Sergio Tavčar

Sergio Tavčar

Intanto, auguri a tutti, veramente di cuore perché voi che mi leggete vi reputo amici con i quali magari litigare, anche furiosamente, ma che condividono gli stessi interessi e le stesse passioni, il che è la definizione più calzante che ci possa essere per descrivere un amico. Sperando nel contempo che la tradizione delle sconvenscion si perpetui proprio per cementare questa amicizia che si può coltivare solo quando si è insieme anche fisicamente.

Non mi sono fatto vivo prima in quanto la scorsa settimana ero impegnato nel pomeriggio con i mondiali in vasca corta di nuoto di cui non ho fatto telecronache, ma sui quali poi ho fatto un ampio servizio per Zona sport, ma anche e soprattutto perché, per quanto sembri strano ai più, il nuoto mi piace e mi appassiona, dunque quando è in TV lo seguo a prescindere. Un po’ come il golf. Del resto non avrei avuto molto da dire, in quanto nel basket non succede niente di nuovo. E, visto che da me ci si attende che parli di basket, non credo che interessino le mie riflessioni sui perché della incredibile metamorfosi di un’atleta di straordinario talento, che però finora, per limiti caratteriali che sembravano insormontabili, non aveva raggiunto che una minima parte dei successi che avrebbe potuto e dovuto ottenere, ora di colpo diventata una tigre che sbrana tutto quello che trova per strada. Parlo ovviamente di Tina Maze, l’unica eroina che in questo momento abbia lo sport sloveno.

Del resto la mia teoria in merito è totalmente non ortodossa e non pubblicabile neppure su un blog privato, per cui è molto meglio così. Per i più scafati e soprattutto informati un indizio: fate le vostre ricerche e scoprite le teorie in merito di quello straordinario personaggio che era Cigo Vasojević, mitico allenatore della nazionale jugoslava femminile (di basket, ovviamente) ai tempi dei suoi maggiori successi. Ebbene, la mia teoria è più o meno analoga alla sua.

Tornando al basket, una decina di giorni fa ho avuto la fortuna ed il privilegio di trascorrere alcune orette in osmica (quella dove dovevamo andare la prima volta se fossi riuscito a trasporre la sconvenscion di una settimana) con Boša Tanjević. Dico subito che a vederlo sembra stare bene, lui dice che gli ultimi esami clinici sono buoni, per cui per ora le cose sembrano veramente a posto. Non dico ovviamente cosa ci siamo detti, in quanto si trattava di chiacchiere fra amici, e soprattutto quello che lui ha detto a me in merito ai suoi perché della crisi di Milano, squadra nella quale ha un confidente molto addentro alle cose che poi i più furbi avranno subito capito che trattasi di persona molto legata ad un giocatore da lui in passato allevato ed allenato. Dico solo che mi ha fatto capire molte cose che non sapevo, per cui d’ora in poi non parlerò più di Milano, poiché potrei tradire me e l’amicizia di Boša alla quale ovviamente tengo moltissimo.

Penso che posso dire che abbiamo parlato tantissimo della sua famosa intervista alla Gazzetta nella quale parlava del valore dei coach americani e confermo in pieno che quanto lì detto, come avevo facilmente immaginato conoscendolo, è solo una minima parte di quanto lui pensi realmente, il che è poi quello che penso anch’io, come forse si sarà anche potuto intuire dai miei pezzi, per cui ho passato momenti di assoluta esaltazione sentendo uscire dalla bocca di uno straordinario tecnico che di basket ne sa infinitamente più di me parole che erano musica sublime per le mie orecchie. La sua descrizione poi del colloquio fra Kanter ed il suo coach quando il giocatore gli tentava di spiegare cosa fossero le qualificazioni per gli Europei e perché era un bene andarci (“sono spesato di tutto per allenarmi due volte al giorno e giocare” “ma va, e non paghi niente?”) è stata totalmente esilarante. E’ solo ovvio comunque che nessuno fa di ogni erba un fascio, per cui, se vi interessa, Boša ha per esempio una grandissima ammirazione per Popovich, per lui senza dubbio il migliore di tutti.

Su Popovich torno subito, non prima però di riportare, in merito a questa serata, un dettaglio che mi ha molto affranto. Avendo Tanjević a portata di mano ho voluto farmi spiegare la saga della sua corte a Delibašić e di come fosse riuscito a portarlo al Bosna e devo dire che la storia raccontatami diverge molto da quella riportata nel mio libro. Anche se il senso ultimo della storia è più o meno quanto scrivo, alcuni dettagli sono molto diversi, sia sui tempi materiali dell’operazione (eppure, maledizione, o sono rimbambito, oppure la storia che mi aveva raccontato la prima volta e che ho riportato sul libro era diversa!) che sul fatto che la squadra alla quale il giocatore era destinato e con la quale aveva anche firmato un accordo, non solo, ma che possedeva anche il fondamentale nulla osta al trasferimento emesso dalla Federazione bosniaca (ricordate il caso Dalipagić?) non era la Crvena Zvezda, ma il Partizan. E qui non ho proprio scuse. Mi cospargo la testa di cenere.

Torno a Popovich e dunque devo parlare dell’NBA. Lo faccio malvolentieri, in quanto, come mi viene giustamente imputato, non riesco proprio a guardarla e dunque non ho titoli per parlarne. Devo avere anche una sfiga galattica. Un giorno mi sono sforzato di seguire qualche minuto di una partita di Denver, perché volevo vedere Gallinari. Eravamo verso la fine del terzo quarto ed ho visto gli avversari che a 15 minuti dalla fine (!) hanno cominciato a fare fallo sistematico su un tale McGhee (che non mi sembra proprio la persona più acuta di questo mondo – non è forse lui quello che è stato immortalato mentre rientrava in difesa quando i suoi avevano preso il rimbalzo in attacco?) che è tutt’altro che uno specialista dalla lunetta. Insomma, per un paio di minuti ho visto solo penose esibizioni ai liberi del succitato, per cui ho spento schifato. Però la multa affibbiata agli Spurs per aver mandato a casa a riposare i tre vecchietti chiave della squadra è una cosa troppo grossa per sorvolarla. Secondo me l’NBA ha con questo gesto gettato la maschera: tutto quello che le interessa è solo lo spettacolo puro e dello sport vero, scusate la crudezza, se ne fotte altamente. E’ solo ovvio che Popovich, che già stimavo, sia diventato ai miei occhi immediatamente un idolo assoluto e pertanto che Dio ce lo conservi a lungo. Almeno uno che è rimasto con la testa sulle spalle e pensa al basket! Peccato che, a quanto sembra, sia anche l’unico. O, voi che sapete, ce ne sono altri?

A casa nostra è stato giocato l’All Star Game. Evidentemente le capacità tecniche dei giocatori stanno progredendo vertiginosamente verso vette ancora inconcepibili, come testimoniato dalla vittoria nella gara da tre punti di un giovane virgulto di 42 anni. A parte questo devo dire che l’Under 23 messa in campo da Dalmonte mi è piaciuta moltissimo. E contemporaneamente mi pervadeva una tristezza sconfinata. I talenti ci sono ed addirittura mancava il migliore di tutti che, lo sapete, secondo me è Polonara (di poco davanti a Melli, se proprio volete una classifica). Giocano un basket sano, la massima parte di loro ragiona, sanno perché sono in campo, i ruoli sono tutti passabilmente coperti. Insomma un eccellente materiale su cui lavorare. Appunto, e qui casca l’asino. Da quanto ne so nella maggior parte delle squadre italiane (ad occhio le eccezioni potrebbero essere Varese e Cantù, quest’anno forse Roma e Virtus Bologna, e dopo? poche altre, forse) si lavora poco e male. Poco perché i giovani prospetti (echi della serata con Tanjević e dei suoi ricordi di come aveva lavorato con Gentile ed Esposito a Caserta, o con Fučka e De Pol a Trieste) dovrebbero effettuare obbligatoriamente nei giorni di non partita almeno due sedute quotidiane, una con la squadra ed una con l’istruttore tecnico per lavorare sui fondamentali, dico almeno perché in tutto questo il potenziamento atletico non viene neppure considerato e che pure bisogna fare. In breve finché sono giovani, ricettivi e soprattutto sani, nel senso che recuperano subito dagli sforzi fatti, bisogna fare loro un mazzo grande come una casa. Se volete diventare forti dovete fare così. Se no cambiate sport. Avrete tutto il tempo quando sarete vecchi per riposare ed eventualmente per fare le bizze. Male perché non mi sembra che in giro ci siano nel numero minimo richiesto gli istruttori validi che possiedano le doti necessarie di conoscenze tecniche, ma anche psicologiche ed umane, per fare bene questo lavoro fondamentale. Nel senso che oggigiorno (e purtroppo non solo in Italia) c’è un  numero esorbitante di coach, mentre di istruttori veri rimasti ce n’è pochissimi. Come se fosse un demerito essere “solamente” istruttori, mentre vale esattamente il contrario. Per fare gli istruttori bisogna avere doti che nessuna scuola insegna, mentre per fare il coach basta fare tutti i corsi, imparare bene a memoria le lezioni e soprattutto pagare tutti i balzelli imposti dalla Federazione, che poi una tessera di coach non la si nega a nessuno. Insomma mentre vedevo evoluire questi giovani e promettenti virgulti continuavo a chiedermi quale via avrebbero trovato per ciascuno di loro per rovinarlo o, nel migliore dei casi, per farlo rimanere dov’è ora. Eh già, oggigiorno già non rovinare un giovane è un titolo di merito.

Per finire notizie dell’ultim’ora. Sto finendo di scrivere questo post subito dopo aver visto in TV Milano-Varese. Milano con Bremer è molto, ma molto meglio di Milano con Cook. Almeno stavolta hanno provato a giocare da squadra il finale di partita, addirittura con qualche altruismo di troppo, che però alla lunga non guasta. Il problema per Milano è che almeno a me la partita ha dato l’impressione che a vincere sia stata semplicemente la squadra più forte delle due (e che poteva finire molto prima se una entrata troppo precipitosa di Banks alla fine del terzo quarto non avesse spostato ben cinque punti fra venire ed andare). Varese ha due play bravissimi e dalle caratteristiche diverse (Green e De Nicolao), una guardia come Banks che mi ha fatto un impressione straordinaria per l’assoluta assenza in tutti i suoi gesti tecnici di qualsiasi inutilità da spettacolo, semplicemente quando ha spazio tira e segna, un’ala come Ere tutto sostanza, ha Dunston che è un centro vero, col rincalzo, Talts, che può benissimo reggere i minuti nei quali gioca, ed infine ha Polonara che è il classico giocatore che ogni coach sogna, di una duttilità impressionante che può difendere su tutti, dal più piccolo al lunghissimo, che ha più dimensioni in attacco e che in ogni partita può fare le cose che servono per quella specifica eventualità (già detto che se fosse nato in Dalmazia sarebbe stato un piccolo Kukoč?). Insomma una squadra vera, con giocatori veri, con un allenatore vero, insomma una super-signora squadra. Che non per niente è prima e che se tiene su questi livelli fino in fondo onestamente non vedo chi possa quest’anno batterla.