Sombor è una città di 85 mila abitanti situata nell’estremo nordovest della Serbia, a pochi chilometri dai confini con Ungheria a nord e Croazia ad ovest. Alle prime ore del mattino del 27 giugno 2014 c’è un ragazzone di diciannove anni, alto due metri e undici che sta tranquillamente dormendo. È completamente ignaro di quello che gli sta succedendo in quei momenti di sonno. A 7110 chilometri di distanza, più precisamente al Barclays Center di Brooklyn, NY, si sta tenendo il Draft NBA. Sul podio ad annunciare le scelte non c’è più il commissioner Adam Silver, ma il suo vice Mark Tatum. È iniziato da non molto il secondo giro di scelte, ed è il turno dei Denver Nuggets. Su ESPN viene mandato un break pubblicitario. Dopo la pubblicità della compagnia assicurativa StateFarm, che ha come testimonial Chris Paul, arriva una pubblicità di un nuovo prodotto di Taco Bell. Nel mentre, compare nella parte bassa dello schermo la scelta di Denver. Nikola Jokić, PF – Serbia. Ma non è al Barclays Center ad aspettare la sua chiamata. Perché è quel ragazzone di due metri e undici che sta beatamente dormendo a casa sua, a Sombor. Non male, considerando che la sua carriera agonistica era iniziata solamente tre anni prima, nelle giovanili del Vojvodina di Novi Sad.

Jokić ai liberi con la maglia dei Denver Nuggets (foto Wikimedia Commons)

Jokić cattura le attenzioni degli scout NBA durante il Nike Hoop Summit, una partita di esibizione che mette a confronto i migliori senior delle high-school statunitensi contro i migliori prospetti under-19 a livello mondiale. Nel Team World di quell’anno, insieme a Jokić, partecipano anche giocatori delle high school che non sono nati negli Stati Uniti. Fanno parte della squadra talenti del calibro di Karl Anthony Towns (nato nella Repubblica Dominicana), Jamal Murray (canadese), Emmanuel Mudiay (nato nella Repubblica Democratica del Congo) e Trey Lyles (canadese). In quella partita Jokić gioca solamente 16 minuti e segna 5 punti, ma l’attenzione degli scout la attira durante gli allenamenti dove mette in mostra gran parte del suo potenziale. Sono particolarmente impressionati i Denver Nuggets che, come accennato poche righe fa, scommettono su di lui.

Ma Jokić non fa subito il grande salto dall’altra parte dell’oceano. Disputa la stagione 2014-2015 nella ABA Liga con il Mega Vizura e vince i premi di MVP e miglior giovane del campionato. La stagione successiva decide insieme al suo agente Miško Ražnatović di fare il grande salto e di approdare ai Nuggets. Il suo adattamento al gioco NBA è velocissimo e in pochissimo tempo si guadagna la fiducia del capo allenatore Mike Malone, che lo farà partire titolare per la maggior parte della sua stagione da rookie. Si guadagna la fama di persona molto scherzosa e alla mano e gli americani ci mettono poco ad affibbiargli il soprannome Joker, data l’assonanza con il suo cognome. Si attira anche alcune critiche da parte dei giornalisti: è troppo lento, salta poco, non è abbastanza atletico. In campo però, sembra di vedere una versione aggiornata di Vlade Divac. Jokić è in grado di portare su la palla e di smazzare assist a chiunque, continua a sviluppare il suo gioco in post sfruttando le sue braccia chilometriche. Migliora tantissimo anche a livello realizzativo, aumentando la portata del suo tiro da tre e trasformandola in una delle armi principali del suo arsenale.

Nikola Jokić difende Kevin Durant durante al finale del torneo olimpico di Rio 2016 (foto Wikimedia Commons)

Arrivano anche le chiamate per la nazionale maggiore serba. Nel 2016 è membro della spedizione di Rio e torna a casa con la medaglia d’argento. Il suo rapporto con la selezione è però al centro di alcune polemiche nell’opinione pubblica serba: nel 2017 è convocato da Saša Đorđević per i campionati europei ma Jokić declina l’invito. Lui dichiara di voler saltare la manifestazione per migliorare il proprio gioco a livello individuale. Diciamo che i media e i tifosi serbi non hanno reagito bene alla notizia. La stessa cosa è successa pochi giorni fa, quando il centro ha dichiarato che non prenderà parte alle Olimpiadi di Tokyo. “Non ho la possibilità di giocare per la nazionale, nonostante il grande desiderio di farlo. Semplicemente, le condizioni del mio corpo richiedono un’assenza più lunga dal campo per poter recuperare. Questo è il punto di vista e il suggerimento della mia squadra [i Denver Nuggets, ndr] ed è una cosa che devo accettare”.

A parte le critiche dell’opinione pubblica per il suo passato con la nazionale serba, Jokić gode di una reputazione piuttosto tranquilla per quello che concerne il suo comportamento fuori dal campo. È una persona con i piedi per terra, che una volta fuori dal parquet pensa poco alla palla a spicchi. Generalmente durante l’off-season torna a casa, a Sombor, per rimanere tranquillo. Tanti sono gli aneddoti che lo vedono protagonista.

Un esempio è quello riguardante la visita dell’head coach dei Nuggets Mike Malone in Serbia, viaggio che ha fatto per conoscere meglio Nikola fuori dal campo. Al suo arrivo all’Aeroporto Nikola Tesla di Belgrado, Malone viene accolto dal fratello Nemanja. Alla domanda su dove fosse Nikola, Nemanja risponde che è da Dream Catcher. Malone, giustamente, chiede cosa sia questo Dream Catcher. La risposta? Il suo cavallo da corsa. Perché una delle passioni di Jokić al di fuori del basket è l’ippica. Ha una scuderia con più cavalli che nel panorama ippico serbo godono di grandi successi. Un altro simpatico aneddoto riguarda un infortunio piuttosto particolare, raccontato dal suo agente Miško Ražnatović in un’intervista a Blic. Quando giocava con il Mega Vizura la squadra organizzava un Kids Day nel periodo delle feste natalizie, dove alcuni giocatori della prima squadra giocavano una partitella con dei bambini. Siccome Jokić era visto come il giocatore migliore e più carismatico, tantissimi ragazzini gli chiesero un autografo. Sembra una cosa da nulla. Ma in quell’occasione, a causa della mole di autografi firmati, gli si infiammò il tendine della mano destra e dovette rimanere fermo una settimana, saltando un paio di partite.

Perché Nikola Jokić è così. Una persona qualunque, arrivata sul palcoscenico più prestigioso del basket mondiale dal nulla. Dal ragazzo che dormiva mentre lo stavano chiamando al draft al primo serbo a diventare MVP della stagione regolare NBA, il terzo europeo di sempre a riuscirci. Tre volte All-Star, vicecampione olimpico e d’Europa. Dal nulla è diventato il punto di riferimento di un’intera generazione.