campo). La stagione è stata comunque buona per il centro ventitreenne prodotto di Texas A&M. Viene inserito comunque tra le delusioni, perché da un giocatore che firma un contratto di 4 anni a 43 milioni di dollari annui, come ha fatto lui quest’inverno, è ragionevole aspettarsi qualcosa di più. I tre anni che gli rimangono di contratto gli garantiscono il posto da titolare ma dovrà fare il definitivo salto di qualità e reggere il livello sempre più alto dell’asse Paul-Griffin, per non essere emarginato e per evitare alla società di convivere in casa con un ingaggio decisamente pesante e inutilizzato. Più che bocciato, è rimandato.

Prospettive future: A Los Angeles, negli uffici di Sterling, l’aria sembra essere cambiata e i Clippers hanno tutte le intenzioni di diventare una delle più temibili contender per il titolo NBA. La strada però è appena iniziata e la dirigenza deve ancora completare il roster con qualche tassello. Innanzitutto confermare tutta l’ossatura della squadra di quest’anno, riuscendo a tenere i veterani in squadra che diventeranno free agent (Martin, Billups ed Evans che sono ancora riserve di lusso). Il sacrificio, a livello puramente economico, più grande da parte della dirigenza sarà quello di convincere Paul a rimanere (usando una fetta cospicua del monte ingaggi) e proporre il rinnovo a Griffin, visto che il contratto da rookie scade l’anno prossimo. Questo cospicuo sacrificio economico condizionerà notevolmente le scelte tecniche dei Clippers (causa il tetto salariale da non sforare, causa anche le folli cifre a cui è stato rinnovato DeAndre Jordan la scorsa estate), ma è indispensabile se le ambizioni della franchigia si sono livellate verso l’alto. Il roster avrebbe bisogno di un altro lungo di livello per poter dare più inventiva a Paul in fase offensiva. La dirigenza dovrà avere occhio tra i free agent e magari pescare qualche jolly dal draft. I Clippers, che oramai sono diventati una piazza a tutti gli effetti di prima fascia, per fare il definitivo salto avrebbero bisogno di un allenatore davvero di livello capace di gestire la squadra nei momenti difficili. Del Negro non ha convinto in pieno, molti critici avrebbero voluto vederlo “saltare” per dare alla squadra un allenatore più adatto a fare il salto di livello, invece rimarrà e questa mossa ha fatto storcere il naso a molti. Facendo tornare a pensare che non ci sia tutta questa convinzione di crescere ancora. E sarebbe un peccato perché potenzialmente il quinto posto ad ovest è migliorabile e la possibilità di diventare per la prima volta la miglior franchigia di Los Angeles non è del tutto un’utopia.