Una volta stabilito nel gruppo il sistema gerarchico, chi comanda e chi obbedisce o, come dicono i serbi, chi beve e chi paga, operazione assolutamente fondamentale, in quanto è totalmente controproducente pretendere che poi in partita il colonnello obbedisca ai comandi del soldato semplice, si può cominciare a giocare a basket.

In ogni impresa umana, dalla più stupida alla più complessa, la prima cosa da fare è stabilire cosa si vuole, cioè quale è il fine ultimo, e poi stabilire un percorso da percorrere passo dopo passo per arrivarci, nel nostro caso avere in campo una vera squadra che possa prima o poi vincere le partite giocando, appunto, da squadra. Il primo imprescindibile passo è quello di inculcare nei giocatori i fondamenti del gioco che si accingono a praticare, cioè a far entrare nella loro testa alcuni assiomi senza i quali qualsiasi costruzione delle loro basi tecniche sarebbe il classico quadro appeso nel vuoto.

Gli assiomi di cui parlo sono assolutamente banali, stupidi se volete, ma che soprattutto nel basket moderno vengono spesso e volentieri ignorati, per ragioni che continuano a sfuggire alla mia limitata comprensione. Il primo è quello che, se hai la palla e sei solo, vai a canestro. Se sei in uno contro uno la prima cosa a cui devi pensare è come andare via al tuo avversario per poi essere solo eccetera. Se non ti riesce di andargli via devi prendere in considerazione due ipotesi: o lui è più forte di te e allora devi allenarti duramente per poter essere al suo livello, oppure tu sei troppo scarso e dunque devi allenarti duramente per migliorare. L’unica conclusione che si trae da questo ragionamento è che comunque devi allenarti duramente per imparare a come andare via al tuo avversario e dunque devi imparare a fare i gesti giusti nell’ordine giusto eliminando tutto quello che è inutile. Devi dunque allenarti in modo razionale e per far questo l’istruttore deve sempre esserti di fianco per eliminare, appunto, tutti i gesti inutili che ti rallentano. Il giocatore deve insomma realizzare che, o riesce ad andare via all’avversario in uno contro uno, oppure è meglio che cambi sport. Tertium non datur.

 

Da questa prima fase si passa poi alla seconda che parte da un altro assioma. Se sei solo e vai a canestro prima o poi un avversario viene a marcarti. E allora cosa fai? Anche qui qualsiasi allievo deve imparare che ha a disposizione due opzioni fra le quali deve scegliere in una frazione di secondo. La prima è quella di arrestarsi e tirare a canestro prima che l’avversario sia abbastanza vicino da disturbare la sua azione di tiro. Opzione che il giocatore deve obbligatoriamente scegliere se la distanza dalla quale sarà costretto a tirare è una distanza che prevede una concreta possibilità, comunque nettamente superiore al 50%, di fare effettivamente canestro. La seconda opzione è ovviamente quella di scaricare la palla a un compagno più libero di lui, possibilmente scegliendo quello lasciato solo dal difensore che è venuto a marcarlo. Questo è un passaggio assolutamente cruciale che, in soldoni, divide i giocatori di basket in due gruppi: quelli che scelgono l’opzione giusta la maggior parte delle volte e che si possono definire “veri” giocatori di basket, e quelli che sbagliano le scelte e che potranno essere tutto quello che si vuole, magari atleti formidabili oppure cecchini infallibili che potranno essere sfruttati per tutta un’altra serie di importanti mansioni, ma che saranno sempre limitati e che soprattutto non dovranno mai avere in mano il pallino del gioco nei momenti cruciali di una partita.

 

Questi sono i due passaggi fondamentali nell’apprendimento del gioco con la palla, ma come si sa, giocando in cinque con una palla sola, per uno che ha la palla ce ne sono altri quattro che non ce l’hanno. E loro cosa fanno? Nella mia esperienza c’è una strettissima correlazione fra il gioco con o senza palla dei “veri” giocatori di basket definiti sopra. Voglio dire che normalmente, cioè praticamente sempre, chi fa le scelte giuste con la palla sa altrettanto benissimo muoversi in campo per andare sostanzialmente dove non c’è gente, il che è semplicemente detto in italiano semplice e comprensibile quanto si intende oggi per “spaziature”. Non c’è da meravigliarsi: uno che capisce il senso profondo del basket inteso come gioco di squadra sa anche cosa bisogna fare in generale per essere efficaci. E il modo più ovvio e altrettanto fondamentale per essere efficaci è di trovarsi soli per ricevere la palla e poter mettere in pratica quanto appreso nei due capitoli trattati sopra. Ragion per cui lui sa, quasi istintivamente, che la capacità di smarcarsi è uno dei fondamenti imprescindibili di ogni gioco di squadra che preveda un contatto fisico con l’avversario (calcio, basket, pallamano, rugby…). La capacità di smarcarsi è comunque sì una dote congenita e un vero giocatore di basket avrà sempre maggior facilità nell’imparare le tecniche, a volte anche molto complesse, per poterlo fare, ma è comunque una dote molto ben allenabile e che può essere appresa anche dai meno capaci se non altro in modo strettamente meccanico o mnemonico, fate voi, per cui ogni istruttore che si rispetti dedicherà a questo aspetto del gioco, almeno nei primissimi tempi, una cospicua, per non dire preponderante, parte dell’allenamento del gioco di squadra. Ripeto: essendo che per uno che la palla ce ne sono quattro che non ce l’hanno non c’è gioco possibile se i quattro senza palla non tentano, tutti e quattro in ogni momento del gioco, di smarcarsi per essere soli e poter ricevere il pallone. Ragion per cui ogni bravo istruttore durante l’allenamento guarderà sempre cosa fanno quelli senza palla e li spronerà a muoversi per essere il più possibile liberi. E’ l’unico modo per instaurare un circolo virtuoso nell’apprendimento dei fondamenti del gioco. Spronando tutti a muoversi per poter ricevere il pallone si responsabilizza nel contempo quello che ha la palla che deve sempre avere il compito primario di premiare chi si è smarcato bene recapitandogli il pallone. E se non lo fa di prendersi un solenne cazziatone dall’istruttore anche se magari ha fatto canestro: “Perché cavolo ti devi inventare numeri da circo se c’era Toni completamente solo? La prossima volta dagli il pallone, se non lo fai te ne vai a casa diritto diritto!”. Se i ragazzi non imparano subito, anche a costo di prendersi sfuriate a ripetizione, che il gioco di squadra viene prima di ogni altra cosa e che le qualità del singolo possono esprimersi solamente nel quadro di un gioco di assieme, allora è del tutto inutile andare avanti. Facendo in modo diverso non potremo mai creare veri giocatori di basket, o meglio, non potremo mai scoprire quale dei ragazzi ha le qualità del vero giocatore di basket, cioè chi è colui su cui vale puntare per il futuro.

 

Da questa esposizione sui primi aspetti del gioco che ogni principiante deve imparare a livello quasi di reazione istintiva potete già facilmente intuire quale sia la mia opinione sulla domanda base. Il basket è un gioco che si pratica in cinque contro cinque e la lettura delle situazioni che si creano in ogni istante della partita deve essere assolutamente la base imprescindibile per chiunque voglia seriamente praticare questo gioco. Solo quando avremo allevato giocatori dotati di capacità di lettura di qualsiasi situazione che venga a crearsi in attacco potremo seriamente pensare all’altra fase del gioco, che è ovviamente quella della difesa. Qualsiasi cosa vi dicano non si può prescindere dal fatto, che a me risulta ovvio, lampante, che è sempre l’attacco che ha l’iniziativa e dunque la difesa è una reazione a quanto fa l’attacco. Mai, e poi mai, potrà essere il contrario. Sì, ma la difesa che anticipa le mosse dell’attacco grazie alle sovrannaturali doti di stratega del coach? Balla colossale e fuorviante. La difesa non è dotata di doti esoteriche di lettura del pensiero, per cui potrà anticipare l’attacco solamente se questo si svolgerà secondo schemi preordinati che il coach stratega avrà analizzato al video. Se però gli attaccanti hanno tutti capacità di lettura della situazione in campo saranno altrettanto capaci di leggere facilmente quanto sta facendo la difesa e prendere in un attimo (ricordate quanto detto sull’istinto?) le contromisure necessarie e così tutto l’impianto strategico del grande coach andrà a ramengo in un attimo. Quando i giocatori di una squadra saranno tutti capaci di leggere in modo corretto le situazioni tattiche che si stanno verificando cominceranno a giocare in modo diverso e, in definitiva, non ci sarà video da poter analizzare. La difesa fa questo? E allora loro giocano così. La difesa si adegua a quanto stanno facendo? E allora loro si mettono a giocare in modo ancora diverso. E allora cosa possiamo fare in difesa? Concretamente solo tamponare e sperare che sbaglino. Il che è esattamente tutto quello che una difesa, per quanto forte, può in sostanza fare di fronte ad un attacco che sa cosa fare, ripeto, in ogni momento e in ogni situazione.

 

La difesa deve avere molto in bene in mente quanto scritto sopra. E potrà farlo solo se avrà di fronte un attacco competente. E dunque solo quando avremo inculcato ai ragazzi le basi di un sano gioco d’attacco al quale prendono parte tutti e cinque potremo pensare di mettere in piedi le basi difensive. Per fare un esempio: in quattro giocano in attacco e uno si ferma a guardare dimenticandosi di andare “dove non c’è gente”. Il suo uomo può dunque tranquillamente andare ad aiutare, raddoppiare, ruotare, quello che volete, e in questo modo la difesa potrà avere il sopravvento. Se però giocano tutti e cinque non ci sarà raddoppio utile, in quanto quello che lascia il suo per andare ad aiutare sarà sempre punito dal pronto taglio di quello lasciato solo e dal puntuale scarico che gli sarà recapitato. E dunque solo in questo modo potremo pensare di mettere in piedi una buona difesa. Concretamente trovare il giusto equilibrio fra gli aiuti che, visto che tutti gli attaccanti sanno giocare in uno contro uno (capitolo non uno, ma zero, come detto sopra, senza uno contro uno non c’è proprio basket), devono per forza a un dato momento arrivare, e dunque, per tamponare, come detto sopra, bisogna ruotare quanto basta in modo coordinato per far sì di avere il minor danno possibile, che è quello di lasciare un difensore da solo a marcare due avversari il più lontano possibile da una possibile ricezione immediata. Questi meccanismi però non potranno mai essere imparati e poi assimilati se l’attacco non punisce in modo immediato e spietato qualsiasi deroga alla base della filosofia difensiva che è sostanzialmente quella di limitare i danni rendendo le cose più difficili possibili all’attacco concentrando difensori sul lato forte lasciando il lato debole in realtà sguarnito sperando che l’attacco non riesca a sfruttare in pieno questo vantaggio, viste le distanze maggiori che comportano un tempo maggiore per cambiare lato al pallone e dunque contemporaneamente sperare che il pallone viaggi per il tempo necessario a che la difesa riesca ad adeguarsi.

 

Piccola chiosa per chiudere in attesa del terzo capitolo, chiosa che mi viene spontanea proprio dopo aver riletto quanto scritto. Non ci possono essere dubbi sul fatto che la difesa, nel basket e in ogni gioco di squadra, è una fase di gioco nella quale la collaborazione fra i giocatori è fondamentale, è dunque uno squisito e perfetto gioco di responsabilità, di collaborazione, di team. E allora perché, di grazia, ci tocca di vedere in attacco solisti intollerabili tipo Harden e Westbrook? Perché, di grazia, non si riesce a far passare il concetto che anche l’attacco presuppone le stesse responsabilità, le stesse collaborazioni, lo stesso lavoro di team? Senza contare il fatto che. giocando effettivamente tutti e cinque, saranno tutti molto più motivati e presenti “in partita”, anche poi in difesa. Non riuscirò mai a capirlo.