Devo farvi una confessione. Quando ho cominciato con questo blog ero sicuro che vi avrei scritto solo di basket, visto che ero conosciuto, appunto, come telecronista di basket e alcuni pensavano che ne sapessi abbastanza per poter dire la mia. Poi è passato il tempo ed abbiamo, con mia, devo dire, enorme gioia, a parlare di altro, di cose anche molto importanti sulle quali penso sia necessario avere le idee chiare, o comunque più focalizzate dopo una franca discussione fra persone intelligenti con visioni diverse, per potersi fare un idea migliore, ma soprattutto più informata e approfondita, sulle cose che succedono al mondo e perché succedono.

Tutto giusto e vero, però che si continuasse a parlare di basket mi sembrava che non potesse essere mai messo in dubbio, visto che è stato proprio il basket ad avvicinarci, sport del quale tutti noi siamo (? – il punto è proprio questo) innamorati.

Il dubbio mi sta venendo adesso. Onestamente mi sento impreparato per parlare di basket, visto che è in questo momento l’ultimo dei miei interessi. Mai pensavo che potesse succedere, ma è successo. Ci sono le partite del Campionato italiano. Provo a guardare per qualche minuto e poi cambio canale o addirittura mi guardo qualche vecchia puntata registrata di Castle che, per quanto ormai conosca le battute a memoria, mi diverte comunque di più. Non sapevo neanche che fosse cominciata l’Eurolega, fino a che non ho letto quanto hanno scritto Buck e Leo. Poi ieri vedo che danno su Eurosport 2 CSKA-Maccabi. Perfetto, mi dico, me la guardo, così me ne faccio un’opinione. Faccio un lungo zapping, tanto, mi dico, mi basta e avanza il secondo tempo, poi quando finalmente giro mancano sei secondi alla fine e vedo il CSKA vincere. L’unica cosa che noto è che nel dopopartita mi sembra di vedere Šengelija con la maglia del CSKA. Può essere? Per dire dell’interesse spasmodico che provo. Sì, ma ci sono le finali dell’NBA. Incredibilmente sono quelle che hanno tutto sommato risvegliato il massimo del mio interesse, se non altro perché nella finale all’Est fra Miami e Boston mi è sembrato in certi momenti di cogliere scorci di basket, soprattutto in Miami. Non credevo di vedere oggidì una squadra NBA in cui i giocatori sembrano sapere quanto ci si attende da loro. E poi con Dragić, che ovviamente non è una sorpresa, ma anche con Adebayo e Herro, che loro sì sono stati sorprese per me, in quanto non pensavo che nell’anno di grazia 2020 ci fossero ancora giocatori di basket, nel senso che conoscono le priorità di cosa bisogna fare in campo per aiutare la propria squadra, di scuola americana, è successo che anche Butler si limitasse a fare le cose che sa fare meglio senza farla fuori dal vaso volendo fare cose che non sa fare. E infatti limitandosi a fare le cose che sa fare meglio è stato molto, ma molto bravo. Tanto di cappello a un giocatore che fino a qualche tempo fa pensavo fosse un emerito idiota.

Poi arrivano le Finals e vedo che nella prima partita si fanno male proprio Dragić e Adebayo. Mollo un’imprecazione, per usare un blandissimo eufemismo, e il mio interesse svanisce completamente. Fra l’altro se i Lakers, con lo strapotere fisico allucinante che hanno, hanno anche perso una partita, come dicono, e un’altra ne hanno vinta a malapena (era però tornato Adebayo, o sbaglio?), devono essere cestisticamente dei profondi cessi, oppure semplicemente non hanno un manico umano che li guidi. Ho letto con grande divertimento che nella finale di Conference le hanno tentate tutte per tenere a galla Denver mettendo in campo a ripetizione quintetti piccoli. Geni, niente da dire. Ai miei preistorici tempi, quando vivevamo nelle caverne cestistiche, la nostra idea era che, se avevamo più lunghi degli avversari, mettendoli in campo la partita l’avremmo vinta di pura potenza, semplicemente dando loro la palla sotto canestro e prendendo tutti i rimbalzi, soprattutto quelli in attacco, stratagemma finissimo che sembra essere stato dimenticato, visto che nell’NBA moderna andare a rimbalzo in attacco sembra un optional. E, incredibilmente, funzionava sempre! Senza alcuna eccezione.

Per cui ora anche l’NBA è per me l’ultimo dei miei attuali interessi sportivi. Ovviamente seguo il ciclismo, anche il Giro d’Italia dopo essermi goduto la Liegi, definita dal sito sportivo della TV slovena un altro campionato sloveno open. Purtroppo per il Giro lo hanno fatto entrare nel giro di Europa League, dopo aver riservato la Champions’ al Tour e alle classiche del Nord, e in più si sono fatti male in modo assurdo tanto Lopez che soprattutto Thomas, per cui di veri corridori ce n’è ben pochi, ma tant’è. Poi c’è il Roland Garros. Scrivo prima della finale femminile, per cui non so come andrà a finire. L’unica cosa certa è che ieri, guardando la semifinale, mi sono venuti dopo tantissimi anni i brividi a vedere una vera grande campionessa che sta sbocciando dopo tantissimi anni nei quali anche una nonnetta obesa come Serena Williams poteva ancora dettare legge nel panorama desolante che c’era. Cosa dicevate della Swiatek (Svjontek, come Piontek – se vi sembra difficile, chiamatela pure Santin, che sarebbe la traduzione del suo cognome) quando doveva incontrare la bravissima e commovente Trevisan? Che era un match aperto? Con una che aveva ridicolizzato per manifesta superiorità la numero uno mondiale? Una che ha un fisico bestiale, che ha tutti i colpi, che ha un gran servizio, che picchia sempre con grande anticipo tenendosi ben ancorata alla linea di fondo e che dunque domina tutti gli scambi concludendoli con puntuali discese a rete, e che, tanto per non farsi mancare niente, ha una straordinaria lucidità tattica e un grandissimo carattere, con un vero e proprio killer instinct da super campionessa. Ora in finale può anche perdere, anche se ritengo che anche la finale dovrebbe essere una strada a senso unico, contro quella “spinazza” come diciamo a Trieste, o “ziherašica”, come dicono in Jugoslavia, nel senso che in campo prende tutto quello che le concede l’avversaria senza mai fare quasi nulla di suo, della Kenin. Però rimane il fatto che finalmente c’è una tennista che vale la pena guardare in sé, per come sa giocare in modo fantastico a tennis.

Tornando al basket mi interessa moltissimo il dialogo fra Fabrizio e Andrea Llandre sul regolamento. Vorrei dire la mia, perché mi sembra che in tutto questo discorso si stia un po’ perdendo il filo. Io partirei da tutto un altro punto di vista. Il basket è un gioco che ha le sue regole, come tutti i giochi. Ora, da quanto ne so io, il Codice civile che regola il basket si chiama Regolamento tecnico del gioco della pallacanestro. E, come tutte le leggi, il Regolamento tecnico non si interpreta, ma si applica. O almeno si dovrebbe farlo. Per esempio, cosa recita alla lettera il Regolamento in merito ai passi in partenza, a quale e perché sia in ogni caso il piede perno? Non so se il Regolamento sia quello dei tempi andati quando feci io il corso di allenatore (50 anni fa!), ma non è questo il punto. Quello che dice il Regolamento, quello è. Punto. Non si accettano discussioni, né tanto meno interpretazioni. Non ha creato vantaggio, dunque sorvolo. Attitudine secondo me totalmente nefasta. Immaginate solamente se fosse in uso anche nelle cose di ogni giorno nel campo dei comportamenti umani. Sarebbe il caos completo. Perché, seppur in presenza di tanti casi nei quali si potrebbe anche sorvolare, ci sarebbe la stragrande maggioranza dei casi dubbi nei quali sorvolare porterebbe ad una zona grigia nella quale ciascuna delle parti coinvolte potrebbe, a ragione, avere la certezza di essere dalla parte del torto subito. La legge serve per quello. Per fare chiarezza. Dura lex, sed lex. Dovrebbe valere tanto più in un gioco sportivo dove non ci sono in ballo valori importantissimi quanto la libertà individuale o magari il salasso di una multa. Che sempre soldi sono. Tornando al basket, non riesco a capire quale sia la differenza fra un’infrazione di passi in partenza o quella del piede che calpesta la riga del campo. Se uno mette la punta dell’alluce sulla riga o si vede declassare il tiro da tre a due punti perché ha calpestato impercettibilmente la linea del tiro da tre, nessuno protesta. E’ così, e basta. E perché allora, di grazia, quando uno solleva il perno prima di palleggiare può essere perdonato? Forse perché è molto più difficile vederlo? Amici arbitri, nessun medico vi ha ordinato di andare ad arbitrare. Se lo avete fatto, allora dovete anche essere capaci di vedere questo tipo di infrazione. Non ci sono scuse. Volevi la bicicletta, pedala.

Una volta fermo restando che un arbitro capace deve, ripeto deve, vedere e sanzionare tutte, anche qui ripeto tutte, senza eccezioni, infrazioni tecniche al regolamento, come fosse una macchina, una specie di occhio di falco o di goal-line technology umana che non prevede interpretazioni o eccezioni, rimane ovviamente la grande incognita dei falli in seguito a contatto (le varie sbracciate rientrano più o meno nella categoria gestibile dall’occhio di falco) che, loro sì, sono soggetti a valutazioni e interpretazioni. Quante volte ciascuno di noi, sia giocando che arbitrando partitelle fra amici, ha provato dopo un contatto la sensazione che doveva essere fischiato qualcosa, ma cosa? Ovviamente anche qui il Regolamento dà le linee guida generali che però quasi mai corrispondono alle infinite variazioni di svolgimento puramente meccanico, cinetico, dei contatti. Io sono convinto che l’arbitro bravo si riconosca in queste occasioni. Nelle quali, secondo me, bisogna avere a monte una grande sensibilità e capacità di giudizio che può venire solo dall’avere calcato i campi di basket da giocatore, non importa di che categoria, basta che abbia giocato, il più tempo possibile. Anzi, forse è meglio se l’arbitro è stato un giocatore passabilmente scarso, in quanto solo un giocatore scarso, per rimanere a galla, deve spesso e volentieri ricorrere ai classici trucchetti del mestiere (avete mai fatto un tagliafuori mettendo un tallone sulla punta del piede dell’avversario per impedirgli di saltare? io sì, tantissime volte, anzi quasi sempre), per cui da arbitro, conoscendo tutto il libro dei trucchi, è molto più sensibile per capire quando uno dei trucchi può essere stato adoperato e sanzionarlo di conseguenza. In definitiva in questo campo è solo ovvio che il dibattito deve essere ampio e articolato, sempre tenendo però presente che, almeno secondo me, il torto sta sempre dalla parte di chi il contatto l’ha provocato, anche andandoselo a cercare. Chi la fa l’aspetti, insomma. Personalmente sarei spietato nei casi di flopping, sia palese che accennato, ma qui è questione di gusti. Però concedo che anche qui non è tutto molto chiaro e non è assolutamente facile da vedere e agire di conseguenza.

Per finire nell’ultima serie di commenti avete affrontato un argomento, quello dell’intelligenza affinata dalla capacità di distinguere e esprimere i concetti con un linguaggio appropriato, che, come potete facilmente arguire, appassiona fortemente un uomo di frontiera, bilingue dalla nascita, come il sottoscritto. Ovviamente ho in merito tantissimo da dire, anche perché, del tutto immodestamente, ma è un fatto che sono nato in un ambiente ben più stimolante da questo punto di vista rispetto a quello in cui è nata la stragrande maggioranza di quelli che mi seguite, penso di saperne molto di più per diretta esperienza vissuta. Per cui nel prossimo pezzo parlerò solo di questo e dunque chi si interessa solo di basket o questi problemi non gli interessano, potrà saltarlo a piè pari.