beltramaDomenica di Pasqua a casa, anzi sulla scrivania, fingendo di lavorare. Un po’ perchè, purtroppo, a garantire il pane quotidiano non è il basket, per quanto vorremmo che fosse così (o forse no, non abbiamo ancora deciso). E un po’ perchè l’ultimo weekend a Philadelphia è stato così intenso, concentrato, dispendioso ed esaltante che non ce l’avremmo fatta a gestirne un altro simile (in realtà anche su questo non abbiamo ancora deciso).

Come è, come non è, ci siamo ritrovati a metà pomeriggio dividere lo sguardo tra computer e tv, pieni di pasta al ragù e di altre perle gastronomiche di un pranzo di Pasqua tra emigranti. Appena in tempo per la palla a due di Duke – Louisville.

1-      Non si può non iniziare dall’indescrivibile episodio occorso a 6 minuti dalla fine del primo tempo. Tre giocatori di Louisville accasciati, i telecronisti vittima di improvviso mutismo, un silenzio che si taglia a fette. Chiarirà tutto il replay successivo, uno dei pochi mostrati dalla CBS: cercando di chiudere su un tiro da tre di Duke, Kevin Ware atterra in maniera assurda sul parquet, e si distrugge, letteralmente, una tibia. Non arrivano inquadrature precise, ma è sufficiente uno sguardo approssimativo per vedere l’osso piegato ad angolo retto, come nel più sadico dei fumetti.  I soccorsi durano dieci minuti buoni, durante i quali si assiste a scene francamente mai viste prima: facce imbalsamate, facce disperate (quella del compagno Russ Smith su tutte), facce in lacrime. Sembra che tutto si sia fermato, anche il mondo esterno, che non sa nemmeno che questa partita si stia giocando. Su Twitter, intanto, esplodono i pensieri. Che, di impatto, dicono tutti la stessa cosa: “mai vista una roba del genere”. Già, perchè se infortuni di questo tipo sono già capitati, è la prima volta che ne capita uno a) davanti a 50mila spettatori, b) in una partita sparata in diretta su una delle maggiori reti nazionali; c) in un incontro che, sostanzialmente, vale quasi quanto una Final Four. E’ l’immagine inquietante, il presente dilatato, il dramma della diretta vissuto collettivamente che spedisce tutto questo in una dimensione surreale, e rende l’evento decisamente unico.  Anche per chi, come i giornalisti di ESPN e Sports Illustrated, guardano 50 partita dal vivo all’anno.

2-      Se l’episodio in sè è stato eccezionale nella sua drammaticità (ancora più che nelle sue conseguenze), altrettanto estremi sono stati gli stati d’animo che ha scatenato. L’ondata di solidarietà verso il giocatore, certo, anche da parte degli avversari. Ma soprattutto una sorta di curiosa ribellione collettiva e preventiva verso la copertura mediatica della vicenda. Chi prometteva Twitter unfollowing per chiunque diffondesse dei video dell’episodio. Chi si è scagliato contro chi, come Pete Thamel di Sports Illustrated, ha messo subito online un pezzo contenente alcune controversie sul passato del giocatore. Chi si augurava che non venissero nemmeno più mostrati replay dell’episodio sulla CBS. In sostanza: reazioni lodevoli, e con le quali è facile essere solidali, visto che anche noi, seppur in maniera vicaria, abbiamo vissuto la diretta di quel dramma. Però, a mente un po’ più fredda, resta curiosa tutta questa improvvisa ostilità verso i media, divenuti giganti voraci che speculano sulle vicende altrui. Come se fossero qualcosa di diverso.  CBS, SI, ESPN e tutti gli altri colossi sono, di fatto, organizzazioni a scopo di lucro che vendono un prodotto, di cui noi siamo i consumatori. Nulla di male, nulla di immorale, ma la realtà è questa, infortuni o non infortunio. Anzi, tutta la NCAA, dietro alla retorica degli student-athlete, è una gigagtesca macchina da introiti. E infatti, sull’infortunio a Ware si è spinto, e parecchio. Dalla narrazione in stile “tutti per uno uno per tutti” che è emersa in molte cronache delle partite, all’enfasi sull’impatto psicologico della vicenda sui compagni. Come se a battere Duke, in primo luogo, non fosse stata la difesa asfissiante o la fantasia al potere di Russ Smith e Peyton Siva, piuttosto della (comunque presente) reazione mentale alla perdita del giocatore. Concludendo: comprensibile lo shock; comprensibile, e bella, la solidarietà; forse un po’ talebane certe posizioni. Al punto che, anche senza replay ossessivi, i media hanno abbondantemente spinto su quanto successo, confezionando uno dei loro romanzi perfetti. Giustamente, perchè è successo un fatto eccezionale, e perchè è il loro lavoro.

033113-ware-kevin-6003-      Giusto, la pallacanestro. Onore  Pitino, e alla convinzione nelle sue idee. Questa Louisville è quando di più a sua immagine e somiglianza possa esistere. Intensità esasperata, corsa, atletismo, occhi sempre bassi sul parquet. Ci sta pure che il tutto vada a discapito dell’esecuzione e della lucidità offensiva, soprattutto se questa strategia porta l’avversario a essere ancora meno lucido di te.  Se parliamo di qualità di esecuzione, questi Cards sono ben inferiori a Duke, a Michigan, a Syracuse e almeno ad altre tre-quattro squadre eliminate in precedenza. Ma quando si è trattato di togliere respiro all’avversario, scombinandone il gioco, sono stati i migliori di tutti. Almeno sinora. Certo, aiuta avere due creativi un po’ pazzoidi come Smith e Siva – e i creativi pazzoidi Pitino li ha sempre avuti, da Antoine Walker a Edgar Sosa –  soprattutto se ispirati come nella partita di ieri sera. Più interessante sarà vedere cosa ne uscirà in una partita in cui i due funamboli sono meno in vena, e la difesa ti costringe e pensare di più. Ad esempio, una partita contro Syracuse, che ti obbliga per forza a giocare in modo diverso. La sensazione è che tra le due squadre ci sia un abisso a favore dei Cards ora, ma la stagione dice 1-1, e un’ eventuale finale del genere avrebbe esito meno scontato di quanto si pensi.

4-      La vera impresa di giornata, però, l’ha fatta un’altra Louisville. Quella delle Lady Cards, se ci passate il termine, che hanno incredibilmente battuto la corazzata Baylor,reduce da 74 vittorie negli ultimi 75 incontri. Una vittoria sensazionale, considerata la disparità delle forze in campo e l’arma quasi illegale che ha Baylor in Brittney Griner, un lungo che, fatte le dovute proporzioni, ha una dominanza fisica sulle altre paragonabile a quella di Shaq dei tempi dei Lakers. E che mette pure i liberi. La partita è stata offerta in diretta da ESPN2, e ci ha fatto divertire a livelli insospettabili. Un po’ per il finale alla rinfusa, con Baylor che ha rimontato 20 punti in 4’ e ha sorpassato a 9 secondi dalla fine, prima di venire trafitta dalla lunetta a fil di sirena. E un po’ per il contesto che ha accompagnato il finale di partita. Tre arbitri che non hanno capito assolutamente nulla, rovinando la partita con due o tre fischi da inchiesta. L’allenatrice di Baylor, fermata da tre assistenti mentre tentava di saltare addosso ai direttori di gara. Più urla, grida, scenate a ogni possesso, oltre a una quantità di colpi proibiti che in una partita maschile avrebbero suscitato reazioni ben più clamorose. Insomma: c’è stata suspense, ma ci sono stati anche momenti che ci hanno ricordato uno dei nostro campionati di promozione, almeno a livello di atmosfera (sull’aspetto tecnico non mettiamo becco). Anche noi, in qualche modo, abbiamo vissuto momenti di delirio del genere, nelle nostre gloriose carriere da giocatori. E proprio questa immedesimazione è un ingrediente che rende la March Madness speciale, sia nel maschile che nel femminile: avere un’empatia di base che nelle finali NBA di solito non si prova, visto che è più dfficile immaginarci mentre mettiamo a sedere Bryon Russell e segnamo a fil di sirena il tiro che vale il titolo. Il che non significa assolutamente che Louisville-Baylor di questa sera sia meglio di Jazz-Bulls del ‘98. Tanto per chiarire, e per non farvi venire il dubbio che questo pazzo Marzo di abbia fatto definitivamente ammattire.

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