IN MEDIO STAT VIRTUS

Anche senza considerare le due stagioni in Legadue, salvo miracoli alla fine di questo anno saranno almeno dieci i campionati senza scudetto per la Virtus Bologna. Battendo il tempo di digiuno intercorso fra il titolo della Stella (1984) e il primo del triplete con Danilovic (1993). Ne passarono venti fra i successi del 1956 e del 1976, dunque ci sarebbe molto tempo per eguagliare quell’astinenza ma al di là delle date questo della Virtus è il terzo periodo peggiore della sua storia. A parte l’anno (1970) degli spareggi retrocessione e il già citato declassamento dal 2003 al 2005, la Virtus è entrata da tempo in un tunnel di mediocrità che le acrobazie verbali del suo proprietario e i toni mediamente bassi della stampa cittadina illuminano a intermittenza.

Certo, grigiore condiviso, il che acuisce il rammarico e la rabbia dei non pochi che a Bologna da tempo stanno sull’Aventino dietro la sponda bianconera. Non pochi e non c’è da farsi ingannare dai numeri sulle presenze alla Unipol Arena: di tutto rispetto ed anzi con grosso vantaggio numerico sul pubblico di altre piazze, ma frutto di iniziative promozionali tanto efficaci in prospettiva (forse) quanto poco redditizie nel breve (certo). E poi: a medio lungo andare, se ti regalano biglietti per il cinema, ma in sala proiettano film di scarso appeal il gratis uno prima o poi se lo va a cercare altrove. Nessuno chiede sforzi estremi e impossibili alla proprietà, che fa con quel che ha e con quel che può; nessuno però crede più a tutto quello che viene proposto dalla facondia di Claudio Sabatini e che nel corso degli anni è passato dai gelati bianconeri alla torre per la foresteria del settore giovanile, aspettando sempre la rivoluzione edilizia di una Futurshow Station che nel frattempo è diventata Unipol Arena.

Diciamola tutta: esaurita la forma mediatica del salvatore del Titanic virtussino, evitato l’affondamento e trasformato il transatlantico in un’imbarcazione più leggera ma più sicura, ogni anno Sabatini ha cambiato la destinazione d’uso del natante: portaerei, traghetto, barcone, fregata, sottomarino, peschereccio con qualche colpo fortunato e molti buchi nella rete.Il tempo passa anche per lui, il naufragio della Fortitudo e le due zattere su rotte diverse gli hanno tolto mordente. Al banchetto del campionato gli torna utile ripetere che altri spendono per caviale e champagne mentre lui preferisce pane e cicoria; forte della concessione generale che ognuno spende per come può e guai a chi invece lo fa aprendo pericolose falle. Ma nel frattempo l’ex Basket City è scivolata sempre più giù; nel purgatorio dei rumori diffusi di sottofondo ai silenzi sempre più assordanti dell’indifferenza, del disinnamoramento e della disaffezione. Basta fare un giro fra le radio e le tv locali per accorgersene. Non per rimpiangere il tempo dei derby in doppia cifra in una sola stagione, ma anche il periodo ben più temporalmente allargato in cui di basket a Bologna si parlava con passione, interesse, eccitazione, sentimento anche lontano da qualsiasi idea di scudetto o di promozione, come capitava soprattutto ai virtussini nel ventennio di dittatura lombarda.

Cosa è cambiato, da allora? Secondo me il passaggio di consegne, certo non del tutto volontario, non del tutto consapevole, da una certa razza di dirigenti ad un’altra: quella, prevalentemente cinica, che soprattutto in materia di giocatori e allenatori non sa distinguere fra prezzo e valore. Anche in altri tempi, la Virtus Bologna è riuscita a scamparla; ma l’idea di tirare a campare non l’ha mai data così come la stando, penosamente, quella di quest’anno appena mette la testa fuori da Casalecchio. Li farà i playoff, la Canadian Solar: e l’augurio migliore che possono farle gli smaliziati è quello di incontrare subito Siena negli ottavi; giusto perché secondo la cabala almeno una gara alla Unipol Arena le Vu Nere la vincerebbero.

FRANCO MONTORRO