Pellegrinaggio nella terra del basket più bello e feroce, conoscendo luoghi e racconti legati a campioni che hanno fatto la storia della pallacanestro italiana, europea e mondiale.

La prima parte la trovate qui.

La seconda parte la trovate qui.

I cartelli stradali per la KFOR

I cartelli stradali per la KFOR

Il nostro pellegrinaggio sta per volgere alla conclusione. La destinazione finale, Belgrado, si avvicina, ma prima scopriamo uno dei luoghi più controversi del mondo: il Kosovo. Questo lembo di terra, di quasi 11.000 km², incastonato tra la Serbia e l’Albania, ha dichiarato l’indipendenza il 17 febbraio 2008, riconosciuta a oggi da un centinaio di nazioni aderenti all’ONU, ma non accettata da Serbia, Russia, Spagna (per il timore che i separatisti baschi possano trarre maggiore forza da questa vicenda) e da quasi un’ottantina di altre nazioni. Nel 1996 gli indipendentisti di etnia albanese dell’UCK si ribellarono alla polizia federale. La reazione della Serbia, guidata da Slobodan Milosevic, fu durissima e assunse i contorni della pulizia etnica. La guerra terminò nel giugno del 1999 con l’intervento della Nato che bombardò l’esercito jugoslavo con munizioni all’uranio impoverito. Da allora le forze della KFOR (Kosovo Force) presidiano il territorio cercando di far coesistere pacificamente le due anime. Gli albanesi, di fede musulmana, costituiscono il 90% della popolazione mentre i serbi rivendicano quel territorio a causa della presenza di alcuni dei luoghi più sacri della cultura ortodossa. Ci dirigiamo proprio verso uno di quei siti tutelati dall’Unesco e dall’esercito della Nato: il patriarcato di Pec. Evitiamo di passare da Mitrovica, una delle città più pericolose con il ponte Austerlitz che divide la parte meridionale della città abitata da albanesi da quella settentrionale serba, un’autentica polveriera di rancori mai realmente sopiti. Ci troviamo nella zona nord del paese, quella dove sono confluiti quasi tutti i 200.000 serbi che popolano il Kosovo. Le auto hanno la targa della Serbia, ma chi deve andare nelle restanti zone a predominanza albanese stacca la targa del proprio veicolo per non rischiare di subire ritorsioni. Il patriarcato di Pec è un monastero, totalmente affrescato al suo interno, ricco di misticismo e spiritualità. A una ventina di chilometri di distanza è situata la chiesa medievale più grande dei Balcani: il monastero di Visoki Decani. Ad accoglierci c’è Padre Francesco, un italiano convertitosi alla dottrina ortodossa, che ci racconta la storia di questo luogo sacro. Il monastero, fondato nel 1327 dal re serbo Stefano Decanski, poi fatto santo, ospita la tomba dell’antico monarca il cui corpo, benché mai mummificato, continua a conservarsi in uno stato inspiegabile nonostante siano passati quasi sette secoli. Anche questo concorre a renderlo uno dei luoghi più sacri della cultura ortodossa. Nonostante la guerra, i posti di blocco militari e il clima “infiammabile”, il seme della pallacanestro è germogliato anche qui ed è possibile trovare un canestro nei posti più impensabili, attaccato ad un palo della luce o situato sopra le fondamenta di un palazzo in costruzione. Mentre cerchiamo le indicazioni per Belgrado, la nostra attenzione

Canestro sulle fondamenta di un edificio

Canestro sulle fondamenta di un edificio

Canestro sul palo della luce

Canestro sul palo della luce

viene catturata da degli strani cartelli gialli senza scritte, con la sagoma nera di animali improbabili a queste latitudini: gatti ma anche pinguini, tori e balene, seguiti da una freccia che indica di svoltare. Si tratta della segnaletica per le varie divisioni nazionali della KFOR. Il Kosovo è uno dei posti più surreali del pianeta in cui attualmente vige una calma apparente che cerca di mettere il velo sopra la difficile coesistenza tra serbi e albanesi. Ci spostiamo a Belgrado, la città bianca (Beo=bianca, Grad=città), una delle capitali del basket europeo. Eleganti edifici Art Nouveau si alternano a grigi palazzoni di stampo socialista. Belgrado è viva e vivace, ricca di turisti, anche americani, quelli che fino a pochi anni fa solcavano questi cieli per sganciare delle poco amichevoli bombe. Le due principali squadre della città sono il Partizan, club dell’esercito e la Crvena Zvezda, meglio conosciuta come Stella Rossa, club della polizia. I derby fra le due formazioni sono sempre spettacolari ed emozionanti, grazie al tifo molto caldo delle tifoserie presenti sugli spalti. I tifosi del Partizan vengono chiamati “Grobari” (becchini), per via del colore prevalentemente nero delle maglie, mentre i tifosi della Stella Rossa sono denominati “Delije” che significa eroi. Le scintillanti sfide tra Partizan e Crvena Zvezda si svolgono presso l’Hala Pionir. Quando entriamo nel Palazzetto troviamo un paio di ragazzini che stanno tirando a canestro, ignorando di essere, in quel momento, i padroni assoluti di uno dei campi più ricchi di storia del Vecchio Continente. Ci presentiamo dicendo che veniamo dall’Italia e a quel punto uno dei due ragazzini ci dice: “Ah, from Italy? Danilo Andjusic! (giocatore che fece una breve apparizione con la canotta della Virtus Bologna nel 2013, ndr)”. Ormai le nuove generazioni hanno idoli diversi da quei miti che hanno compiuto grandi gesta in Italia come Sasha Danilovic o Sasha Djordjevic. L’altro palazzetto dello sport di Belgrado, usato solamente per alcune

gare di Eurolega, è la gigantesca Beogradska Arena, il palazzetto dello sport più grande di tutta Europa, la cui storia s’intreccia con quella recente della Serbia. Nel 1984 l’allora Jugoslavia unita chiese l’organizzazione dei Campionati Europei del 1994 e la FIBA la concesse a condizione che la finale si disputasse in un impianto da almeno 20.000 posti. Nel 1991 s’individuò il sito e poco dopo

Hala Pionir

Hala Pionir

Beogradska Arena

Beogradska Arena

cominciarono i lavori ma anche i conflitti che poi portarono alla disgregazione della Jugoslavia, cosa che fece arrestare i lavori. Lavori che ripresero nel ’98, nell’intento di ospitare i Mondiali di tennistavolo, specialità sportiva molto seguita nel paese, che si sarebbero tenuti l’anno dopo. Stavolta però a far saltare tutto fu la già citata guerra del Kosovo, durante la quale la NATO bombardò la città e anche l’organizzazione di questo evento sfumò. I lavori ripresero solo dopo il ritiro delle sanzioni internazionali a seguito delle dimissioni di Milosevic e terminarono nel 2004, in tempo per ospitare i Campionati Europei del 2005. A Belgrado la pallacanestro è una fede e i luoghi speciali per la palla a spicchi, come questo, non sono finiti. I campetti della fortezza di Kalemegdan costituiscono uno dei playground più importanti del mondo. Tantissimi campioni che hanno recitato la parte dei protagonisti in Europa e in NBA hanno iniziato qui. La fortezza di Kalemegdan non custodisce soltanto questa piccola perla degna del Rucker Park di New York, ma anche la Statua del Vincitore che volge il suo sguardo verso la confluenza tra Danubio e Sava. Il giocatore più famoso della storia della Stella Rossa è Zoran Slavnic, rapido playmaker con un complesso di superiorità quasi patologico che ad inizio anni ’80 vestì la canotta della Juve Caserta. Un aneddoto delle Olimpiadi di Montreal del 1976 spiega bene il suo carattere: durante la semifinale contro l’URSS, Slavnic, appena entrato in campo andò verso Sergej Belov, icona del basket mondiale, e gli disse ad alta voce: “Attento, Sergjosa (Sergetto) che ora è venuto a marcarti il maestro”. Ci dirigiamo verso la sede del Partizan perché abbiamo appuntamento con Sonja

La fortezza di Kalemegdan

La fortezza di Kalemegdan

L'ufficio della presidenza del Partizan Belgrado

L’ufficio della presidenza del Partizan Belgrado

Savic, la loro addetta stampa, una ragazza rubata alle passerelle di moda. Sonja ci porta nell’ufficio del presidente Danilovic dove sono presenti tutti i trofei vinti. Le coppe sono tantissime perché il Partizan è uno dei club dell’ex jugoslavia più vincenti. Mentre ci dirigiamo verso l’uscita vediamo appesi nel corridoio le foto dei giocatori che hanno fatto la storia di questa società: Dražen Dalipagić, Dragan Kićanović, Žarko Paspalj, Vlade Divac, Aleksandar Đorđević e Predrag Danilović. E’ presente anche l’angolo dei coach più famosi ed importanti composto da Ranko Žeravica, Asa Nikolić, Želimir Obradović e Duško Vujošević. Prima di ritornare in Italia ci rechiamo nella zona “politica” di Belgrado, dove la gente si radunò in piazza per contestare le elezioni truccate del 2000, ma soprattutto dove l’anno precedente la NATO, per costringere Milosevic a ritirare le sue truppe dal Kosovo, decise di usare il pugno di ferro, bombardando il Ministero della Difesa. I palazzi bombardati sono stati volontariamente non restaurati per ricordare a tutti quanto successo. La storia non si cancella soprattutto se si tratta di quella della ex Jugoslavia, perché come diceva Winston Churchill: “I Balcani producono più storia di quanta ne possano consumare”.