David Lee

Il record. Non si può dire che finora il progetto della nuova proprietà abbia funzionato. Nonostante i ripetuti tentativi della scorsa offseason, nessun free agent di primo piano ha accettato di sbarcare nella Baia. I tifosi non hanno gradito e certamente hanno mostrato un certo distacco, non gradendo la quinta stagione consecutiva terminata senza la qualificazione ai playoffs, in più con un netto passo indietro (dal 43.9% al 34.8%) nella percentuale delle vittorie, che sono state appena 23 su 66 partite. Ma un progetto stavolta sembra esserci e le mosse attuate in chiusura del mercato, seppur risultate non premianti ma anzi penalizzanti nell’immediato (dal 14 marzo in poi, appena 5 vittorie nelle ultime 27 uscite), hanno certamente una ragione d’esistere nel medio-lungo periodo. L’arrivo di Bogut ha colmato la debolezza in mezzo all’area diventata cronica nella gestione di Don Nelson mentre la cessione di Monta Ellis ha liberato lo spazio all’esplosione di Klay Thompson, in grado di dare più fisicità ad un backcourt viceversa troppo piccolo in coppia con Curry. Però Bogut è arrivato già infortunato e deve ancora esordire in maglia Warriors, la partenza di Ellis ha tolto punti e vivacità ad un attacco già condizionato dai continui problemi alle caviglie di Curry, che è riuscito a giocare solo 26 partite. Sui suoi infortuni è girata l’annata, iniziata già male visto che il primo – sulla caviglia destra già operata – è capitato nell’ultima gara di preseason, rovinando l’esordio in panchina da capo-allenatore di Mark Jackson. L’ex play dei Knicks aveva promesso i playoffs, non li ha centrati ma il suo lavoro non è dispiaciuto e, prima degli scambi, era sicuramente in corsa per agganciare gli ultimi posti della post-season nella competitiva Western Conference.

MVP. Cambiato parecchio in corso d’opera, il roster di Golden State ha avuto un autentico punto fermo in David Lee. Arrivato ad un passo dalla doppia-doppia di media (20.1 punti e 9.6 rimbalzi), l’ex giocatore di New York ha dato garanzie in termini di combattività sotto i tabelloni, intensità, capacità di convertire i possessi sempre con buone percentuali (50.3% su azione) anche su dosi di responsabilità offensive accresciute rispetto alle sue abitudini in carriera. Ha giocato 57 partite con 27 doppie-doppie e un paio di “trentelli” prima di doversi arrendere ad una lesione addominale che l’ha costretto all’intervento chirurgico.

Klay Thompson

La sorpresa. Buone cose, considerati i costi modesti, hanno fatto due specialisti da rotazione come Rush e McGuire, che potrebbe essere il caso di rifirmare, ma sicuramente Klay Thompson ha prodotto di più di quanto era lecito attendersi da un’undicesima scelta assoluta ed ha conquistato con pieno merito l’inserimento nel primo quintetto di matricole (solo Irving, Rubio e Faried hanno ottenuto più voti). Il fatturato complessivo di 12.5 punti col 41.4% da tre, 2.4 rimbalzi e 2.0 assist è di tutto rispetto, ma quello che ha contato maggiormente è stata la crescita costante, culminata con l’occasione del posto in quintetto sfruttata al meglio, tanto da piazzare un ultimo mese da 18.5 punti col 45.9% dal campo, 3.8 rimbalzi e 2.8 assist. Ottimo debutto, è sicuramente un elemento su cui puntare ancora.

La delusione. Modesto l’impatto di un Jefferson che già aveva fatto molta fatica a San Antonio, è stato virtualmente nullo il contributo di Andris Biedrins. Il centro lituano, andato in doppia-doppia di media tre anni fa, ha prodotto appena 1.7 punti (79 totali) e 3.7 rimbalzi in 15.4 minuti con un inquietante 11% ai liberi. Ed è costato 9 milioni di dollari, in pratica quasi 114 mila dollari a punto segnato…

Prospettive Future. La nuova proprietà aveva promesso grossi sforzi per trasformare una delle franchigie più bistrattate della lega (1 sola qualificazione ai playoffs negli ultimi 18 anni) in una realtà importante e credibile. I risultati ancora non si sono visti, anzi la stagione conclusa ha mostrato un altro passo indietro. Però le mosse fatte avevano un senso per colmare le lacune in termini di stazza nel backcourt e in mezzo all’area. Le basi per ripartire ci sono, i proprietari Joe Lacob e Peter Guber, avvalendosi della consulenza di Jerry West, ci credono ma ora dovranno prendere decisioni importanti. Anche se molte attenzioni sono già rivolte all’estate 2017, quando si dovrebbe andare a giocare a San Francisco (ma senza cambiare nome alla franchigia). L’obiettivo è offrire una città più grande ai nomi importanti del mercato dei free agent, per far questo è in progetto la costruzione di una nuova arena subito a nord dell’AT&T Park, casa dei Giants della NFL. Nell’immediato c’è un draft a cui pensare con grande attenzione – e che sarà subito un bel banco di prova per il nuovo g.m. Bob Myers -, visto che ci saranno ben 4 scelte, due al primo giro (7 e 30) e due al secondo (35, che potrebbe essere la più spendibile sul mercato perché non porta in dote un contratto garantito, e 52). Poi sarà importante sperare nella buona salute di tutti i giocatori ed è un rischio avere i tre elementi principali tutti reduci da infortuni che hanno chiuso in anticipo la loro stagione. Se staranno bene, servirà solo un’ala piccola di impatto (piace soprattutto Iguodala, con cui era già stato fatto un tentativo importante un anno fa, ma interessano anche Gay, Granger e Batum) per il quintetto e poi si potrà pensare ad allungare la panchina. Per pescare sul mercato dei free agent c’è poco più dell’eccezione di medio livello al salary cap, che comunque si pensa di offrire ad un giocatore importante (il primo della lista è Jason Kidd, proponendo al nativo della Baia anche un ruolo da dirigente a fine carriera) per aumentare lo spazio potrebbe essere il caso di sfruttare la clausola dell’amnistia per liberarsi di uno tra Biedrins e Jefferson.