UPS

Larry Bird – Con colpevole ritardo premiamo Larry Bird per aver ottenuto l’ennesimo traguardo importante in una carriera straordinaria sotto ogni punto di vista. Con la nomina a GM dell’anno, Bird ha completato un grande slam eccezionale che difficilmente potrà venir eguagliato. L’ex ala dei Boston Celtics è infatti diventato il primo a conquistare il titolo di MVP da giocatore, il premio di miglior allenatore dell’anno e quello di miglior GM dell’anno. Chapeau.

San Antonio Spurs – Sembrano abbonati a questa rubrica, ma, in effetti, non potrebbe essere altrimenti. Dopo aver liquidato i Jazz per 4-0, per gli Spurs è arrivato lo sweep anche contro i più quotati Clippers. Certo, Chris Paul, la stella della seconda (ma sarà ancora la seconda?) squadra di L.A., era in condizioni fisiche tutt’altro che perfette, ma ciò nulla toglie ai meriti della squadra texana, che si candida ora, sempre più prepotentemente, al ruolo di favorita per il titolo. La vera forza di San Antonio sta nel coniugare alla perfezione star in grado di risolvere da soli una partita, come un Parker in forma smagliante, un Duncan che pare ringiovanito di cinque anni e un Ginobili capace di fiammate tanto imprevedibili quanto decisive, con giocatori di contorno di alto livello e, soprattutto, in grado di “play the right way”. Danny Green (12,3 punti con il 58% da tre e 4 rimbalzi contro i Clippers) sta dimostrando che il suo posto in quintetto non è solo uno stratagemma per far partire Ginobili da sesto uomo, mentre, a turno, anche i vari Splitter, Neal e Stephen Jackson hanno fatto capire che coach Popovich può contare su di loro. Ma il vero ago della bilancia è Boris Diaw: come centro sarà anche atipico e sottodimensionato, ma è in grado di fare tutto su un campo da basket (7,5 punti, 6,3 rimbalzi, 3 assist e il 57% da tre nella serie) e, soprattutto, ha un’intelligenza cestistica sopra la media. Ora, contro i Thunder, il mismatch con Perkins è evidente, ma il francese ha le carte giuste per poterlo volgere abilmente a suo favore.

Oklahoma City Thunder – Pochi dubitavano che i Thunder fossero una delle prime quattro squadre NBA, ma forse non tutti si aspettavano il “killer instinct” che hanno mostrato nella serie contro i Lakers. Dopo aver dominato gara 1, i Thunder sono stati capaci di recuperare 7 punti in 2 minuti in gara 2; poi, dopo la sconfitta in gara 3, un’altra rimonta, ancora più consistente (seppur più “diluita”) in gara 4, prima del dominio in gara 5, che ha chiuso la serie. Certo, molti sono stati anche i demeriti dei Lakers (vedi sotto), ma non c’è dubbio che i Thunder fanno sul serio e hanno come obiettivo arrivare fino in fondo. Ibaka, Perkins e Sefolosha si sono confermati ottimi elementi difensivi in grado comunque di produrre qualcosa anche in attacco; Harden, nonostante una serie altalenante, è un giocatore su cui coach Brooks può fare completo affidamento, Westbrook un talento offensivo in grado di segnare contro chiunque. E, naturalmente, c’è anche Kevin Durant, sempre più calato nei panni del leader, che “aspetta” la partita e la cambia quando arriva il momento. È stato lui a guidare le rimonte, così come è stato lui a scavare il parziale che ha chiuso gara 5, giocando con estrema tranquillità e fiducia nei propri mezzi, che gli consentono di dominare una gara anche senza segnare o forzare tiri a ripetizione. La finale di Conference contro una squadra come gli Spurs, che hanno un sistema di gioco assai differente, si preannuncia molto interessante.

LeBron James – In queste semifinali di Conference LBJ sta viaggiando a  30.4 punti, 11.6 rimbalzi e 6 assist di media in 41.6 minuti di gioco, il tutto tirando con il 50% dal campo. Cifre mostruose, senza mezzi termini, soprattutto se consideriamo la convivenza con Dwyane Wade, ovvero un giocatore che ha spesso la palla in mano. Se Miami è in vantaggio nella serie deve moltissimo a “The Chosen One”, che ha letteralmente salvato la squadra nel momento più difficile, in gara 4; con Miami sotto 2-1, James ha tenuto la squadra a contatto nel primo tempo, prima di guidarla ad un preziosissimo successo nella ripresa. Impressionanti le sue statistiche finali: 40 punti, 18 rimbalzi e 9 assist, conditi da 2 recuperi e 2 stoppate, il tutto con un fantastico 14/27 al tiro.

Brandon Bass – Forse è un po’ intempestivo inserire in graduatoria il lungo dei Celtics dopo la mediocre prova della scorsa notte (8 punti con 2/12 dal campo), ma Bass si merita un posto negli Ups per quanto ha fatto vedere nell’intera serie contro i Sixers. Unico Celtic, prima di stanotte appunto, a chiudere in doppia cifra tutte le gare giocate, sta tenendo medie di 13,7 punti e 5 rimbalzi nelle semifinali di conference, con la perla dei 27 punti (9/13 al tiro e 9/10 ai liberi) con 6 rimbalzi nella vittoria in gara 5.

DOWNS

Udonis Haslem e Dexter Pittman – I due lunghi di Miami si meritano un posto di rilievo nei Downs di questa settimana per le “porcate” (scusate il francesismo) di cui si sono resi protagonisti in gara 5 della serie tra Heat e Pacers. Il primo ha colpito Tyler Hansbrough, reo di aver commesso un duro fallo contro di lui poco prima, con entrambe le braccia e disinteressandosi completamente della palla. Pittman invece è andato anche oltre: in pieno garbage time, sul +35 per gli Heat, ha visto arrivare in corsa Lance Stephenson (colpevole di aver mancato di rispetto a James in gara 4) e l’ha colpito volutamente con una gomitata che, per fortuna, non ha avuto conseguenze. Come anticipato stamattina (clicca qui), Haslem ha avuto un turno di squalifica, Pittman tre. Ma, oltre al fatto che la squalifica, soprattutto per Pittman, appare piuttosto generosa, resta inspiegabile il fatto che in entrambi i casi gli arbitri abbiano giudicato questi contatti solo come Flagrant Foul di primo grado.

Pau Gasol e Andrew Bynum – Se Kobe Bryant ha sparato a salve nei due finali tirati contro i Thunder, i veri “colpevoli” dell’anticipata uscita di scena dei Lakers sono i due lunghi titolari, che al contrario avrebbero dovuto essere tra i principali punti di forza della squadra. Il primo ha chiuso la serie con 12 punti (contro i 17,4 in stagione), il 44% al tiro, 10 rimbalzi e 2,8 assist; per il secondo, invece, 16,6 punti, frutto di un modestissimo 43% dal campo, e 9,4 rimbalzi (2,4 in meno che in stagione). Ma, al di là delle statistiche, comunque piuttosto indicative, è stato l’atteggiamento dei due lunghi gialloviola a essere letale per i Lakers: Bynum è parso spesso svogliato nella lotta sotto canestro contro il meno talentuoso ma altrettanto “pesante” Perkins, cedendo parecchio a rimbalzo e accontentandosi di conclusioni “da lontano” (nel suo caso 2-3 metri) piuttosto che aggredire il ferro. Il catalano, invece, ha sofferto Ibaka su entrambi i lati del campo ed è parso l’ombra di se stesso soprattutto in attacco, dove, in evidente svantaggio fisico con il “connazionale” (anche se uno è naturalizzato e l’altro è, appunto, “catalano”, di fatto entrambi sono di nazionalità spagnola), non è riuscito a girare a suo favore il mismatch, giocando in maniera titubante lontano da canestro e segnando molto raramente da fuori. È quasi sicuro che in estate uno dei due se ne andrà da L.A., con Gasol come principale indiziato per l’età e per il fatto che, in effetti, già era stato praticamente ceduto per Chris Paul prima di questa stagione, prima che Stern intervenisse per far saltare lo scambio.

DeAndre Jordan – In estate i Clippers hanno dato a DeAndre Jordan un contratto da 42 milioni in 4 anni, una mossa da molti giudicata azzardata; dieci mesi dopo non si può parlare di scommessa, ma di errore. Jordan ha chiuso la stagione con 7.4 punti, 8.3 rimbalzi di media e tantissimi problemi in difesa; nei playoffs però le cifre di Jordan, così come il suo minutaggio, sono precipitate. Il centro giocato una postseason pessima, chiusa a 4.5 punti, 5.3 rimbalzi di media con un imbarazzante 33.3% ai tiri liberi. Per non parlare del fatto che in ogni momento chiave Jordan era seduto e in campo al suo posto giocavano Reggie Evans o Kenyon Martin, teoricamente sue riserve.

Indiana Pacers – Dopo aver giocato tre partite e mezzo ottime, considerando anche il primo tempo di gara 4, qualcosa si è inceppato nella squadra di Frank Vogel che da quel momento ha totalmente spento la luce. Dopo un pessimo secondo tempo, con cui hanno permesso ai Miami di riprendersi il fattore campo, i giocatori di Indiana hanno fatto una bruttissima figura in gara 5 perdendo di 32 punti. Non a caso dopo la partita sono arrivate le durissime parole di Larry Bird che su Twitter ha definito la squadra “soft”. Impossibile non puntare il dito contro Danny Granger che dovrebbe essere la stella della squadra e nella serie viaggia a soli 13 punti con il 36.5% dal campo, senza però perdere l’occasione per attaccare, a parole, Miami ed in particolare Lebron James, che però sta rispondendo alle critiche sul campo in maniera splendida.

Edoardo Lavezzari e Davide Moroni