Mi è piaciuta molto la discussione sul termine di “tecnico”. La tronco subito, perché il signore venuto a casa mia era, appunto, un tecnico telefonico, in quanto l’inconveniente era sulla linea con conseguente tilt del router, o come cavolo si chiama. Se avessi avuto bisogno di un informatico non avrei chiesto aiuto a Franz, in quanto ce l’ho in casa ed è mio fratello che è un matematico specializzato in reti di computer, per cui lo fa di mestiere.

Sono molto contento e soddisfatto che gli esperti di rugby non mi abbiano massacrato e deriso e che sia riuscito a dire qualcosa di sensato. Walter: so benissimo che sei molto suscettibile sull’argomento, ma assolutamente non volevo sottovalutare l’importanza delle doti individuali, che sono tanto più importanti in sport proprio come il rugby, in quanto solamente chi ha in testa una marcia in più può fare qualcosa di sostanzialmente diverso in termini di creatività rispetto alla massa, sempre rispettando gli strettissimi obblighi di un gioco di squadra a 15 giocatori.

Il mio punto, quello che veramente mi interessa, è quello che nell’ambito di un gioco di squadra i ruoli sono fondamentali e il rugby viene a pennello per estremizzare proprio questo punto e per far capire a tutti cosa intendo come ruolo nell’ambito di un gioco di squadra. Ora voi rugbisti ditemi che sensazione provereste se a un dato momento, prima di una mischia, tanto per mischiare le carte in tavola, la squadra che introduce il pallone facesse di colpo un sensazionale cambio mettendo il pilone a introdurre il pallone e il mediano di mischia a front man del raggruppamento. Probabilmente telefonereste subito a un’ambulanza affinché venisse a prelevare i pazzi scatenati che avevano avuto questa brillante idea. Ecco, questa sensazione è esattamente quella che provo io quando vedo un lungo, magari ben piantato, che invece di andare a canestro dopo l’obbligatorio (oggigiorno) conato (tentativo sarebbe già una parola troppo impegnativa) di pick-and-roll raffazzonato (come spiegato nel post) va fuori a tirare da tre lasciando sotto canestro un piccolo o, peggio ancora, nessuno come succede almeno nel 70-80% delle occasioni nell’NBA. Ecco, anche a me viene l’irrefrenabile tentazione di chiamare qualche paramedico con la dovuta camicia di forza, ma invece mi tocca sentire, mentre mi si aggrovigliano le budella (e purtroppo non solo quelle, con conseguenti lancinanti dolori), che l’azione era molto buona, sfiga solo che il tiro sia uscito.

Sul basket NCAA. Franz ha fatto una disamina profonda e articolata della quale lo ringrazio a nome di tutti quelli che seguono questo blog. Purtroppo devo dire che personalmente non sono neanche riuscito a leggerne metà, in quanto i nomi che sciorina non mi dicono assolutamente nulla, per cui non ho la più pallida idea di cosa parli, ma soprattutto non ho alcun interesse a scoprire chi siano, perché per parte mia è l’andazzo che mi interessa, non certamente i singoli giocatori che, per carità, possono essere anche ottimi, come lo è sicuramente stato Anthony Davis qualche anno fa, ma che non spostano esattamente neanche di un millimetro il discorso generale.

In quel discorso viene anche esposto il nome di un grande tiratore di college e viene anche presa in esame la sua tecnica di tiro. Devo confessare che per me la discussione è stata come la famosa predica per un turco capitato in chiesa per caso. 1 motion, 2 motion, cosa cavolo è? Io ho insegnato ai giovani a tirare per 30 anni circa e posso vantarmi di aver costruito per tutti loro una buonissima tecnica, in dipendenza anche dalla loro reale volontà di imparare, cosa sempre decisiva (perché per esempio un Vesely, o anche un DeAndre Jordan hanno imparato tirare i liberi e uno Shaq per tutta la carriera è stato penoso? – e poi venitemi a dire che è stato uno dei più grandi giocatori della storia…grossi di sicuro, l’unica sua vera dote), ma quello di cui parlate è per me totalmente alieno. Il tiro deve essere veloce e preciso, ma soprattutto la tecnica di tiro deve essere il più possibile sempre la stessa, perché la costanza del gesto tecnico fa sì che il tiratore sia molto più fiducioso in se stesso, ma soprattutto abbia già nel subconscio tutta la sequenza senza che la debba richiamare dalla memoria ogni volta con il rischio magari poi di sbagliarla. E’ un po’ il discorso che facevo a suo tempo per la fase di stacco nel salto con gli sci, il meccanismo sia fisico che psicologico è pressoché identico. Il segreto di un tiratore è quella che adesso chiamano compattezza, e che io, da buon vecchietto di altri tempi, chiamo coordinazione, ma soprattutto eliminazione di tutti i passaggi inutili, cioè l’ottimizzazione del gesto. Ragion per cui durante l’esecuzione di un arresto e tiro la cosa fondamentale è che il pallone salga il più possibile sopra la testa il prima possibile, cosa che riesce del resto perfettamente naturale vista la naturale coordinazione del gesto del salto che fa sì che le braccia salgano verso l’alto durante lo slancio come fa ogni saltatore in alto. Il trucco di sostanza per un tiro veloce è dunque il recupero dal palleggio, che deve essere effettuato con un palleggino molto basso che permette alle mani di afferrare il pallone con le braccia distese verso terra, braccia che poi possono in piena coordinazione fiondarsi il prima possibile verso l’alto aumentando in questo modo anche l’altezza del salto stesso.  Arrivati al culmine del salto le braccia saranno dunque già naturalmente distese verso l’alto, le braccia saranno diritte, l’asse spalla-gomito-polso sarà allineato al meglio, per cui a questo punto basterà, sfruttando anche la velocità intrinseca del pallone durante la fase di innalzamento (cioè per spiegarmi meglio: il pallone è nelle mani, le mani si muovono velocemente verso l’alto, dunque il pallone non è fermo, ma si muove alla velocità delle mani che lo tengono) effettuare la frustata con il polso per scoccare un tiro il più veloce possibile. Altri modi di tirare correttamente non ne conosco. O meglio conosco anche il tiro che oggigiorno nell’NBA si può fare quasi sempre, cioè il piazzato in perfetta solitudine. Lì le cose, avendo più tempo a disposizione, e soprattutto potendo tirare con i piedi per terra, cambiano completamente. Io sospetto che il primo tipo di tiro sia quello “1 motion” e il secondo tipo il “2 motion”. Se è veramente così allora abbiamo trovato un altro modo per ammantare di parole difficili che fanno tanto figo un concetto in realtà molto semplice, assolutamente basilare per chiunque abbia solo l’idea di giocare un giorno a basket. Ricordatevi sempre e comunque: “no tiro, no basket”. Purtroppo, verrebbe da dire, visto l’andazzo attuale.

Era più di 30 anni fa che partecipai come interprete a un clinic per cadetti a Pola ed ebbi modo di chiacchierare a lungo con uno dei migliori istruttori jugoslavi per giovani, un allenatore di nome Faruk Kulenović che poi ebbe anche una breve esperienza di head coach al Šibenka di Dražen. Lui mi raccontava che per quanto riguardava il tiro la cosa fondamentale era la sua velocità e mi disse che tempo prima il Maccabi gli aveva mandato il suo play Chen Lipin perché gli mettesse a posto il tiro. Per prima cosa cronometrò il tempo che intercorreva fra il recupero dal palleggio e il rilascio del tiro e inorridì quando il cronometro disse che erano trascorsi 1,5 secondi, un’assoluta eternità secondo gli standard jugoslavi. Lavorando sull’eliminazione delle fasi inutili alla fine del camp il tiro di Lipin era sceso a circa 0,7-0,8 secondi di intervallo fra recupero e rilascio, tempo questo sulla soglia limite di tolleranza. Cosa che comunque non soddisfece il buon Faruk, in quanto secondo lui un buon tiratore (il riferimento base era sempre Kićanović) per essere efficace non doveva superare di molto la soglia del mezzo secondo. Questo per dire che la velocità del tiro è da sempre stata la dote assoluta richiesta in Jugoslavia per poter considerare un tiratore veramente tale. E dunque sentire oggigiorno che la velocità del tiro è una dote “moderna” mi fa semplicemente scompisciare dalle risate e mi fa capire quanto poco si conosca veramente di tecnica di basket oggidì.

Su Divac e il reclutamento dei Kings. Se Divac ha detto veramente le cose che riportate allora mi viene il serio dubbio che qualche rotella gli si sia inceppata. Supponendo che la cosa non sia plausibile l’unica spiegazione che mi resta è quella secondo cui lui sta tentando un’improbabilissima scalata di sesto grado sui vetri per giustificare una ovvia e palese stupidaggine, sapendo benissimo di star dicendo cazzate, ma sperando nel contempo che la critica americana le beva tutte d’un fiato. Come qualcuno ha avuto modo di dire un ottimo centro sposta molti equilibri ed è un tassello fondamentale per ogni squadra, su questo proprio non ci piove, ma il problema è che il centro deve essere ottimo, perché se è solo uno che è lungo, che è forte e che zompa allora di gente del genere se ne trova in giro per il mondo un tanto al chilo e uno vale più o meno come l’altro, spostando dunque equilibri molto piccoli. Chiaro, se sul mercato c’è Jabbar, o Ewing, o Olajuwon, o Robinson, o Duncan le cose cambiano, ma onestamente un Ayton (mi sembra si chiami così la prima scelta di Phoenix) o quello che ha preso Sacramento non mi sembrano proprio della stessa categoria. Già lo stesso tanto osannato Embiid rispetto a quelli nominati sopra è di una categoria nettamente inferiore. Immaginarsi gli altri. Ragion per cui buttare una prima scelta per prendere qualcuno che, ben che vada, dopo lungo e difficile lavoro, sempre che abbia voglia di farlo, può spostare di un epsilon (quantità piccola a piacere) gli equilibri della squadra non mi sembra una grande idea. Se invece a disposizione c’è un Dončić, lui sì vero uomo squadra, ovviamente, uno cioè che diventa per capacità, carisma e modo di stare in campo immediatamente un leader, indipendentemente dal fatto che sia un esordiente di 19 anni, allora il discorso cambia totalmente, in quanto a questo punto si hanno già naturalmente tracciate le linee del progresso a venire. Basta fare in modo che l’uomo faro abbia accanto a sé giocatori adatti al suo tipo di gioco. Poi lui maturerà, comincerà a capirsi con i compagni (a proposito, ho sentito da Soragna che il suo tipo di gioco non sarebbe adatto alla convivenza con DeAndre Jordan – perché mai? non mi è dato comprenderlo), i tasselli andranno al loro posto e la sua squadra giocherà finalmente da squadra con gerarchie e ruoli ben definiti. In questi ultimi tempi l’ho visto comunque un po’ troppo nervoso e secondo me è arrivato al punto in cui si è trovato a un certo momento l’anno scorso al Real, quando le difese avversarie hanno cominciato a fare con lui sul serio praticamente picchiandolo a man salva, cosa che lui non è che non si attenda, è un ragazzo intelligente, ma la cosa che non tollera è quella di non essere tutelato a dovere dagli arbitri. Dà la netta sensazione che pensi: “Come? sono forte, sono una stella, so giocare meglio di tutti gli altri e lasciate che mi picchino come se fossi un debuttante moccioso che deve sottostare alle leggi del nonnismo?” L’altro giorno contro Milwaukee voleva evidentemente strafare e ha sbagliato tiri che segnerebbe a occhi chiusi. Il lato buono è però che ha provato a rendersi comunque utile in molti altri modi, prendendo anche uno sfondamento da Giannis, e infine, assolutamente non per caso, mettendo assieme una tripla doppia. Purtroppo per Dallas c’è una pessima notizia che ho l’impressione nessuno abbia sottolineato a dovere: l’infortunio di J.J.Barea ha fatto sì che la “second unit” di Dallas sia un’accozzaglia di gente che corre per il campo a caso, mentre prima era un’unità di tutto rispetto che teneva il campo ottimamente.

Ci sarebbe ancora tantissimo da dire e commentare, ma tempo al tempo. Per esempio Milano: accenno solamente al fatto che mi piacerebbe tanto sapere chi è il preparatore atletico della squadra milanese. Non esiste che la squadra sia talmente mal messa che dopo due corse su e giù per il campo la gente sia già sfiatata. Semplicemente non esiste. Punto. Su James vedo che state finalmente aprendo gli occhi. Meglio tardi che mai.

Per finire: “uno” che non mi ricordo sia mai intervenuto prima e che dunque saluto calorosamente, mi ha fatto una brevissima domanda. Alla quale bisognerebbe rispondere con un ponderoso trattato diviso in vari tomi. Anche qui tempo al tempo: sull’argomento ne ho di cose da dire.