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I Beltons furono una band tardo beat di fine anni ’60. Non hanno scritto pagine fondamentali nel grande libro della musica pop tricolore ma un merito ce l’hanno: quello di aver dedicato una canzone al basket, anzi, al minibasket. Tanto basta per recuperare cenni della loro storia e inserirli tra le pagine di Pick and Rock.

“Degli hittiti si sa ben poco, e di quel poco io non ne so nulla!”. Le rimpatriate tra compagni di scuola sono impietose: non solo ci si guarda increduli del fatto che il tempo passa e siamo invecchiati pure noi, che abbiamo la pancia (pancetta, dai…), che ce la dobbiamo vedere con un principio di rincoglionimento ormai partito per la tangente. No, non basta: ogni volta che ci si rivede tutti insieme è necessario ripetere fino allo sfinimento, quasi si volesse ossequiare una legge non scritta ma evidentemente cogente, gli aneddoti del tempo che fu, gli scazzi, le avventure vissute in gita, le battute leggendarie (si fa per dire). Quella frase, per esempio. Fu pronunciata dal mio compagno di banco Alberto durante un’interrogazione di storia. Nessuno può giurare che la proferì davvero (già, a rincoglionirsi basta un attimo) ma tutto fa brodo. E poi quando uno si ritrova a fare i conti con la pancetta che importa? Tanto mica le controlla nessuno le boiate che si sparano nelle rimpatriate.
Eppure quelle poche parole, apparentemente frivole e buttate lì quasi per caso, rappresentano il sale della vita. Perché ci ricordano che abbiamo dei limiti. Tutti. Esempio: provate a chiedere a uno esperto di musica pop (di quelli veri, mica il primo Scaruffi che capita), appassionato ma anche un po’ tassonomico, chi erano i Beltons. E lui ti risponderà: “Dei Beltons si sa ben poco, e di quel poco io non ne so nulla!”.

Il 45 giri dei Beltons contenente "La ballata del minibasket"

Il 45 giri dei Beltons contenente “La ballata del minibasket”

Già, come il vecchio e caro Alberto. Solo che ai tempi di Alberto non era ancora in circolazione “Storie di giovani pop”, una rivista unica nel panorama del giornalismo musicale di casa nostra (cercatela in rete, altrimenti a cosa servono le solette pubblicitarie?) che della band (pardon, complesso) succitato è riuscita a ricostruire la storia. Per farla breve, i Beltons furono attivi sul finire degli anni ’60 nel bergamasco e nel Canton Ticino. Suonavano di tutto, dalle cover di Francesco Guccini a quelle dei Procol Harum e dei Beatles passando per Gian Pieretti. I ragazzi trovarono anche il tempo per registrare un paio di 45 giri, il primo dei quali fu licenziato dalla Panafon Records nel 1967: il lato B ospitava “La ballata del minibasket”. Pezzo strumentale di matrice country/beat, anomalp per un’epoca in cui la musica alternativa stava cominciando a subire l’influenza della psichedelia d’oltre Manica.
“La ballata del minibasket” vide la luce in occasione di una manifestazione cestistica in programma al nuovo palasport di Bergamo e ne divenne la colonna sonora.

I Beltons riuscirono a infilarsi nell’ambaradan grazie all’interessamento del padre del chitarrista, il signor Cattaneo. Crearono il pezzo appositamente per l’occasione e dentro infilarono il refrain del tradizionale nordamericano “Yankee doodle” e qualche etto di tastiere di sapore beat. Poi, per quel che riguarda il resto, il tempo ha dissolto quasi tutti i ricordi. Non sappiamo come andò la manifestazione (a parte il fatto che gli ospiti d’onore erano degli imberbi Pooh), se i ragazzini iscritti al minibasket apprezzarono la musica dei Beltons e se tra loro c’era qualcuno che da lì a poco sarebbe diventato un campione. Rimane quel vinile, peraltro un pezzo raro, una delle prime testimonianze di come la palla a spicchi sia riuscita a diventare un punto di riferimento per la generazioni più giovani in tempi non sospetti, prima che il basket diventasse uno sport di massa. Perché ricordiamoci che in quegli anni, di certo non pioneristici ma comunque ancora lontani dal boom dei ’70, qualcuno avrebbe potuto pur sempre affermare, senza per questo essere compatito né spernacchiato, che “del basket si sa ben poco, e di quel poco io non ne so nulla!”.