beltramaSurreal. Chase Fieler, ala di Florida Gulf Coast, riesce solo a ripetere quella parola, mentre si trova a gestire in un secondo più telecamere di quante ne abbia mai viste in vita sua. E’ senza voce, ubriaco di emozioni.  Man, it’s just surreal. Qualcuno potrebbe dargli torto? Assolutamente no, perchè è proprio questo il modo migliore per fotografare l’indimenticabile notte di college basket andata in scena al Wells Fargo Center. Una domenica  in cui si è ritoccata la densissima storia della March Madness. E non certo per modo di dire.

C’è ovviamente il record che fa godere i feticisti delle cifre, l’ossessivo “prima volta che un seed n. 15 arriva alle Sweet 16”. Prepariamoci, perchè ci accompagnerà in ogni Sports Center fino a giovedì prossimo. Nell’ora successiva alla sirena di Florida Gulf Coast-San Diego State, il mantra è stato ripetuto all’inizio di ogni frase, ogni domanda. Ma per una volta non ci facciamo trascinare nella solita polemica contro la dittatura dei numeri, e stiamo tranquilli al nostro posto. Perchè quanto successo questa sera è stato davvero storico, per quanto l’importanza di seeding e rankings resti oscenamente sopravvalutata. E allora proviamo a mettere un po’ di ordine nei pensieri e a spiegare perchè questa serata enterà nella storia, almeno secondo quanto visto con i nostri occhi dentro e fuori dal campo. Anche se, per certi versi, ci sentiamo tanto esausti, fisicamente ed emotivamente, quanto i giocatori di FGCU.

1)      FOLLA –  Il torneo NCAA è famoso per la componente folkloristica dei suoi pubblici. Solitamente un bel minestrone di studenti, bambini, mamme, nonne, più stimati coach ottuagenari che hanno allenato qualche giocatore di quelli in campo alle elementari e si sentono responsabili del loro successo. Ma il contingente a supporto di FGCU è stato qualcosa di inedito, che ha ridefinito il modo di tifare. Hanno iniziato a fare casino un’ora prima della partita con Georgetown, e hanno smesso un’ora dopo quella con SDSU. E per casino si intende casino vero: cori, incitamenti, ole, più frequenti po-po-po-po-po-poooo-pooo che ci hanno fatto tornare indietro al Mondiale di Germania. Prima dentro e poi nei corridoi dell’arena, in cui la festa è continuata ampiamente dopo la vittoria. Chi usciva dall’arena si è fermato a fare foto al quelli che, davanti al banchetto dello zucchero filato, cantavano ancora in gruppo “Sweet 16”. Erabo un’attrazione nell’attrazione, qualcosa che ha veramente colto nel segno. E, cosa cruciale per l’andamento della partita, l’entusiasmo ha contagiato tutti gli altri presenti (meno i tifosi delle avversarie, chissà perchè), al punto che nel secondo tempo tutta l’arena tifava per gli Eagles. Non simpatizzava, tifava proprio, come se si giocasse a Fort Myers. Eravamo a bordocampo quando Butler e VCU arrivavano in finale, nel 2011. C’era ovviamente gioia nell’aria, ma mai a livelli di questoi genere.   Nemmeno lontanamente.

2)      ALLEY-OOP – Brett Comer  e i suoi temerari compagni hanno rivisitato il concetto di di alley-oop. Che di solito è una giocata che coglie nel segno perchè estemporanea, rara. E invece gli Eagles l’hanno usata sostanzialmente un’azione sì e una no, come un banale pick and roll. E tra l’altro in un modo assolutamente mai visto. “Comer lancia la palla in aria. Io non sono mica sicuro che sia diretta a me. Nel dubbio salto e provo a prenderla” ha detti Eddie Murray, ala di 2.03 che ha schiacciato in maniera pirotecnica un paio di queste frittate volanti nel finale della partita contro Georgetown.  E in effetti, questa è proprio anche la sensazione che si aveva dagli spalti. Una palla buttata nel mezzo, come un cross calcistico. Ci si aspetta la palla persa, e invece arriva qualcuno a schiacciarla dentro. Sorpresa e spettacolo, mentre Fort Myers, sede del campus, è già stata rinominata Dunk City.

jpFGC-articleLarge3)      CHAMPAGNE – In generale, lo stile di gioco degli Eagles è stato quanto di meno consono e usuale per una squadra che parte sfavorita. Di solito chi parte così svantaggiato, ha due modi per vincerla. O ha Stephen Curry e gli chiede di segnare 40-45 punti. Oppure gioca a fare una partita ai 45 punti, tenendo sempre la palla e sperando che gli avversari abbiano una serata nefasta al tiro. Il concetto del giocare per lo zero a zero trapiantato nel basket, insomma. E invece FGCU ha giocato a viso più aperto che mai. Contropiede, transizione, penetra e scarica, grandissima pressione sulla palla. Alla faccia dei tatticismi. E ha vinto proprio con queste armi, tritando l’altra squadra in un ritmo a cui non era proprio abituata a giocare. Soprattutto Georgetown. E’ stata anche, e forse soprattutto, una vittoria tattica.

4)      MISTERO – E poi c’è l’aspetto mediatico/nazionalpopolare. L’affascinante trauma di passare dall’oblio alla gloria globale nel giro di 48 ore. Qui non stiamo parlando di Butler o VCU, scuole con tradizione e storia, capaci di tirare una zampata dopo anni di tentativi credibili. Stiamo parlando di un’università che ha ammesso il suo primo studente nel 1997 (!), e che mai prima di oggi era arrivata al torneo NCAA. Nessuno conoseva alcun giocatore. Gli spettatori neutrali, quando cominciavano a schierarsi, chiamavano i giocatori con il loro ruolo. Comer era “the guard”. Murray “the forward”. Thompson “the shooter”. Altri li chiamavani per numero. Come un ordinario coach del campionato Under 15 regionale lombardo, che assegna le marcature ai propri ragazzi. Persino i colossi si sono mostrati impreparati. La CBS ha persino sbagliato lo spelling, mostrando in diretta un censurabile Florida Golf Coast. Steve Fisher, allenatore di San Diego State, ha parlato con noncuranza di “Florida State” davanti alle telecamere. Come se, quando il Chievo Verona era andato in serie A, un allenatore avversario a caso lo chiamasse “il Verona”. E’ un lapsus che racconta meglio di ogni altra cosa quanto esotica e poco abituale sia la presenza di questo college sulla scena. E’ quello che succede in questo meraviglioso torneo, in cui prospettive opposte si trovano contro. Chi è già verso l’NBA,  e chi invece, ben che vada giocherà in qualche oscuro campionato a 50mila dollari all’anno.

sp-hoyas_01613640050905)      SURREALISSIMO – Infine, l’aspetto più surreale di tutti. Dopo la nostra chiacchierata con il vicino di montagne Cristophe Varidel – che, per inciso, contro San Diego State ha fatto una partita sontuosa –, siamo finiti addirittura su un pezzo di un giornalista a seguito degli Eagles che è stato ripreso da….US Today! Incredibile ma vero, ecolo qui, con tanto di virgolettato nostro personalmente di persona. http://www.usatoday.com/story/sports/ncaab/2013/03/23/florida-gulf-coast-upset-media-darlings/2014251/  C’è anche il quote sui tweet delle 4 am, dedicato a tutti quelli che sacrificano il sonno per guardare queste partite, formando un’invisibile e solida comunità. Interessante, tra le altre cose, che siamo stati insigniti del titolo di “uno degli international media”, manco qui a Philadelphia ci fossero altre 20 testate europee interessate all’evento. In realtà, come sempre, siamo solo noi, e più a titolo personale che giornalistico. Il resto, è tutto made in USA. La NCAA continua a interessare relativamente poco fuori dai confini nazionali. E alla NCAA, per converso, interessa pochissimo farsi conoscere fuori dai propri confini. Vabbeh, noi facciamo come il calabrone che non sapeva di essere troppo pesante e continuava a volare. Continuiamo a venire qui e a divertirci come dei disperati. Non ci sentiamo di dover chiedere di più, soprattutto dopo una giornata come oggi. Da domani torneremo a chiedere a Thibodeau quando torna Derrick Rose.

Ah, ci sarebbe stata anche una seconda partita, dopo Florida Gulf State-San Diego State. Duke ha battuto nettamente Creighton grazie a un sontuoso Seth Curry, sbattendo fuori dal torneo l’idolo Doug McDermott e avanzando meritatamente alla Sweet 16. Ma di questo, e di altre cose, parleremo nei prossimi giorni. Si ricomincia giovedì. Accumulate sonno, che ne varrà la pena.

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