Continuo ad essere fermamente convinto che, avendo seguito molto, ma molto da vicino lo sport jugoslavo per 50 anni, la somma  del valore dei giocatori di vertice attuali in ogni sport di squadra sia nettamente, e di molto, superiore a quella che era ai tempi della Jugoslavia unita. Questo tipo di assunto è, e resterà, un punto fermissimo per qualsiasi discussione che qualcuno voglia fare con me in merito.

Un’altra cosa che non capisco è l’accenno alla concorrenza che dopo poco tempo diventa monopolio. Inter e Milan mi sembra che siano in concorrenza da più di cent’anni e non mi pare che oggi non lo siano più. Il discorso in merito è molto articolato e da solo varrebbe un trattato. Del resto, passando in ambiti ben più importanti, per esempio in economia di trattati in merito nei vari secoli ne sono stati scritti a bizzeffe. Non ho ovviamente nessun titolo per parlarne con cognizione di causa, ma a occhio e seguendo il semplice buon senso, mi sembra di poter dire che in questo ambito fondamentale sia la politica, nel senso di stabilire delle regole del gioco ferree che permettano alle varie realtà di competere ad armi pari. Lo stesso vale nello sport ed è proprio quello che tentavo di dire nel post precedente, che anche nello sport, come dappertutto, ci sono in gioco due attività totalmente diverse che devono per forza vivere assieme trovando il giusto equilibrio: quella tecnica nella quale valgono le regole, per così dire, economiche, creatività, inventiva, idee fresche, duro lavoro, e soprattutto concorrenza, e quella politica che deve fare in modo che l’attività tecnica sia regolata in un quadro più ampio di regole che, appunto, non permettano che la libera concorrenza sia alterata in modo qualsiasi da fattori che non abbiano attinenza con le capacità intrinseche di far bene di individui o gruppi di persone.

In realtà era proprio questo il punto centrale del discorso che ho tentato di fare, fallendo miseramente, ahimè, nel post precedente. Proprio per questa, per me, fondamentale divisione dei compiti fra tecnica e politica, ho una violenta allergia nei confronti dei famosi centri federali. In teoria per gli sport individuali hanno un senso e, fatti bene, sono estremamente importanti, mentre per gli sport di squadra il discorso si fa molto più articolato. Ripeto, sono fondamentali se fatti bene. Negli sport individuali i progressi nelle metodiche di allenamento, di alimentazione, di approccio mentale, sono continui e arrivano da ogni parte del mondo, per cui avere un centro di raccolta informazioni per fare in modo che i vari tecnici sparsi sul territorio siano continuamente al corrente con le novità (che funzionano) è necessario. Come è giusto che atleti e tecnici vedano da vicino come si lavora al vertice per poi poter fare la stessa cosa tornando a casa. Qui però casca un pesante asino. Se il centro federale è in mano tecnicamente ad un Castagnetti, straordinario uomo e tecnico, è una cosa, se è in mano a funzionari della Federazione che non trovano altrimenti posti di lavoro è tutta un’altra cosa. Per esempio, così, ad occhio, non mi sembra che attualmente nell’atletica leggera i tecnici federali abbiano granché da insegnare ai tecnici di base, almeno a giudicare da quello che l’atletica italiana ha prodotto ai Mondiali (del resto il clamoroso caso Schwatzer-Donati lascia intendere chiaramente quali formidabili interessi del tutto non tecnici siano in ballo). E allora riunire atleti per farli allenare assieme da coach che in realtà non hanno molto più da dare (se non addirittura di meno) dei tecnici individuali di ciascuno di loro non ha proprio alcun tipo di senso, se non di tipo mediatico e di semplice parata delle terga (vedete, ci diamo da fare, ma purtroppo i risultati non arrivano). E poi, essendo vicini, o, più che vicini, proprio creati dalle strutture burocratico-politiche, questi centri federali sono per me necessariamente contaminati, è la parola giusta, dalle varie lotte politiche di potere, per cui le capacità strettamente tecniche di chi ne è a capo sono normalmente meno importanti rispetto a quanti padrini ha nelle stanze dove si decide. Chiaro, se la politica, come dovrebbe essere, fosse limpida e dedicata solamente al bene di quello che rappresenta, metterebbe da parte tutte le lotte intestine e per un centro federale metterebbe in piedi una struttura che raccoglierebbe tutta la crema dei tecnici che operano sul territorio (appunto, Castagnetti), cosa che avrebbe un effetto formidabile di volano per l’attività su tutto il territorio (non aggiungo nazionale per non creare ulteriori dolori a Buck e al suo braccio disastrato – mi raccomando, guarisci per la sconvenscion di fine novembre!). Vi pare che una cosa simile sia veramente possibile, visto il livello dei nostri politici attuali a tutti i livelli? A me pare onestamente un’utopia, per cui continuo a vedere i centri federali semplicemente come centri di basso potere che con il progresso tecnico generale poco hanno a che fare. Anzi, volendo controllare tutto, fanno solamente danni. Ed è proprio quello che volevo dire nell’intervento precedente. Spero di essere stato stavolta più chiaro.

Negli sport di squadra il discorso è, come detto, ben più complesso. Intanto il centro federale è una necessità ovvia per ragioni di squadre nazionali che devono avere per forza un luogo dove radunarsi e prepararsi per le varie competizioni. In più, e qui il calcio insegna con il suo centro di Coverciano, un luogo del genere dovrebbe essere il luogo dove ci si incontra, si scambiano opinioni, si valutano i diversi approcci alla tecnica, alla tattica, alla gestione del gruppo e dunque si ha il polso della situazione. E in più un luogo dove incontrarsi è sempre un luogo dove le persone possono fare amicizie, pur essendo magari acerrimi rivali nella propria professione. Nel calcio il centro tecnico è anche quello dove si tengono i corsi per i vari patentini. Va be’, qui onestamente storco molto il naso, convinto come sono che l’unico patentino che valga è quello che ti dà il campo (e infatti ai corsi viene gente già nota per il suo lavoro di base – e, se è brava e ottiene risultati, non riesco proprio con tutta la più buona volontà a capire cosa serva un attestato ufficiale). OK, seguire i corsi serve per ampliare le conoscenze, ma suppongo che ogni tecnico di valore li seguirebbe comunque anche se non costrettovi dalla burocrazia. Ma tant’è. E’ chiaro che personalmente sono allergico alle corporazioni ed ogni attestato o patentino è semplicemente un atto di affiliazione ad una corporazione, ma capisco che alla gente in genere queste cose non diano disturbo, per cui va bene così.

Il problema, e grosso, è quando il famoso centro promuove anche iniziative tecniche, tipo la formazione di squadre del tipo Club Italia o semplicemente diramando direttive sui percorsi tecnici da intraprendere per poter approdare nel giro delle nazionali. In breve cioè quando la politica si immischia direttamente nelle questioni tecniche. In questo tipo di situazioni parlavo della promozione del pensiero unico che in ogni campo umano uccide qualsiasi iniziativa personale. I vari atleti, e in questo caso soprattutto squadre intese come un corpo unico ciascuna, devono poter respirare, devono avere la più perfetta libertà di fare quello che loro più pare e piace per ottenere i risultati voluti. In questo ambito parlavo di concorrenza salutare, nel senso che ogni atleta deve avere la possibilità di trovare il posto dove meglio potrà sviluppare le sue doti, il giusto coach e il giusto ambiente. Essendo esseri umani questi atleti avranno ognuno il suo carattere, reagiranno in modo positivo a stimoli diversi, avranno motivazioni personali diverse. Insomma in questo campo la libertà delle società e dei singoli giocatori devono essere sacre e, come detto, la politica deve fare solo in modo di creare equità competitiva in modo che nessuno possa avvantaggiarsi per motivi che esulino dalle capacità tecniche della squadra. Poi, quando si tratterà di convocare i giocatori per le varie nazionali potrà scegliere fra scuole diverse, fra approcci diversi, fra mentalità anche diverse per creare un insieme omogeneo, ma singolarmente fortemente diversificato. Quello insomma che succedeva nella vecchia Jugoslavia del basket, dove la strafottenza serba veniva mitigata dal pessimismo cosmico degli sloveni eccetera. Questo tipo di discorso vale ovviamente anche oggi dopo la frantumazione. Ogni nuova realtà nata dalla disgregazione della Jugoslavia può e deve dare voce a tutte le anime che racchiude creando nuovi centri di sviluppo che portino idee nuove e stimolanti. E’ chiaro che l’Olimpija era un grande club, ma proprio perché era tanto grande era anche il centro del pensiero unico e tutto si svolgeva nella sua orbita. Cosa secondo me esiziale ed infatti, una volta disgregata la Jugoslavia, sono cominciati a nascere ed a svilupparsi nuovi centri che hanno formato nuovi e fortissimi giocatori lontano dal centro. E, Pado credimi, la Slovenia non è mai stata così forte come negli ultimi anni della prima decina del secolo, per quanto poi abbia vinto il titolo europeo circa 10 anni dopo. Ai tempi della vecchia Jugoslavia, se non consideriamo gli anni pionieristici ’50 e ’60, una rappresentativa slovena sarebbe stata di seconda fascia europea.

Per finire qualcuno chiede un resoconto dettagliato della giornata di Trento. Non lo faccio perché la cosa mi crea grande imbarazzo e potrebbe farmi passare per trombone vanesio, cosa che assolutamente non voglio né essere né apparire. Per informazioni chiedete tutto a Roda ed ai suoi due amici di Vicenza che c’erano, sono stati con Boša, Jack Galanda e me in bar dopo a chiacchierare, che poi sono stati a cena sempre con me e Boša (che è stato di una gentilezza squisita di cui lo ringrazio di tutto cuore anche per il clinic che mi ha tenuto sia all’andata che al ritorno nelle tre ore e mezza di viaggio in macchina), che insomma hanno fatto una full immersion che penso li abbia appagati. Peggio per quelli che non c’erano. E’ stata comunque una straordinaria esperienza in un contesto gigantesco di festa dello sport che, onestamente, non pensavo fosse di tale portata.