beltramaVALPARAISO, In – Scomode sedie in ferro. Un distributore di patatine in offerta a un dollaro. Fuori, ghiaccio ovunque. E’ la sala d’aspetto della stazione di Dune Park, un’ora di treno a sudest di Chicago. Siamo soli e abbiamo tempo da perdere, mentre aspettiamo nel silenzio tombale l’arrivo della navetta che ci porterà a Valparaiso University.

E così guardiamo con un ghigno gli aironi dipinti su una parte della stanza, in un murales che include Lake Michigan e una spiaggia dalle patetiche fattezze tropicali. La timida atmosfera wild di questo luogo viene dall’Indiana Dunes State Park, la riserva naturale situata tra la ferrovia e la sponda del lago. In realtà, Dunes Park è il luogo dove ogni illusione bucolica su Chicago e la sua area va in mille pezzi, quando si arriva alla suddetta spiaggia e si trova l’orizzonte chiuso da due ciminiere mostruose e fumose, icona dell’industria pesante che domina in tutto il northern Indiana. Per ogni turista imberbe (noi pure, ai tempi) è la fine di un sogno, tenuto vivo da volantini al limite della truffa, che ritraggono la spiaggia senza camini e spacciano questo luogo per un’imperdibile meraviglia naturale. Vaghiamo nei ricordi fino a quando un furgoncino scassato compare nel parcheggio, guidato da un autista dal capello lungo e bianco. Bisogna sborsare un dollaro, da buttare direttamente dentro una favolosa scatola trasparente montata a fianco del posto di guida. Come le offerte in chiesa, anzi meglio. Pagato l’obolo si può partire, destinazione Valparàiso. Con l’accento giusto, prima che qualcuno pensi che siamo andati in Cile.

Il menu prevede, fra le altre cose, Valparaiso-Milwaukee, attesissimo scontro del venerdì sera NCAA. Diciamo che su ESPN, al momento, stanno facendo vedere altro. Ma è mai stato un problema? Arriviamo alla partita con la consueta ora e mezza di anticipo, manco dovessimo giocare noi. E’ così presto che nel parcheggio dell’arena un SUV con la musica a palla ci fa il pelo, prima di infilarsi in un buco tra due altre vetture. Dalla macchina scenderà Roger Powell Junior, attuale assistente allenatore di Valparaiso che abbiamo sostanzialmente battuto sul tempo nell’arrivo al palasport. Powell è noto ai più come il Reverendo, oppure l’ex stella di Illinois, oppure l’ex americano di Teramo nella stagione 2007-08. Comunque la si voglia mettere, un personaggio di spessore.  Ne riparleremo tra qualche riga, promesso.

Dentro l’arena troviamo gli spalti ancora vuoti, e ne approfittiamo per riempirci almeno noi, con della sontuosa pizza di Papa John’s offerta ai quattro (esattamente quattro) giornalisti accreditati. Sopra di noi, si alternano sul tabellone elettronico pubblicità di olii per motore, rivenditori d’auto e cliniche mediche francescane. Dopo due mesi  quasi ininterrotti di United Center, sembra di essere tornati all’oratorio, e nessuno ha detto che sia un male.  Su un tavolo precario, montato supra l’ultima fila di tribune, un anziano personaggio, più sugli ottanta che sui settanta, osserva il riscaldamento dei giocatori. Ha una felpona giallo squillante griffata Valpo e un quaderno su cui scrive, scrive, scrive incessantemente. “Mi chiamo Paul Curtis, ma mi chiamano tutti coach, anche se non alleno”, si presenta quando ci avviciniamo, ancora prima che noi apriamo bocca. In luoghi come questi, una faccia nuova e un inglese con un po’ di accento straniero non passano mai inosservati.

“Però negli anni ’80 allenavo con Gene Keady a Purdue”, aggiunge, mentre noi dobbiamo ancora sostanzialmente aprire bocca. “E lo sai che ero in panchina la sera in cui Bob Knight tirò la sedia in campo? Ti ricordi di quando Bob Knight tirò la sedia in campo?” No, non possiamo ricordarci. Del resto, saremmo venuti al mondo solo qualche mese dopo l’episodio (per gli imberbi veri, 23 febbraio 1985,  http://www.youtube.com/watch?v=7Qxu5cvW-ds). Però conosciamo l’episodio, annuiamo e ascoltiamo. Anche perchè il monologo, al netto di qualche sputo tra una consonante e l’altra, promette bene. Non capita tutti i giorni di sentire testimoni di un eventi di questa portata storica. “Ecco, let me tell you this. Nessuno dice che prima della partita i tifosi di Indiana avevano tirato delle monetine. Vergognoso. E lo sai che Knight non aveva alcuna ragione di lamentarsi? No reason at all.” Annuiamo ancora, fingendoci simpatizzanti di Purdue. Il coach contuinua, inarrestabile. Ci dice che quando allenava, su 8 incontri con Knight Purdue ne vinse ben 6. Ci spiega il suo attuale ruolo (o presunto tale) per lo staff tecnico di Valparaiso. “Faccio lo scouting dello scouting. Perchè agli assistenti in panchina sfugge sempre qualcosa. E aggiungo appunti, note, commenti. Gli allenatori hanno tendencies, come i giocatori. Hanno bisogno di qualcuno che li tenga d’occhio” ammonisce, serissimo. Ci fa capire che, se non ci fosse lui, a Valparaiso non vincerebbero nemmeno una partita. contro una squadra di Division III. “E’ 50 anni che vedo basket, lo so capire quando un passaggio in più  rovina tutto un attacco. Faccio sempre trovare i miei commenti al coach la mattina dopo, li lascio direttamente nella sua casella di posta”.

Poche ore dopo verremo a sapere da Simone Donei, al momento membro aggiunto nello staff di Valpo oltre che collaboratore di DailyBasket, che coachCurtisè un personaggio ai confini del mito. E’ sempre lì, quaderno e penna, allenamenti e partite. Una volta si presentò in un momento in cui le tribune erano state smontate, e gli allenatori gli procurarono immediatamente una poltrona su cui potesse sedersi per annotare i suoi pensieri durante l’allenamento. Lui non fece una piega. Si sedette e iniziò a scrivere, sbuffando come al solito quando un gioco offensivo veniva eseguito male. Sbuffando come solo chi ha visto Knight tirare una sedia può fare. Unico dettaglio, nel suo monologo coach Curtis si era dimenticato di dirci il motivo per cui la sua esperienza a Purdue era durata solo quattro anni, dal 1982 al 1986. Furto di vestiti in un supermercato di Elkhart, Indiana. Lincenziamento immediato. Evidentemente, preso dai ricordi delle sedie volanti, si era distratto. Come lo zio di Johnny Stecchino.

Ma Valpo non è solo terreno fertile per macchiette ai limiti della realtà. E’ anche un luogo di tradizione cestistica vera, costruita negli anni da coach Homer Drew, uno dei più rispettati condottieri della nazione, nonostante non sia mai andato oltre le Sweet 16. Dopo il ritiro di Drew Sr., da due anni ha preso il comando delle operazioni il figlio Bryce. L’uomo che, per l’appunto, con un canestro allo scadere leggendario mandò Valpo alle Sweet 16, guadagnandosi una fetta di immortalità tra le vie della cittadina. Avrebbe poi trascorso una modesta carriera come specialista di tiro in NBA e pure in Europa (poche partite a Reggio Calabria nel 2004), prima di intraprendere la carriera da head coach, ora giunta al secondo anno dopo sei anni da assistente. La sua squadra gioca un basket piacevole, improntato all’altruismo. E dopo che Butler se ne è andata via dalla Horizon League, il sogno di tornare al torneo NCAA quest’anno è decisamente a portata di mano, dopo che l’anno scorso sfumò proprio all’ultima partita, persa in casa con Detroit.

Dipenderà molto dalle prestazioni di Ryan Broekhoff. Senior, guardia australiana, fisico esile, tiro mortifero, gran controllo del corpo in entrata. Uno degli ultimi tagli degli Aussie per Londra 2012. “Perfetto per l’Europa. Un po’ lento per la NBA” commenta Jim Clibanoff, scout NBA seduto al nostro fianco durante la partita. Anche se, poi, viene sempre da chiedersi cosa significhi esattamente “perfetto per l’Europa”, vista la grande diversità di stili e livelli presenti nel vecchio continente. Quel che è certo è che Broekhoff a basket ci sa giocare per davvero, a livello di fondamentali e comprensione del gioco, anche se dal punto di vista difensivo la mancanza di atletismo e la ridotta mobilità laterale lasciano qualche dubbio sul fatto che possa davvero arrivare ai massimi livelli, anche a livello di Eurolega. L’altro pilastro dei Crusaders è Kevin Van Vijk, anche lui senior, armadio olandese con movenze da centro, nonostante un’altezza non straordinaria (2.05, che diventerà verosimilmente 2.01 in tempi di draft). “Occupa spazio, gli verrà data una chance in NBA, e poi si accaserà al piano di sotto” è la profezia di Clibanoff. Di sicuro interessa già agli agenti europei. Anche a quelli italiani, al punto che un noto procuratore della nostra penisola è stato avvistato da queste parti solo due settimane fa. Avrà chiesto un parere a coach Curtis?

Powell ai tempi di Illinois

Powell ai tempi di Illinois

A proposito di Italia. Al fianco di Drew, in panchina, si staglia un’elegante sagoma. Che arriverà pure al palasport con la musica a palla, come un tamarro qualsiasi, ma nel resto delle cose è quanto di più compunto e composto si possa trovare. E’ Roger Powell, noto anche come “The Rev”, il reverendo. La sua carriera da assistente allenatore è iniziata due anni fa, a soli ventott’anni. “Trovavo più motivante allenare che giocare. Era una chiamata di Dio per potere guidare i più giovani sulla strada del bene”, ci racconterà a fine partita. Reverendo, del resto, non è un nome a casaccio. Già ai tempi del college era pastore di una parrocchia della chiesa di Family Harvest a Joliet, la città industriale vicino a Chicago in cui è cresciuto. E, oggi come allora, non c’è momento in cui manchi di manifestare la propria fede Allenamenti, pranzi, raduni, riunioni pre e post partita. Nell’anno in Italia, fu protagonista di una conferenza su giovani e fede assieme al vescovo di Teramo, che ricorda ancora con grandissimo piacere. “The Bishop? Man, kind of cool”.

La partita è finita da un’ora. Mentre aspettiamo che si liberino i coach per un ultimo saluto, compare Tara, moglie del Reverendo Powell. “Ho sentito che c’era in giro un italiano, sei tu?”. Le voci corrono in fretta, a quanto pare. Tara parla di Teramo, con la stessa espressione un po’ sognante e un po’ ebete che aveva il marito. Quel classico entusiasmo paternalistico di molti americani quando parlano dell’estero, che ti spinge a chiederti se ci sono o ci fanno, salvo poi concludere che, in fin dei conti, rispondere alla domanda non è poi così importante. “Era impossibile trovare qualcuno che parlasse inglese. Un incubo all’inizio. Poi però riuscii a capire quanto fosse ospitale quella gente”. Annuiamo. “E poi c’era la pasta più buona del mondo. Homemade, la buttavi in acqua e in un minuto era pronta. Anzi, domani vado a Chicago apposta per prenderne un po’”.

Povera Tara. Non ha altra scelta. A Valparaiso, del resto, l’unica cosa homemade sono gli appunti di coach Curtis, oltre alla pallacanestro della famiglia Drew. Eppure, per quanto ci riguarda, bastano a renderci contenti, mentre ci disperdiamo nelle gelide vie di Valpo alla ricerca di un hamburger tutt’altro che fatto in casa. Downtown è fatta di 5 ristoranti e 3 negozi, concentrati in cento metri. Mentre ci facciamo strada sotto una fitta nevicata, ci rendiamo conto che anche questa volta l’Indiana, con la sua neve e le sue storie di basket, ha colpito nel segno. Strano, perchè in fondo la pasta all’uovo ci è sempre piaciuta un casino.

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