nba-logoIl passaggio da un anno all’altro è sempre tempo di bilanci, l’occasione per ricordare quanto successo e provare a capire cosa potrà succedere. Nella NBA, il 2014 è stato un anno ricco di eventi, che hanno animato, sul parquet e fuori, il panorama del campionato di basket più prestigioso al mondo. Da sempre generosa fonte di notizie, spettacolo, emozioni e personaggi da copertina, la NBA nell’anno appena trascorso ha però vissuto anche qualche pagina che rimarrà tra le meno lusinghiere della propria storia. Sarà impossibile ricordare tutto quanto accaduto, proviamo però a ripercorrere l’anno con queste 10 storie…

10. Paul George k.o. a Las Vegas

1 agosto. Las Vegas. Scrimmage “in famiglia” di Team USA in preparazione ai Mondiali spagnoli. Paul George, nel tentativo di recuperare in difesa e andare a stoppare James Harden, atterra male col piede destro contro la base del sostegno del canestro, vistosamente troppo vicino alla linea di fondo. Le immagini dell’incidente sono agghiaccianti, la diagnosi non lascia scampo: frattura di tibia e perone. Lo shock, dopo qualche giorno, spingerà Kevin Durant a lasciare la comitiva, ma non impedirà al gruppo di mostrare la propria superiorità e vincere l’oro a Barcellona. L’infortunio farà saltare l’intera stagione a George – che però non ha escluso la possibilità di rientrare per i playoffs, una prospettiva non scontata per i Pacers – e riaprirà presto la discussione sull’impiego o meno dei professionisti alle manifestazioni FIBA.

9. Il “tanking” di Philadelphia

Difficile trovare, nel passato, una squadra così dichiaratamente partita per perdere come i Philadelphia 76ers di queste stagioni. Nessuno –  intendiamoci – scende deliberatamente in campo per perdere una partita, ma le franchigie che hanno quest’obiettivo formano un roster insufficiente a vincere più di qualche partita. E’ il caso dei Sixers, alla ricerca di talento in prospettiva (vedi Noel nel 2013 ed Embiid nel 2014) e per nulla interessati a prendere gente pronta nell’immediato. Si lavora per il futuro, ma questa politica del proprietario Josh Harris e del g.m. Sam Hinkie fa discutere perché a livello di immagine la NBA non può permettersi una squadra di D-League con le divise di una sua franchigia, neanche se questo accadesse nel mercato più piccolo degli States. Il danno è enorme, per scongiurare altri pericoli di “tanking” così esplicito – che, però, è giusto chiarirlo, non sono vietati dal regolamento – la lega ha già aperto a possibili modifiche della draft lottery, per premiare meno le squadre che perdono tanto. Può essere un primo passo, ma potrebbe non bastare.

8. New York, Phil Jackson al comando

Anni di mediocrità hanno spinto James Dolan ad affidare la gestione dei Knicks a Phil Jackson, a 12 milioni a stagione. Un ruolo alla Pat Riley, in una situazione non semplice, che avrà bisogno di tempo prima di essere valutato. Confermato Carmelo Anthony, il tentativo di prendere Kerr in panchina non è andato a buon fine, il nuovo coach è diventato così Derek Fisher, seconda scelta in partenza ma pure lui all’esordio assoluto da capo-allenatore, per costruire una squadra basata sul “Triangolo”. Ma il sistema non funziona, la squadra non gioca e non vince, il percorso sarà lungo, il roster andrà per forza cambiato con la scadenza dei contratti più pesanti e solo allora si potrà capire meglio l’efficacia da dirigente – un esordio anche questo – di Jackson, che per il momento chiede pazienza ai critici che non lo risparmiano e promette ai tifosi un nuovo anno migliore. Nel frattempo, però, i primi risultati hanno portato alla peggior partenza nella storia della franchigia. E se male era prevedibile, così tanto male lo era meno…

7. Kobe Bryant, il ritorno e il record

Kobe Bryant è tornato dopo aver saltato praticamente un anno intero per infortunio. E’ il giocatore che forse divide maggiormente nella lega, ma è uno dei più forti di sempre e la sua sola presenza rende la NBA più interessante. I Lakers, come prevedibile, stanno vivendo una stagione negativa, ma possono ancora gustarsi alcune delle sue perle in grado di decidere le partite come pochi. A metà dicembre, contro Minnesota, ha superato Michael Jordan, diventando il 3° marcatore della storia NBA. L’allievo ha superato il maestro nei punti segnati. Nei titoli vinti è ancora indietro, ma c’è da credere che non si arrenderà facilmente.

6. Kevin Durant MVP

Una svolta nella carriera. Ecco come può essere visto il premio di MVP dell’ultima regular season vinto da Kevin Durant. Stanco di arrivare secondo e di far parte da anni di una bella incompiuta come i Thunder, KD ha dato una prima scossa al suo percorso da professionista. Nella passata stagione è cresciuto molto, in attacco e in difesa, è stato il top scorer della lega, ha vinto 4 volte il premio di giocatore del mese ad ovest e dimostrato di poter essere il leader di una squadra a cui manca però sempre qualcosa per vincere. Ma resterà nella memoria anche il discorso pronunciato alla ricezione del premio, con un ringraziamento vero e sincero, non apparso per nulla scontato, che ha coinvolto praticamente tutte le persone a lui legate, in particolar modo la mamma, con l’ormai celebre “You the real MVP!”.

5. LeBron James, il ritorno a casa

Il mercato estivo del 2014 sarà ricordato come quello del ritorno a casa di LeBron James che, dopo quattro Finali consecutive e due titoli vinti con Miami, è tornato a Cleveland. La “Decision 2.0” è stata ben lontana dalla tanto mediatica e criticata prima versione, quella del 2010, con LeBron che, riconoscendo gli errori commessi in precedenza, ha mostrato maggiore maturità ed ha scritto personalmente una lettera pubblicata da Sports Illustrated per spiegare le motivazioni di un ritorno nel nativo Ohio, spinto dalla voglia di essere d’esempio per i ragazzi del suo stato e di portare a Cleveland una “championship parade”. Ma il percorso dei Cavs non è semplice, la prima parte della stagione che, data la rivoluzione estiva, può essere vista come una preparazione ai playoffs, è positiva ma di certo non esaltante. L’immaturità della squadra, consolidata negli ultimi anni, è apparsa evidente in alcune occasioni. LeBron è partito sotto i suoi livelli e ora si è anche infortunato. E il controllo di coach David Blatt non sembra saldissimo. Sono attese variazioni prima della chiusura del mercato.

4. La fine di un’era: Stern va in pensione

L’1 febbraio 2014 sarà sempre la data del ritiro ufficiale di David Stern. L’uomo che in 30 anni ha cambiato la NBA, pur non senza qualche controversia, rendendola quel fenomeno internazionale che conosciamo oggi. L’avvocato newyorkese di origini ebraiche ha avuto una serie di intuizioni geniali, riuscendo a cancellare la pessima reputazione che aveva questa lega al suo ingresso, nel 1984. Se basta un dato, nella gestione di Stern, secondo la stima di Forbes, il valore delle franchigie è passato da meno di 400 milioni di dollari complessivi a circa 400 milioni di media per squadra. Per un pazzesco totale di 12 miliardi…

3. La cacciata di Sterling

Le frasi razziste di Donald Sterling rimarranno tristemente nella storia. La diffusione su scala mondiale di una conversazione privata ha fatto discutere, ma mai quanto il contenuto delle dichiarazioni dell’ormai ex proprietario dei Clippers, che ha messo subito alla prova il pugno di ferro di Adam Silver. L’allontanamento con multa di 2.5 milioni di dollari e l’obbligo di vendere la franchigia è stato un provvedimento senza precedenti, ma che ha fatto guadagnare molti apprezzamenti al nuovo commissioner, determinato anche contro i ricorsi di Sterling, fino a permettere – dopo un percorso lungo e tortuoso, che aveva messo a rischio il futuro degli attuali Clippers, con le minacce di abbandono di coach e giocatori – il definitivo passaggio di proprietà al co-fondatore di Microsoft, Steve Ballmer, per la cifra record di 2 miliardi di dollari.

2. San Antonio campione

La Finale perfetta. No, non esiste. Ma quella disputata dai San Antonio Spurs con Miami lo scorso giugno ci è andata davvero vicino. La voglia di reagire dopo la sconfitta di 12 mesi prima, in una serie svoltata sulla clamorosa tripla di Ray Allen in gara-6, si è tramutata in una stagione in missione per la truppa di Popovich che, sempre costruita sull’esperienza di Duncan e Ginobili ma con Parker fulcro dell’attacco, ha vinto la serie 4-1, dominando le ultime 3 gare (19 punti di scarto medio). Miami non ha trovato risposte, gli Spurs hanno conquistato il 5° titolo nell’era Duncan, ma esaltando la crescita esponenziale di Kawhi Leonard, MVP delle Finali, e con Marco Belinelli, primo italiano a vincere il titolo, prezioso nelle rotazioni. Un premio per un’organizzazione senza precedenti, capace di rimanere ai vertici praticamente per due decenni. “Non giocheremo mai meglio di quanto fatto nelle ultime tre partite di quella Finale, non succederà” ha detto all’inizio di questa stagione, in effetti più complessa, Gregg Popovich, affiancato ora anche da Ettore Messina, che il 26 novembre è diventato il primo coach non nordamericano ad allenare e vincere una gara NBA.

1. La nuova corsa all’oro

E’ una stagione che dà l’impressione di poter far saltare molti pronostici. Il panorama sta cambiando. In un est senza padroni definiti, stanno crescendo le certezze di Toronto, ma anche la fiducia di Washington e Atlanta che, approfittando dei risultati altalenanti di Chicago e soprattutto Cleveland, si collocano nelle posizioni più alte. Così come stanno facendo ad ovest Golden State, Portland e Memphis, davanti ad una Houston che ha investito tanto, aggiungendo di recente anche Corey Brewer e Josh Smith in un roster già ricco. Molti giovani si stanno esaltando: è il caso di Wall, Davis, Curry e Lillard, solo per citare i talenti più lampanti. E’ la nuova generazione di stelle, quella che illuminerà la lega nei prossimi anni.