[…] Una volta che ho cominciato a rimuginare su quanto questa situazione abbia cambiato la nostra prospettiva nel vedere le cose della vita, sono ovviamente poi passato a tentare di capire come questi cambiamenti possano aver influito sulla nostra capacità di vedere lo sport e su quale sport possiamo attenderci una volta finita la fase più acuta della pandemia. Come sappiamo fino alla scoperta e alla commercializzazione di un vaccino efficace non si parla neanche di ritornare alla normalità di prima, dunque suppongo che tutta la stagione sportiva invernale ’20-‘21 sarà del tutto peculiare. Per il basket sono venuto a una conclusione che vorrei commentaste, perché a me sembra abbastanza radicale. Posto che, per esempio parlando in prima persona, l’ultimo contatto fisico con un’altra persona l’ ho avuto poco prima di mezzanotte del 7 marzo durante i saluti alla fine del festino di compleanno di mia cognata, e dunque passeranno almeno due mesi interi senza che ne abbia un altro, sono convinto che, quando ci si potrà nuovamente incontrare, la prima cosa che gli appassionati di basket vorranno fare sarà semplicemente di trovarsi fra amici per fare una partitina al campetto e assaporare la gioia del più basilare agonismo fisico, vero, non virtuale. Non credo che ci saranno tantissimi che per prima cosa vorranno vedere le mitiche (?) partite dei vari campionati nazionali. A questo punto penso che una Federazione lungimirante dovrebbe intercettare nel miglior modo possibile questo prorompente desiderio e semplicemente cavalcare l’onda. Per esempio copiare i campionati CSI o ACLI, o quelli che volete, e organizzare una mega lega ricreativa senza regole burocratiche di alcun tipo. L’unico requisito richiesto sarebbe un’iscrizione a stagione, poniamo, di 50 euro a persona che darebbe diritto a partecipare con qualsiasi squadra, in qualsiasi momento, a qualsiasi partita durante tutta la stagione senza spese aggiuntive di alcun tipo. Si dovrebbe dunque una volta per tutte dare l’impressione di essere un’organizzazione che ha cura del benessere fisico della gente dandole una cornice organizzativa al suo desiderio di partecipare, ma soprattutto per dare l’impressione di non essere la piovra mungitrice che è stata finora per tutti i campionati minori con tutti i vari balzelli da pagare di continuo per avere fra l’altro un servizio scadente, comunque finalizzato a produrre fondi per mantenere l’elefantiaco apparato centrale al servizio solo ed esclusivamente di quel fasullo fiore all’occhiello che sono le varie selezioni nazionali. Bisogna in definitiva tenere debitamente in conto la diversa sensibilità maturata in questi tempi e cambiare radicalmente pagina, perché solamente in questo modo si potranno porre basi solide per un nuovo sviluppo che non potrà non tener conto del mutamento dei tempi. Ne saranno capaci? Ovviamente sono sicuro di no. Le “careghe” (sedie) sono sacre e intoccabili.

Siamo insomma cambiati, come dice oggi con una bella battuta un comico sloveno: “Gli europei sono rimasti allibiti e spiazzati: volevano fortemente abolire il velo islamico e ora sono finiti a portare le museruole”. E, a proposito di Slovenia, prima di finire questo profluvio vi devo ancora qualche spiegazione sulla situazione in Slovenia che ha preoccupato tanti dopo aver letto l’articolo di un tale Blaž Zgaga (cognome curioso: Zgaga vuol dire in sloveno quello che chiamiamo subbuglio intestinale, o in dialetto nostro “scagarela”) pubblicato sul Nacional, giornale croato (!) di forte, per non dire estrema, destra, quella, per essere precisi, che vede gli sloveni come perfidi nemici che attentano ai sacri e inviolabili confini della patria croata. Proprio oggi ho letto la lettera di risposta inviata dall’ambasciatore sloveno all’Espresso e, devo dire, sono d’accordo con quanto scrive. Riassumendo: in Slovenia, proprio durante l’esplosione del problema coronavirus, c’è stato il cambio di governo, che dalle mani del centro-sinistra molto blando guidato da Marjan Šarec è passato in quelle di Janez Janša, leader della destra sovranista e nazionalista che ha potuto formare il governo grazie all’appoggio della NSi, Nuova Slovenia, tipo la Forza Italia slovena, e soprattutto del DeSUS, partito dei pensionati, famoso per i suoi salti della quaglia che entra in qualsiasi governo, basta che gli diano il numero di “careghe” richiesto. Ora Janša (classe ’58, dunque ancora molto giovane per la sua lunghissima militanza politica, fra l’altro compaesano del Presidente dell’UEFA Čeferin) è quello che è stato ministro della guerra durante i primi cruciali anni ’90 e che, per le sue indubbie capacità organizzative e politiche, ha messo mano in quell’epoca su tutte le organizzazioni di intelligence che ha manovrato tranquillamente a suo piacimento in tutti questi anni. Questa è la brutta notizia, assieme a quella che in questi ultimi anni il suo partito (stabilmente attorno al 17% dei consensi che nella grande frammentazione dell’elettorato sloveno ne fa sempre il partito di maggioranza in qualsiasi elezione di questo secolo) si è sempre più avvicinato a Orban con il quale il buon Janez in questi ultimi tempi è culo e camicia e ne sostiene vigorosamente tutte le campagne, anche perchè Orban, senza alcuno scrupolo, sostiene le sue, anche finanziariamente. Le buone notizie sono comunque molte di più: intanto Janša è sì estremista, ma non pazzo: è stato già due volte premier sloveno per un intero mandato e si è sempre attenuto alle regole democratiche, anche se ha sempre e comunque tentato di portarle un po’ di più dalla sua parte. Concretamente ogni volta che è stato al governo ha tentato disperatamente di mettere mano all’informazione pubblica che lui vede come fumo negli occhi perché a suo avviso è stata sempre in mano agli epigoni del vecchio regime. Il che è anche un po’ vero: conosco bene anche di persona tantissimi giornalisti di punta della TV slovena e posso garantire che sono tutto meno che di destra. Poi Janša è sì riuscito a intrufolare in TV SLO tanti suoi adepti, ma sono sempre in minoranza, per cui anche proprio in questi giorni sta conducendo una forte battaglia contro la TV pubblica che per adesso resiste bellamente e penso che continuerà a farlo, anche perché, come detto, l’SNS (il suo partito) ha sì lo zoccolo duro del 17% dei voti, ma comunque chi non è con lui è per la massima parte contro di lui e non lo può proprio vedere. E ciò soprattutto nelle zone cruciali del Paese, la conca industriale di Lubiana (zona con reddito pro capite nettamente superiore alla media europea, paragonabile quasi alla Lombardia e vero cuore economico e industriale sloveno), e quella commerciale del litorale incentrata sullo strategico posto di Capodistria. Ragion per cui ogni suo tentativo di instradare la Slovenia verso derive ungheresi è destinato al fallimento, tanto che per esempio durante questa crisi Janša ha già provato più volte a dare maggiori poteri all’esercito, e ogni volta la sua proposta non è arrivata neanche in parlamento per l’opposizione dell’opinione pubblica e le perplessità dei suoi stessi alleati di governo. E, per finire, quello che mi conforta di più è che in Slovenia esiste un partito che si chiama semplicemente “La Sinistra” (Levica) che è stabilmente attorno al 10% dei voti e che ha un gruppo dirigente dove i trentenni sono visti come i saggi anziani e che è votato quasi esclusivamente dai giovani. Partito di sinistra, anche radicale, ma moderno, tecnologico, ecologista e soprattutto allergico ad ogni reddito di posizione dovuto ai soldi ed al potere. Per dire, il loro chiodo fisso da inserire in qualsiasi programma che vuole vederli partecipare al governo è la cancellazione di qualsiasi iniziativa privata nel campo della sanità, dell’istruzione e delle assicurazioni pensionistiche, ma soprattutto la immediata istituzione di una tassa patrimoniale sulle rendite finanziarie che, almeno a mio modesto avviso, dovrebbe essere l’obiettivo non uno, ma zero, di qualsiasi sinistra che voglia essere chiamata tale in qualsiasi parte del mondo. Insomma per vedere finalmente una sinistra come la concepisco io devo guardare alla mia piccola Slovenia. E la cosa mi conforta non poco per il futuro. Questi qua un giorno cresceranno, invecchieranno e forse comanderanno, finalmente, se sapranno dare il giusto esempio agli altri giovani che verranno dietro di loro.