Primo quintetto: Matic Rebec, Miha Lapornik, Jakob Čebašek, Blaž Mahkovic e Urban Durnik. In panchina: Edo Murić, Blaž Mesiček, Gregor Glas, Aljaž Bratec e Luka Vončina. N.e.: Sašo Zagorac e Gašper Vidmar, acciaccati. Chi diavolo sono? Sono la squadra nazionale slovena di basket Campione d’Europa che a Celje ha giocato la seconda amichevole contro la Croazia in vista delle due partite delle qualificazioni mondiali di questa settimana. Questo è dunque l’esito della sciagurata politica della FIBA che fa sì che i Campioni d’Europa, che fino a questa edizione dei Mondiali avevano assicurata la qualificazione automatica, disputino queste qualificazioni con la squadra C, formata da giocatori raccattati un po’ qua e un po’ là con qualche giovanissimo di belle speranze (tanto per dire, la stella è Gregor Glas, ragazzo del 2001 di quasi due metri esterno puro e grande tiratore, artefice della promozione della Slovenia alla prima divisione ai recenti Campionati europei di categoria, da un anno in forza alla squadra di Capodistria), per cui i mondiali in Cina la Slovenia li vedrà in TV.

Se Sacchetti si lamenta, immaginatevi cosa stia facendo ora il povero Rado Trifunović, il CT sloveno. E’ quasi umiliante giocare contro la Croazia, presente nella formazione che ha battuto l’Italia a Trieste con quattro giocatori NBA (Bojan Bogdanović, Šarić, Zubac e Žižić) avendo come pivot titolare un ragazzo del ’97, Urban Durnik, che finora ha giocato solamente nel Pivovarna Laško e che ha l’imponente statura di 2 e 02. Lasciamo stare che la Slovenia ha comunque una buona scuola di basket e che questi carneadi abbiano perso solamente nel finale di 8 punti dopo che a quattro minuti dalla fine erano ancora a meno due. Lasciamo stare anche che comunque per le partite vere arriveranno (anzi, sono già arrivati) alcuni rinforzi, fra i quali i più importanti sono il mercenario Tone Randolph (ebbene, sì, in questa marea di rinunce lui si è sentito in dovere di venire), Vlatko Čančar e il play che gioca in Spagna Luka Rupnik. Il problema vero è che la Slovenia, che attinge da un bacino di 2 milioni di abitanti, una volta che le togli i pochi fenomeni che riesce a produrre una tantum molto non le può restare, per cui la FIBA in definitiva è riuscita con la sua politica scellerata a uccidere in Slovenia esattamente tutto l’entusiasmo che si era creato dopo il trionfo europeo. Chi volete che si entusiasmi per una squadra nella quale non c’è Goran Dragić (e si sapeva, fra l’altro aveva già annunciato il ritiro dopo gli Europei), ma non c’è neanche il fratello di cui si sono perse le tracce, non ci sono Blažič e Prepelič che dopo aver giocato le prime partite hanno detto all’unisono usando termini un po’ più diplomatici:  “in queste condizioni in una squadra non competitiva che non ha dove andare non c’è neanche il gusto di giocare, per cui fino a che non mettete in piedi una squadra che sia tale non ci vedrete più”, non c’è Luka Dončić che ha sì mandato una lettera aperta nella quale dichiara tutto il suo amore per la maglia della nazionale senza però dire perché, se professa tanto amore, non sia in realtà venuto (deve fare “footwork” a Dallas? – ecco perché delle sue sorti nell’NBA non potrebbe fregarmi di meno: hanno un genio del basket e gli fanno fare “footwork”? – vadano a evacuare), non c’è addirittura neanche Žiga Dimec (e con lui Gregor Hrovat dell’Olimpija – l’ultimo tagliato prima degli Europei) che si è presentato al raduno, si è allenato, poi ha trovato un ingaggio a Bayreuth in Germania, ingaggio che però sarebbe saltato se avesse partecipato alla campagna della nazionale secondo un preciso accordo segreto fra lui e la società (confermato fra le righe dal coach dei tedeschi in un vivace testa a testa con Trifunović), per cui si è dileguato anche lui. E ora questa squadra dovrebbe vincere le partite del secondo gruppo contro la Lettonia che è sì priva di Porzingis, ma ha pur sempre Strelnieks, Timma e tanti altri forti, e soprattutto contro la Turchia di Osman, Ilyasova e Erden che per pararsi il fondo schiena, visto che c’è, schiera al posto dell’indisponibile Bobby Dixon come straniero di Coppa Wilbekin (loro però sono turchi e dunque possono, solo la Slovenia non dovrebbe poterselo permettere – a proposito se dopo la meravigliosa storia della immacolata italianità di Brooks venite ancora a sfracellarmi gli zebedei con la storia di Randolph vi sparo). Comunque sia, queste qualificazioni, almeno a vederle dal mio punto di vista, sono una gigantesca e ignobile farsa, ancora molto di più di quanto si potesse prevedere all’inizio. Ai mondiali andranno così, come forse la FIBA vuole, le Federazioni forti, quelle che hanno i soldi giusti e le conoscenze giuste per portare alle partite le loro stelle, e a casa rimarranno i morti di fame, per quanto forti possano essere. Comunque l’equità sportiva è andata a farsi fottere e già per questo devo dire che i prossimi Mondiali li snobberò per quanto possibile. A parte il fatto che in tutta questa vicenda manca una voce fondamentale, quella dei giocatori. Martedì scorso era ospite in studio per il programma sloveno Boštjan Nachbar, reduce dalla magnifica festa di addio che ha messo in piedi alle Stožice assieme al suo amico di infanzia Sani Bećirović (i due hanno fatto assieme esattamente tutta la trafila delle giovanili dalla più tenera età, in quanto ambedue erano già da piccoli grandi prospetti, per cui si conoscono da una vita e sono grandi amici), e io ne ho approfittato per fargli una lunga intervista che andrà in onda in Zona Sport il primo di ottobre. La cosa che più mi interessava era la sua nuova vita, quella di Presidente della neo formata associazione dei giocatori di Eurolega, il sindacato insomma. La risposta non mi ha certamente sorpreso. Intanto ha voluto subito sottolineare che, contrariamente a quanto si crede, tutti i giocatori sono entusiasti di giocare per la loro nazionale, molto di più di quanto lo si percepisca leggendo i media, ma che la situazione attuale, con la guerra in atto fra FIBA e Eurolega (con l’NBA ad assistere dall’alto ridendo sotto i baffi a come il basket europeo si stia uccidendo da solo senza che loro debbano intervenire) pone i giocatori il più delle volte in una situazione senza vie di uscita. In definitiva, dice, giocare per la nazionale a volte vuol dire mettere a serio repentaglio la propria carriera, avendo sempre in mente che sono i club a pagarli profumatamente, per cui scegliere per due settimane in piena stagione agonistica di andarsene in nazionale può essere il più delle volte un’alternativa del diavolo, nel senso che qualsiasi cosa fai, alla fine ci rimetti. Per cui attenzione alla voce dei giocatori che potrebbero essere quelli che alla fine taglieranno la testa al toro, o per essere più poetico, taglieranno il nodo gordiano della situazione.

Sono molto contento che alla voce allenatori-educatori-psicologi abbiate incluso il grande Paron Nereo Rocco che fra l’altro ho avuto occasione di conoscere e apprezzare di persona quando avevo poco più di 10 anni in modo del tutto casuale. Ero infatti in vacanza assieme a genitori e parenti di parte di mamma (dunque triestino-foni) a Radenci (luogo termale della Slovenia nord-orientale patria della Radenska, acqua minerale molto nota dalle nostre parti) e un giorno fummo avvicinati da Rocco in persona che era venuto a curarsi la gotta e che, sentendoci parlare in triestino, ci aveva avvicinati per chiedere informazioni. Scoprimmo così una persona squisita e alla mano che si unì alla nostra compagnia per il resto delle vacanze raccontandoci aneddoti a raffica che ci fecero sbellicare dalle risate. A proposito, questa forse non l’avete ancora sentita e la raccontò Gianni Rivera quando fu ospite alla cerimonia annuale di premiazione dello sportivo dell’anno della Comunità nazionale italiana in Slovenia e Croazia. Allora. Devono giocare in Coppa Campioni contro una squadra scozzese contro la quale avevano pareggiato (o addirittura perso di misura, ma non ha importanza) all’andata in Scozia. La vigilia della partita Rocco annuncia la formazione che era comunque cementata per 10/11esimi con l’unica incertezza di chi mettere all’ala sinistra, se Pivatelli, giocatore più di copertura e tornante, o Barison, punta pura. “Alora, zoga – e snocciola tutti i nomi previsti – Giani, Iòse (Altafini), Dino (Sani) e po’…lasseme pensar…no so ancora, ve digo domani”. Arriva il giorno della partita, la squadra si riscalda nello spogliatoio (allora si scendeva in campo solo per giocare), mancano 10 minuti e Rocco non dice niente. In rappresentanza dei giocatori mandano il capitano Maldini (di Servola, Trieste) che chiede timidamente: “La scusi, paron, ma chi zoga al’ala? Saria ora de dirne” “Ah, scusa, me iero dimentica’! alora, che vedo…bon, sa cossa, zoga ti Barison che femo una ridada (risata, per i non triestini)!” Morale della favola, il Milan vince 5 a 2 con tripletta di Barison. A proposito di roboanti discorsi motivazionali all’americana.

Un altro argomento che avete tirato in ballo e che per quanto mi riguarda coglie nel segno in pieno, essendo un argomento che mi affascina tantissimo, è quello delle apparenti congiunzioni astrali che fanno sì che ci sia una generazione particolare che raggruppa straordinari talenti nei campi più disparati e poi magari per decenni, o magari secoli come nel caso dei fenomenali artisti generati dalla Toscana, non ci sia più niente. Ho letto con interesse la spiegazione ambientale del parroco toscano e devo dire che tocca una corda a me cara, visto che su questo punto ho tutta una serie di strampalate teorie da me elaborate che normalmente per pudore non esterno, ma alle quali, visto che siete amici e mettendo le mani avanti nel modo più disteso possibile avvertendo che so benissimo da solo che sono stupidaggini, posso anche accennare. Tipo per esempio quella che credo nei segni zodiaci per quanto riguarda il carattere delle persone. Nel senso che, nascendo nella nostra fascia climatica temperata con stagioni ben precise, deve esserci qualche differenza nel carattere da adulto se il bambino fa i primi passi dopo un anno dalla nascita all’aperto magari sui prati o al chiuso in casa imbacuccato per non prendere freddo, senza parlare poi delle altre fasi cruciali dello sviluppo. Non mi meraviglia perciò che i nati di inverno siano persone normalmente più riflessive e chiuse in sé, mentre i nati d’estate sono normalmente più aperti, espansivi e gioviali. Oppure, teoria ancora più “audace”, che deve esserci differenza fra le popolazioni che vivono in riva al mare in dipendenza se il mare ce l’hanno a occidente oppure a oriente. Secondo questa “teoria” quelli che hanno il mare a oriente, e dunque il sole sorge dal mare e tramonta sui monti, sono popolazioni abituate a lavorare sodo, cominciando presto la mattina, e con meno fantasia e romanticismo, visto che il tramonto in realtà dice loro poco. Al contrario, se il sole sorge dai monti e tramonta sul mare, intanto arriva più tardi, dunque non invita certo ad alzarsi presto, e tramonta in modo magnifico suscitando certamente sentimenti molto più portati alla poesia e al romanticismo. Tutto questo però secondo me spiega poco perché per esempio proprio in Toscana siano nati tantissimi geni assoluti dell’umanità. Deve avere sicuramente a che fare con questo la famosa battuta di Orson Welles nel finale del Terzo Uomo: “L’Italia nel Rinascimento era continuamente in preda a guerre di ogni genere e ha prodotto alcuni dei più grandi geni di tutti i tempi, mentre la Svizzera ha vissuto secoli di amore fraterno e tutto quello che ha prodotto sono stati gli orologi a cucù”, cosa che intende dire che l’umanità solo sotto pressione può dare il meglio di se stessa. E inoltre secondo me non guastava affatto che Firenze allora fosse il centro finanziario del mondo grazie alla più fantastica invenzione da loro escogitata, quella delle banche. Quando ci sono mecenati che finanziano gli artisti (per non parlare che poi in maggioranza finivano a Roma, dove grazie alla religione arrivavano ricchezze incredibili da tutto il mondo) che possono così tranquillamente dedicarsi alla loro arte la situazione è certamente molto migliore rispetto a quella dei loro colleghi che vivono in un paese povero. In tutto ciò infine secondo me ha un ruolo decisivo la concorrenza: quando si manifesta un genio le sue opere pongono subito uno standard di riferimento altissimo che per raggiungerlo i suoi concorrenti devono essere altrettanto bravi e soprattutto lavorare come pazzi senza mai fermarsi per poter sperare di potersi paragonare al Maestro. Senza questi riferimenti (vale anche per lo sport e per il nostro basket) uno può essere convinto di aver raggiunto il massimo possibile in quanto migliore dei suoi scarsi competitori e così fermarsi a una triste mediocrità, mentre invece avrebbe avuto tutte le capacità di diventare bravissimo se solo avesse avuto a chi paragonarsi.

Oppure si tratta semplicemente di un caso di probabilità matematica che dice che la cosa più improbabile in assoluto è la perfetta periodicità, tipo la sequenza più improbabile di una serie di lanci testa-croce è quella TCTCTCTC eccetera. Spero proprio di no, comunque: sperare che non sia tutto una coincidenza fa credere che in fin dei conti anche la volontà di una persona alla fine conti nel raggiungimento di un particolare successo.