Riassumendo quel poco che posso dire è che, vedendo spezzoni di partite di Milano, si può affermare che la mano di Messina stia cominciando a vedersi, anche se mi sembra che il processo di trasformazione di Milano in una vera squadra di basket sarà ancora lungo. La cosa buona che si può dire è che finalmente non c’è più in squadra nessun giocatore che pensi di essere il salvatore della patria, nel senso che cominci a fare stupidaggini egoistiche ogni volta che i nodi vengono al pettine e bisogna trovare qualcuno che si prenda la responsabilità nei momenti chiave. Per non far nomi non c’è un James che, presumendo di essere Superman, faccia tiri senza senso mandando a ramengo ogni possibile logica di gioco di squadra. Un’altra cosa che mi piace è che sembra che finalmente ci sia una logica di comando, nel senso che Messina decide lui quello che si deve sempre e comunque fare. Negli anni fra l’altro il buon Ettore ha sicuramente imparato l’arte di pararsi le terga in modo acconcio, per cui per ora l’ambiente a Milano è passabilmente tranquillo (minuscola, per favore) e lo lascia lavorare in pace. E, guarda caso, lavorando in questo modo il buon Della Valle ha ricominciato a giocare con fiducia rendendosi utile in più occasioni, cosa questa che già da sola testimonia del fatto che molte cose sembrano essere cambiate. In definitiva per ora tutto abbastanza bene.

Parlando della Virtus la cosa che più mi è piaciuta è che Đorđević, prendendo Teodosić, abbia voluto subito assieme a lui anche Marković che è quello incaricato di portare avanti il pallone per permettere al suo geniale compagno di creare gioco e in più gli para le terga in difesa facendosi in due per il compagno che non è proprio un francobollatore. Con questo asse portante Bologna può fare veramente bene e sono sicuro che a fine stagione chiunque voglia vincere lo scudetto, Milano compresa, dovrà fare i conti con le V nere.

Passando a cose più serie avevo la seria intenzione di fare la sconvenscion di autunno a fine novembre. Solo che poi è intervenuto un fatto che ha un tantino, anzi molto, scombussolato i piani, e cioè il fatto che l’amico Marco Ballestracci che i frequentatori delle sconvenscion ricorderanno presente due anni fa a Aurisina ha dato alle stampe il libro che aveva concepito proprio in quel frangente e che mi fa parlare in prima persona sullo sport e la politica nella Jugoslavia che fu. Devo dire che tutta questa faccenda mi crea non poco imbarazzo, in quanto sembra quasi che sia stato io a scrivere un nuovo libro. E invece, per quanto sembri così, tutto il progetto è stato pensato e messo in pratica nero su bianco da Marco che mi mandava i capitoli appena scritti e io solamente facevo i miei appunti e le mie correzioni, per cui di veramente mio, scritto di mio pugno (per fortuna, si potrebbe dire), in questo libro c’è veramente poco se non nulla. Che poi dal titolo sembri che io abbia avuto un ruolo fondamentale nella stesura del libro è, ripeto, una cosa che mi crea imbarazzo.

Contrariamente al libro mio di ormai 10 anni fa questo è stato pubblicato secondo tutti i crismi dei canali regolari con tanto di casa editrice, per cui per lanciarlo è stata messa in piedi una specie di tournée promozionale, cominciata a Trieste lo scorso 6 novembre, e che proseguirà al Kulturni Dom di Gorizia il 20, e con un picco nel fine settimana successivo. Venerdì 29 saremo infatti nel pomeriggio a Villorba nella libreria Lovat, la stessa che ha organizzato la serata di Trieste (con immensa gratitudine del sottoscritto per la squisita gentilezza del titolare Loris), e poi in serata a Castelfranco. Non solo, ma il giorno dopo andiamo direttamente a Torino con il picco degli eventi che si verificherà domenica 8 dicembre all’EUR a Roma.

Il libro è comunque riuscito secondo me molto bene e potrebbe interessare molte persone curiose di sapere cosa succedeva veramente in quell’incomprensibile calderone che era la Jugoslavia, con tutte le implicazioni derivanti dalla complicatissima storia che quelle terre hanno vissuto e che hanno poi determinato gli eventi che si sono svolti alla fine degli anni ’90 e nei primi anni del decennio successivo. Il tutto facendo una premessa che devo comunque fare per essere onesto con i lettori, che cioè quanto dico è inevitabilmente legato al fatto che io ho vissuto sì dal di dentro tutti quegli eventi, ma sempre condizionato dal fatto, culturale se volete, che sono comunque uno sloveno di Trieste per il quale la Jugoslavia era, fino a che grazie al mio lavoro che me l’ha fatta girare in lungo e in largo e che mi ha permesso di imparare il serbo-croato e dunque di potermi rapportare in modo diretto con tutti gli altri popoli che non erano il mio, un’entità misteriosa che cominciava a qualche chilometro da casa mia, ma che sembrava aliena e incomprensibile per uno nato in uno stato legato all’Europa occidentale con tutti i suoi valori completamente diversi da quelli che venivano vissuti come fondamentali dall’altra parte del confine. Ieri, leggendo sul Venerdì della Repubblica il commento di Gigi Riva, che, pur avendo parlato con lui solamente per telefono tempo fa quando ci siamo scambiati i libri sulla Jugoslavia che abbiamo scritto, reputo un amico sia per la stima che ha dimostrato nei miei confronti, perfettamente ricambiata del resto, che per le cose che ci siamo detti e che riflettono un pensiero comune, e informato oserei dire, ho letto una cosa che mi ha fatto molto piacere e che secondo me è il merito maggiore di quanto è stato scritto nel libro di Marco, che cioè le cose che dico sulla Jugoslavia e di come si è sfaldata non presuppongono nessun tipo di nostalgia di fondo. Le cose sono semplicemente andate come dovevano andare. E’ stato un fatto, peraltro ampiamente prevedibile da chiunque avesse occhi per vedere e orecchie per sentire, che non poteva non verificarsi soprattutto nel contesto internazionale di totale e colpevole ignoranza di come stessero veramente le cose. E il fatto di avere vissuto queste cose dal di dentro in modo materiale, ma dal di fuori dal punto di vista emotivo e culturale (sempre ricordando che, da buon sloveno, facevo ovviamente il tifo per i miei e che, essendo stati quelli che ne sono usciti per primi, poi tutto il resto l’ho vissuto senza particolari coinvolgimenti emotivi diretti), penso che mi renda un testimone abbastanza affidabile di quanto sia successo.

Un altro punto importante del libro secondo me è l’accento posto sul fatto che moltissimi trend culturali e sociali possono essere dedotti in largo anticipo da quanto succede nello sport, soprattutto in quello più popolare che è ovviamente il calcio. E, se tanto mi dà tanto, quello che sta succedendo in questo preciso momento storico negli stadi di tutta Italia è qualcosa di sinistro che dimostra come, non vorrei essere troppo pomposo e retorico, ma mi sembra che sia proprio quello che sta succedendo, tutto il tessuto sociale sul quale dovrebbe reggersi ogni tipo di civiltà si stia in Italia rapidamente sgretolando con conseguenze che non voglio neanche pensare quali potranno essere. Meno male che siamo (ancora) in Europa.

Detto questo per quanto riguarda la sconvenscion rimane una sola data disponibile, che è sabato 7 dicembre. Ricordando che il giorno dopo ad ore antelucane il sottoscritto partirà per Roma, per cui il quarto tempo della sera sarà ovviamente di molto accorciato. La buona notizia è che il 5 apre l’osmica Benjamin Zidarič di Praprot-Prepotto, quella nella quale siamo già stati con tanto di visita guidata dal titolare dei suoi cinque piani sotterranei scavati nella pietra carsica, ragion per cui, visto anche che il titolare, anche per questioni familiari (ci gioca il nipote), è molto legato al nostro basket e allo Jadran, oltre a godere dei suoi formidabili vini, potremo anche godere di un trattamento di favore. La data, per come avrete potuto capire, non è negoziabile, ma chi sarà presente non avrà certamente di che lamentarsi.

Vorrei finire con un pensiero che mi ha molto divertito nel periodo nel quale voi eravate impegnati a commentare i mondiali di rugby e io invece nella definitiva stesura del libro sunnominato. E’ stato inevitabile sovrapporre le due cose e chiedersi perché mai il rugby non abbia mai attecchito nei Balcani. Ripensando alla mentalità balcanica, dalla quale sono stato inevitabilmente contagiato in modo irreversibile in tutti questi anni, sono arrivato alla conclusione che il rugby è l’attività sportiva alla quale i balcanici sono per loro indole il più refrattari possibile. Mi sono messo nella mente di un serbo (o bosniaco, o dalmata, o bulgaro, o greco…) che dovrebbe giocare da prima linea, magari da pilone, e ho provato a capire quali potrebbero essere i suoi pensieri. Ecco cosa penserebbe: “E io dovrei per tutta la vita spingere vagoni come un forsennato senza mai vedere il pallone? Che poi fosse un pallone! E invece ‘sti qua giocano con una specie di uovo che quando lo calci rimbalza dove vuole lui e non dove lo vorresti mandare tu. E allora, scusate, ma il divertimento dove cavolo sarebbe?”

Perdo tantissimi amici se affermo che è più o meno quello che penso anch’io?