Con l’arrivo dell’autunno si cominciano a sentire i primi odori di parquet, ma il retrogusto estivo é ancora nell’aria con una temperatura che si ostina a rimanere calda e a ricordarci dell’estate. O meglio, per noi malati della palla a spicchi, dell’offseason.
Noi di DailyBasket abbiamo deciso di percorrere la strada delle “top 10”, un modo per accendere la discussione e per prepararci al meglio alla nuova stagione che sta per iniziare. E non si può non parlare di offseason senza parlare di loro, i cacciatori per eccellenza, i General Managers, coloro che hanno l’enorme responsabilità di spendere bene i parecchi soldi messi a disposizione dai loro datori di lavoro. Quindi abbiamo deciso di dirvi chi secondo noi sono i migliori 10 – dal numero 10 al numero 1 – della NBA, tenendo conto del recente passato e anche di come è andata la nostra amata offseason.

Non ci siamo dimenticati di: Chris Wallace (Memphis), Mitch Kupchack (LA Lakers), Danny Ainge (Boston), Tim Connelly (Denver), Bob Myers (Golden State) e Donnie Nelson (Dallas). Tutti hanno la possibilità di rientrare o di entrare a far parte dell’élite ma seriamente, come si fa a fare una top 10 senza escludere dei nomi eccellenti?

Fuoriclassifica. LeBron James (e il GM David Griffin) – Cleveland
Non è un GM ovviamente, ma chi più di lui é in grado di radunare attorno a se i migliori talenti disponibili? Ecco, ci pare nessuno, e quindi LeBron merita quasi di essere ricordato come uno dei migliori “executive” del mercato, meglio di quello vero di Cleveland.

10. Gar Forman – Chicago
Forman, dal 2009 GM ed “executive dell’anno” nel 2011, è colui che ha rialzato la franchigia dopo anni di buio, ed oggi, per molti, Chicago é nuovamente la favorita ad Est. In gran parte grazie al rientro di Derrick Rose, ma anche grazie ad un mercato convincente con Pau Gasol che ha sostituito Carlos Boozer. Questa mossa sembra un assoluto miglioramento da tutti i punti di vista ed è per questo che il GM Forman ed il vicepresidente John Paxson sanno di aver dato finalmente a coach Thibodeau una squadra completa. Non c’è Carmelo Anthony, l’obiettivo dichiarato della stagione, ma forse, se Derrick Rose rimane sano, è meglio così. Nikola Mirotic, l’undicesima scelta Doug McDermott e il rifirmato Kirk Hinrich vanno a completare una rosa costruita dal front office senza clamori e senza copertine ma con tanta sostanza.

9. Rich Cho – Charlotte
La prima sorpresa della nostra della lista è il GM di Charlotte, che finalmente sembra aver intrapreso la strada giusta dopo anni di fallimento. Questa nona posizione esprime fiducia nei confronti del primo “asian-american” a diventare top manager di una squadra NBA. Cho è a Charlotte dal 2011, dopo aver lavorato per i Blazers e i Thunder e, dopo l’offseason 2014, è riuscito a dare alla squadra di Michael Jordan un posto fra le migliori squadre della Eastern Conference. Con la mossa-Stephenson viene ricoperto un buco a guardia tiratrice, mentre gli arrivi di Marvin Williams e dei rookie Noah Vonleh e PJ Hairston puntellano una squadra che con il vecchio nome Bobcats aveva avuto come migliore risultato l’eliminazione in 4 gare contro Miami, lo scorso aprile. Cho sa che Stephenson può essere un rischio, ma è il rischio quello che si prendono i GM che sanno di star per diventare grandi, proprio come lui.

8. Ryan McDonough – Phoenix
34 anni soltanto e già, al primo anno da GM, é sulla bocca di tutti: miglioramento di 23 vittorie rispetto all’anno prima e seconda posizione dietro RC Buford nella classifica di “executive dell’anno”. Impressionante sì, ma è anche vero che i dieci anni sotto Danny Ainge a Boston hanno avuto la loro importanza. McDonough ha impressionato anche durante l’offseason, rimanendo fermo nelle trattative per il rinnovo di Eric Bledsoe da cui è uscito “vincitore” riuscendo a risparmiare qualche dollaro, fondamentale, nel rifirmare l’ex playmaker di Kentucky. Sono rimasti anche PJ Tucker e Goran Dragic, mentre sono arrivati Isaiah Thomas, con un contratto “low-cost” rispetto alle richieste del giocatore ed Anthony Tolliver. Non sappiamo quanto possano migliorare i Suns quest’anno, ma di certo Ryan McDonough ha gli occhi di tutti puntati sulle sue mosse.

7. Neil Olshey – Portland
Neil Olshey é uno degli artefici del successo di Portland, in particolare con gli innesti dal draft. Ex executive dei Los Angeles Clippers, Olshey è diventato GM dei Blazers nel 2012, e la sua presenza si è fatta subito sentire. Dopo pochi giorni ha scelto quel fenomeno di Damian Lillard e ha esteso il contratto con Nicolas Batum. Portland, che veniva da anni di sconfitte al primo turno dei playoffs ma anche da un bel po’ di anonimato, ritornava a vivere un sogno, e lo faceva grazie all’altra stella, LaMarcus Aldridge. Quest’anno sono arrivati gli ex Lakers, Steve Blake e Chris Kaman, ma il nucleo è rimasto intatto perché Olshey, come tutti gli addetti ai lavori, sa che i Portland Trail Blazers sono una squadra costruita per vincere e per dare enorme fastidio alle “big house” della Western Conference.

6. Daryl Morey – Houston
Qualcuno si riferisce a Morey come il Billy Beane del basket, fin dai suoi trascorsi a Boston, dove lo sviluppo dei metodi analitici e statistici riguardo al draft era una delle sue responsabilità. Oggi Morey è uno dei migliori e più conosciuti GM della lega, non solo per la sua vicinanza al creatore di “Moneyball”, ma anche per le ultime sessioni di mercato, vissute sempre sul palcoscenico. Il capolavoro di Morey risale allo scorso anno quando Dwight Howard firmò per Houston rifiutando un contratto ben più remunerativo a Los Angeles. Otto anni di permanenza come GM dei Rockets non hanno però ancora avuto gli effetti sperati nei risultato: una sola serie di playoff vinta e solo quattro partecipazioni alla postseason sono ancora pochissima roba. Quest’anno Houston partirà un po’ sconfitta dall’offseason, con la perdita di Parsons e il mancato acquisto di Chris Bosh, ma rimane ancora una minaccia per Spurs e Thunder.

5. Larry Bird – Indiana
Qui l’offseason non c’entra molto, visto che per un infortunio gravissimo con Team USA coach Vogel ha perso probabilmente per tutta la stagione il suo miglior giocatore, Paul George. Oltre a George non ci sarà nemmeno Lance Stephenson, ma il “core” é intatto, e, con meno attese e pressioni rispetto allo scorso anno, quando i Pacers sembravano destinati a vincere, siamo di fronte ad una squadra costantemente in lizza per i piani alti dell’Est. Lo é grazie alle idee e le capacità di Bird (ritornato lo scorso anno a fare il GM dopo una parentesi di un solo anno) che ha sempre lavorato bene fino a meritarsi un titolo di “executive dell’anno” nel 2012 e a dare a Vogel una rosa tosta, talentuosa ed in grado di dare enormi problemi agli Heat del back to back.

4. Sam Presti – Oklahoma City
Il suo maestro é RC Buford e questo lo sanno pure i muri. Ma l’allievo sta provando a superare il maestro, anche se sembrano sempre mancare quei pochi centesimi per fare un dollaro. Forse i fasti degli Spurs sono irraggiungibili ma la rosa messa insieme in quel di Oklahoma City negli ultimi anni è di quelle da leccarsi i baffi. Con meno sfortune e meno infortuni i Thunder dovrebbero finalmente essere in grado di fare quel salto decisivo. Sam Presti è stato particolarmente calmo quest’estate, con l’affare più importante ancora in sospeso: Reggie Jackson potrebbe diventare restricted free agent la prossima stagione e in Oklahoma vogliono assolutamente trattenerlo.

3. Pat Riley – Miami
Come ti riprendi dall’aver perso LeBron James e comunque tenere intatto il “core” di una delle protagoniste degli ultimi anni nella Eastern Conference? Essendo Pat Riley e nessun altro. Solo lui avrebbe potuto mantenere (certo a costi onerosi) Chris Bosh e Dwyane Wade e dare agli Heat quella speranza che i tifosi Cavs persero completamente quattro anni orsono. Siamo di fronte ad un maestro del front office, in grado di dare ad una città che con il basket poco aveva a che vedere, una valenza anche a livello cestistico. E certamente i tre titoli sono la migliore cartina di tornasole contro i critici e i detrattori di un'”istituzione” come lui.

2. Masai Ujiri – Toronto
Si dice che, per un qualunque altro GM, già soltanto parlare con Masai Ujiri significhi essere stato “fregato”. Ad esempio, i Knicks avevano paura di scendere a trattative con l’ex GM di Denver, per la paura di rimanerci con le penne. A parte gli scherzi e le leggende sul conto del GM di Toronto, siamo di fronte a uno degli executive più stimati ed apprezzati della lega. E se non bastassero le grandissime cose fatte in Colorado, ha già dimostrato, in un anno in Canada, di ciò che è capace. Dal nulla, i Raptors sono riusciti ad ottenere la terza “seed” della Eastern Conference e si apprestano a vivere la stagione della consacrazione per molti dei suoi pezzi pregiati. Pezzi che Ujiri ha magistralmente tenuto insieme e con i quali ha lavorato per creare una rosa compatta e coesa. Non sappiamo come andrà quest’anno, ma il primo “executive dell’anno” non americano non ha certamente finito di stupirci, e l’aver tenuto Kyle Lowry, Patrick Patterson e Greivis Vasquez, oltre alla conferma di coach Casey, non può far altro che aiutare in questo senso.

1. RC Buford – San Antonio
Non potrebbe essere altrimenti. I record degli Spurs nell’era Buford-Popovich sono clamorosi ed impareggiabili. E quando sembravano brutti e vecchi, gli Spurs continuavano invece a sorprendere ed a vincere, ogni singolo anno, almeno 50 gare di Regular Season. Il tutto grazie ad una dirigenza che non cerca i titoloni dei giornali ma che bada alla sostanza, anche dopo la devastante, per tutti, sconfitta in finale 2013 contro Miami. Una sostanza fatta di lungimiranza e scouting ossessivo dei giocatori (specialmente “overseas”), senza mai risultare antipatici, grazie ad una serie di mosse a basso costo ma straordinariamente intelligenti. Si dice che gli Spurs sono il basket, e se lo sono, il merito va, in gran parte, a questo genio, executive dell’anno per la prima volta in carriera nel 2014 (all’undicesima stagione da GM).