UN’INGIUSTIZIA E’ STATA EVITATA

Di tempo ce n’è”, “con i playoff cambia tutto”, “le altre squadre sono corte, scoppieranno prima o poi”, “alla fine vincerà Milano”. Alzi la mano chi non ha detto o non ha pensato almeno una di queste frasi, anche dopo alcune perle della stagione milanese quali il -22 di Avellino, il -18 di Reggio Emila o il -14 interno contro Montegranaro.GeriDeRosa

E’ stato il vero tormentone del Campionato: e – verrebbe da dire – meno male che non è successo! Non certo per un improvviso rigurgito anti-milanese ma solo perché così è stata evitata una clamorosa ingiustizia. Milano, infatti, avrebbe potuto vincere anche lo scudetto, grazie alla profondità del suo roster, grazie alla folle formula dei playoff, grazie al progressivo sfinimento delle altre squadre.
E sarebbe stata una clamorosa ingiustizia sportiva: semplicemente perché avrebbe vinto una squadra che non meritava di vincere, una squadra che non sarebbe mai stata ricordata come si merita chi vince uno scudetto. Senza andare come sempre a citare il mitico e irripetibile gruppo di Peterson e Casalini, basta tornare al 1996: Gentile, Bodiroga, Fucka, Tanjevic sono solo l’inizio di un lungo elenco di personaggi che ancora oggi fanno parte della storia del basket milanese e italiano. Se avesse vinto la squadra di quest’anno, chi ne sarebbe stato il simbolo a futura memoria? Sergio Scariolo? Livio Proli? “Capitan” Hairston? Forse Alessandro Gentile ma a vent’anni non si può certo essere così rappresentativi.
Inutile negarlo: questa è una squadra senza simboli e senza anima, nata e costruita male e corretta ancora peggio. E la sua stagione, assoluto concentrato di errori, mala gestione, superficialità e presunzione, ne è stata la logica conseguenza.
Il Gruppo Armani ha salvato il basket milanese, sta garantendo un futuro ad un patrimonio assoluto dello sport italiano e di questo va solo ringraziato; è mancata però l’umiltà, il buon senso di calarsi in questo mondo affidandosi a gente del mestiere e rispettando le regole non scritte che lo rendono magico.
Lo sport di squadra è fatto di mistero, alchimie, chimica di squadra, di sguardi d’intesa, di alleanze inconsce che avvengono in spogliatoio o nei viaggi in pullman e di tante cose affascinanti di questo tipo; la dirigenza milanese invece ha ridotto la squadra ad un arido ramo della sua azienda, sul modello manageriale che sta rendendo invivibile il nostro mondo.
A poco a poco sono stati allontanati quei pochi romantici ancora legati allo spirito del passato, quello che ha reso grande l’Olimpia: chi è rimasto si è adeguato al nuovo sistema, cercando di sopravvivere ai rampanti nuovi arrivati. Così, dietro ai bei vestiti, ai computer, allo staff chilometrico, ci sono professionisti anche molto seri che però non vanno oltre il loro compitino, fuori e, cosa ancor più grave, dentro il campo. Solo così si può spiegare un allenatore due volte campione d’Europa e vicecampione olimpico che in due anni di prestazioni sconcertanti non ha mai spaccato la sua lavagna o almeno fatto una scenata o cacciato un urlo; solo così si spiega uno che ha vinto tre volte l’Eurolega e otto volte il campionato greco che da pupillo di Obradovic diventa una molle sponda passa-palloni; solo così si spiega una squadra che gioca una gara 7 indegna per spirito di sacrificio e voglia di lottare come quella giocata dall’EA7 contro Siena. Purtroppo i manager, che hanno invaso il mondo (con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti…), sono arrivati anche qui.
Dal basso però arriva un urlo accorato: tenetevi pure il mondo, fate i vostri “staff meeting”, lanciate i vostri “brand”, cercate la miglior “accountability”, ma lasciateci il basket, quello vero, emozionante, quello in cui vincere è bellissimo e perdere comunque dignitoso.

GERI DE ROSA